Il clima nell’isola di Wake risulta essere per lo più tropicale, benché soggetto ad occasionali tempeste nel corso dell’inverno. Prima e dopo le quali, occasionalmente, era solita sollevarsi la nebbia. Un problema niente affatto trascurabile, soprattutto negli anni successivi al 1941, quando la Marina Militare statunitense ebbe ragione di costruire, sopra queste antiche sabbie, la lunga pista di atterraggio di un moderno campo di volo, da cui inviare i bombardieri e i caccia con lo scopo di fiaccare lo sforzo bellico dell’Impero giapponese. Velivoli con propulsione ad elica e motori estremamente potenti ma rigorosamente privi, a causa dello stato del progresso tecnologico, di strumentazione radar o altri ausili elettronici a trovar la strada in condizioni di visibilità prossime allo zero. Il personale di terra in conseguenza di ciò, durante gli anni all’apice e verso la fine della guerra, iniziò ad adottare un’ampia serie di vantaggiose soluzioni: potenti riflettori, segnali lampeggianti, l’accensione di fuochi. Ma c’era un solo approccio che risultasse in grado, a differenza di ogni altro, di disperdere del tutto una simile problematica, trasformando letteralmente una mattinata uggiosa nell’alba quasi-primaverile di un nuovo giorno. Ed il suo nome era era Chrysler Bell Victory Siren, come fieramente assegnatogli durante l’anno successivo ed una volta completato il lungo ciclo di test, presso i laboratori della Bell Telephone di Boston, sotto la supervisione del Dr.Harvey Fletcher. Ora naturalmente, l’originale concezione di un tale meccanismo aveva un diverso scopo originale, sostanzialmente conforme alla necessità di inviare un’allarme acustico a vantaggio, nel momento in cui gli aerei dell’altra sponda del Pacifico dovessero far figurare le loro preoccupanti ombre sulle teste pericolosamente impreparate della popolazione civile. Finché non fu scoperto, in modo assai probabilmente accidentale, come i circa 138 decibel emessi dall’attrezzo (quando misurati a una distanza di 30 metri) avevano un secondo effetto potenziale: quello di far vibrare l’aria per almeno un paio di miglia, portando le particelle umide che formano la nebbia ad urtarsi una con l’altra. Con l’effetto di trasformarle in gocce d’acqua e a seguito di questo, farle precipitare fino all’impatto con il suolo. Ora, purtroppo, ben presto furono scoperti alcuni preoccupanti effetti indesiderati: prima di tutto l’inefficacia sostanziali delle protezioni per le orecchie utilizzate dagli avieri, poco più che piccoli tappi cerati, con la conseguenza dopo un certo numero di “esecuzioni”, di arrivare allo sviluppo di condizioni croniche e continuative come nausee o capogiri. E cosa non da meno, fu notata la formazione di piccole crepe e altri indebolimenti strutturali sulla superficie delle carlinghe o ali degli aeromobili in fase di ritorno, esposti in modo diretto alla squillante e udibile cacofonia di una simile arma del sistema aurale. Gli uccelli, inoltre, continuavano a morire. Il che portò ben presto a far ricorso al suo utilizzo solamente nei casi d’emergenza o in via del tutto eccezionale. Il che, del resto, figurava come un fondamento stesso della sua ragione d’esistenza.
