Come molte altre forme di stregoneria rurale, dev’essere nato in un momento di estremo bisogno. Quando il pastore primordiale, coi suoi armenti bovini o caprini ed annualmente impegnata nella versione scandinava del concetto noto in Italia come alpeggio (o transumanza montana) si trovò d’un tratto a fronteggiare il suo nemico per definizione, l’irsuto, zannuto ed affamato dio Lupo, o il suo cognato alla perenne ricerca di cibo, l’Orso. Avendo perso o danneggiato, per un malcapitato accidente del destino, il proprio vallhorn, strumento a fiato tradizionale ricavato dal corno di un ariete o toro, tanto privo di flessibilità armonica quanto acuto, e possente, nell’emanazione emergenziale del suo richiamo. Concepito, principalmente, al fine di essere sentito a una notevole distanza, come quella che poteva separare la signora del suo fäbod, pascolo montano inclusivo di capanne per la preparazione del burro e dei formaggi, dalle sue colleghe oltre le ripide pendici dei monti danesi, norvegesi e svedesi. La collocazione del contesto d’origine risulta incerta, benché collocata attorno al nono o decimo secolo e nell’ultimo dei tre paesi citati, luogo in cui gli uomini del Nord erano soliti imbarcarsi nelle loro intrepide, e talvolta sanguinarie, imprese avventurose sulle lunghe navi dalla prua a forma di drago. Quando non sceglievano, piuttosto, un’esistenza di lavoro semplice ed onesto, come boscaioli o agricoltori di pianura. Lasciando in ogni caso, nel frattempo, la mansione di accudire e trasferire ai verdi pascoli le greggi o mandrie ricadere, tradizionalmente in primavera, sulle loro figlie o mogli, note amministratrici di se stesse e più che abili nel difendere i confini del proprio bucolico regno (anche perché in luoghi tanto remoti, rispetto ai recessi dell’Europa meridionale, risultava estremamente raro il fenomeno del banditismo). Lasciando fuori il caso limite di situazioni impossibili, in cui gli attrezzi per dare l’allarme, come dicevamo, venivano a mancare.
Qualcuno potrebbe rammentare, a questo punto, l’efficacia di discipline vocali pastorali come lo yodel alpino o il silbo (linguaggio fischiato) dell’isola della Gomera, metodi comunicativi concepiti per valorizzare l’ampiezza tonale, assieme alla portata polmonare, di un baldo giovane al momento del bisogno per se o i propri animali. Laddove d’altra parte, come dicevamo, in Svezia erano quasi sempre le donne a condurre un simile stile di vita, creando i presupposti per un diverso tipo approccio, che potremmo definire completamente all’opposto. Il cui nome secondo un’antica convenzione, la cui origine si perde nelle origini dei tempi, sarebbe nato dalla contrazione del concetto di “richiamo per mucche” (kul-ning) benché potesse funzionare anche con molte altre tipologie d’animale, oppure per chiedere aiuto lungo notevoli distanze. O ancora, se utilizzato in una particolare maniera, incrinare la feroce sicurezza di un predatore, riuscendo a spaventarlo e spedirlo in tutta fretta da dove era venuto. Ciò in quanto dimostrava ancora una volta come la voce umana, quando esercitata a sufficienza e misurata in un contesto scientifico, poteva raggiungere la gradazione di oltre 100-120 decibel, paragonabili a quelli sviluppati da un aereo a reazione in fase di decollo.
Nota: la cantante mostrata in apertura, intenta a richiamare il cigno con il suo piccolo, è Åsa Larsson, tra le più attive divulgatrici di questo genere canoro su YouTube. Nonché produttrice, in patria, di un’ampia discografia del suo canto primordiale.
E tutto questo nello spazio aurale dei toni più alti, raggiungibili per l’appunto con maggiore facilità, e durata, dalla voce naturale delle donne. Una delle definizioni più semplici del kulning tende d’altra parte ad associarlo al falsetto, benché esso non costituisca per nulla, nei fatti, una fase transitoria tra le voci cosiddette di petto e di testa, bensì un punto d’arrivo funzionale verso gradazioni musicali oggi per lo più trascurate. E c’è in effetti una ragione, ancora una volta pratica, per tutto questo: l’effettiva conformazione ecologica e paesaggistica del suo luogo ideale di utilizzo, totalmente diverso dalle erbose ed invitanti distese delle Alpi svizzere o l’aspro entroterra di un’isola spagnola. Essendo costituito da colline o monti per lo più ricoperti da foreste particolarmente dense ed estese, oltre cui poter determinare “ad orecchio” l’origine di un suono, al fine di portare aiuto, diventava niente meno che essenziale. Ed ecco quindi un ulteriore vantaggio implicito nel canto di una simile categoria di custodi donne, la cui metà del mondo ha sempre avuto la prerogativa, e ancora la conserva in epoca moderna, di riuscire a mantenere note acute per un tempo maggiormente protratto ed esteso. Suoni in grado, per l’appunto, di essere localizzati serpeggiando, in modo per lo più letterale, attorno alla corteccia degli alti tronchi o le rocce delle pendici montane.
Lungi dall’essere un mero grido disarticolato, ad ogni modo, il kulning prese ad evolversi e venne costantemente ridefinito dall’adozione di una serie di canzoni modulari, concepite per essere allungate o accorciate in base alla necessità. Il cui testo includeva, immancabilmente, una parte ritmata di parole senza senso o una strofa ripetuta ad infinitum, ovvero finché le mucche rispondessero (finalmente) o l’aiuto giungesse nel momento della più drammatica necessità. La tipica esecuzione conteneva inoltre una serie di accorgimenti molto variabili nella scelta delle parole o soluzioni musicali, permettendo in questo modo all’esecutrice di possedere un “timbro” personale e riconoscibile, da chiunque avesse conoscenza pregressa della sua voce. Gli argomenti trattati da una tipica strofa avevano del resto un’importanza minore, benché potessero alludere a importanti momenti di aggregazione della vita rurale, piuttosto che agli spiriti o altre creature leggendarie della foresta. Qualche volta, le canzoni potevano descrivere la stessa situazione di crisi affrontata dalla portatrice delle greggi, descrivendo il dramma di aver perso un animale, o quello di vederlo azzannato da una bestia feroce della foresta. Più rari o cronologicamente successivi risultavano essere, invece, i testi di natura umoristica o scherzosa, probabilmente diffusi a seguito dell’incontro inter-culturale con la polka di Boemia e del resto dell’Europa centrale, giunta fino in queste terre coi suoi cantori durante la tarda epoca Medievale. Benché occorre ricordare che il kulning propriamente detto, per sua stessa concezione, dovesse costituire in origine tutt’altra cosa che un mero, e semplice intrattenimento. Essendo piuttosto la più chiara rappresentazione di un concetto utile a uno scopo, quello d’influenzare, in qualche maniera, il comportamento dei propri simili o gli animali.
Situazioni nelle quali, molto evidentemente, questo canto chiamato in Norvegia kauking o kaukning era solito dimostrare tutta la propria ineccepibile efficienza. I due paesi d’altra parte, nonostante il desiderio degli uomini al governo, ebbero sempre confini particolarmente risibili e largamente ignoti, permettendo non poche volte ai rispettivi greggi di sconfinare, o alle donne impegnate nella vita del fäbod a offrirsi vicendevolmente aiuto, indifferenti a linee di demarcazione totalmente invisibili ed arbitrarie. Mentre l’effetto avuto in modo particolare sui bovini risultava essere, in maniera inevitabile, straordinariamente evidente. Tutti conoscono, del resto, la naturale curiosità di questi animali, un dato che può essere acquisito dalle numerose testimonianze video online di intere mandrie fatte spostate con il suono di un semplice trombone, tuba o altro strumento a fiato.
Ma è soltanto quando si riesce a fare a meno di questi ultimi apparati, in un certo senso, che si può affermare di aver raggiunto la trascendenza, ovvero il grado più elevato di comprensione reciproca con la natura. Possiamo dunque affermare in tutta coscienza che ancora oggi, il kulning riesca a mantenere il suo più nascosto e implicito significato? Probabilmente, se lo vogliamo… Di certo può costituire, quando adeguatamente contestualizzato, il segno imprescindibile di un antico spirito di aggregazione. La cui funzione prescinde il trascorrere dei secoli, attraverso l’evoluzione stessa della nostra incontentabile specie.