La Sirena della Vittoria, rinominata nella decade successiva alla guerra con la dicitura decisamente più sobria e descrittiva di Chrysler Air Raid Siren, non avrebbe quindi mai trovato un uso particolarmente ampio nel corso della seconda guerra mondiale, in un paese come gli Stati Uniti per sua fortuna mai soggetto ai crudeli bombardamenti destinati a piovere sopra svariati capitali asiatiche ed europee. Finché negli anni ’50, con l’inizio di un altro tipo di più gelido conflitto, non avrebbe assunto il ruolo di prezioso baluardo contro il caso particolarmente temuto, e non del tutto senza una ragione, dell’improvviso giungere di un missile intercontinentale dall’altro lato del pianeta, per sovietica intenzione di dar fuoco alle polveri dell’Apocalisse finale…
La sirena della Chrysler dunque, di un riconoscibile color rosso fuoco, grande circa quanto un’automobile e dal peso di tre tonnellate, venne prodotta fino al 1957 in quantità di 120 esemplari, venduti al prezzo unitario di 3.760 dollari (l’equivalente di oltre 30.000 euro dei nostri giorni) e fatta installare, con significativi incentivi economici da parte del governo di Washington, in tutte le principali città, ed alcune più piccole, dell’intero territorio statunitense. Esse avrebbero costituito, d’altra parte, il più affidabile sistema d’avviso preventivo mai costruito da mano umana, con la capacità di essere udite, purché poste sufficientemente in alto, a una distanza stimata di oltre 40 miglia di fronte alle sei trombe direzionate frontalmente. Ecco perché il loro posizionamento avveniva generalmente in cima ad apposite torri metalliche o sopra il tetto di notevoli edifici sopra una piattaforma girevole, come nell’installazione ancora visibile nel pieno centro della cittadina di 206.000 abitanti di Rochester, situata sulle coste del lago Ontario nello stato di New York. Laddove altri simili implementi, attraverso gli anni, caddero in disuso e vennero talvolta cannibalizzati, per l’ottimo metallo di cui erano costituiti e soprattutto, il potente motore industriale FirePower HEMI V8 da 180 cavalli che azionava il loro compressore a tre stadi, con una capacità massima di 4.400 rivoluzioni al minuto. Ma non prima, comprensibilmente, che l’operatore avesse trovato posto sull’apposito sellino posto sopra la sirena al fine di cavalcarla come una giostra, pena l’esposizione diretta all’emissione delle sue terribili e distruttive onde sonore. Il principio di funzionamento della sirena Chrysler, d’altra parte, fornito originariamente al team di sviluppo dall’ufficio brevetti della E. D. Bullard Co. di San Francisco, risultava essere molto diverso da quello di qualsiasi altro attrezzo simile pregresso. L’involucro protettivo della sirena era diviso in due parti interconnesse da un robusto albero di trasmissione, mediante il quale le pale del compressore, all’interno del secondo spazio circolare, venivano fatte ruotare vorticosamente, attirando l’aria attraverso un foro reticolato d’ingresso posto direzionato verso il retro. Il processo di produzione del tono udibile della sirena, tuttavia, non veniva fatto culminare attraverso i tipici fori posti nella scocca circolare del componente, bensì lungo una serie di condotti e verso le sei possenti trombe, con un approccio tale da minimizzare il tempo lungo il quale simili aperture rimanevano soltanto parzialmente aperte o chiuse. Ciò che gli inventori avevano scoperto, infatti, era che un’onda sonora di tipologia quadra tendeva a produrre un effetto molto più potente della classica alternativa sinusoidale, garantendo la massima efficacia del possente apparato d’allarme.
Come molti altri primati della storia militare e para-bellica statunitense, le sirene della Chrysler non avrebbero quindi tardato nel ricevere l’ammirazione di un’eclettica quantità d’appassionati, collezionisti e semplici curiosi, con bene impressa nella fanciullesca memoria la loro squillante voce, spesso udibile durante le esercitazioni anti-bombardamento “Duck & Cover” degli anni ’50 e ’60. Per poi fare la loro regolare comparsa durante eventi a tema motoristico, assieme ad altri macchinari prodotti dalla celebre casa del Michigan, prima di essere formalmente vietate in molti luoghi per l’effetto (permettetemi di dirlo) ALLARMANTE di un simile passatempo. E portando nel 2003 alla fondazione della brevemente operativa VictorySiren Foundation, del texano David Stall, destinata a preservare, custodire e coltivare la memoria di simili meraviglie della tecnica, prodotto di un mondo orribilmente pronto ad affrontare la sua stessa imminente fine. Personalità dalle notevoli inclinazioni divulgative, come esemplificato dal suo esauriente sito Internet VictorySiren.com, probabile fonte della maggior parte delle informazioni sull’argomento ad oggi reperibili online.
Proprio quello di cui avremmo ancor bisogno: una squillante voce per guidarci oltre i recessi oscurantisti delle nebbie in grado d’insidiare l’atterraggio dei nostri aerei! E la propensione a togliere le mani dalle nostre orecchie, almeno per un singolo secondo, allo scopo di sentire la potenza raggiungibile dal desiderio, quando ne sussiste la necessità.