Le acque spumeggianti del porto ghermivano i bianchi moli de La Valletta, protesi come altrettante dita in un caloroso abbraccio nei confronti dell’oggetto in mare. L’alta cupola della Basilica di Nostra Signora, i pinnacoli della Concattedrale di San Giovanni e le torri difensive degli antichi cavalieri di Malta coi loro cannoni poste ad osservare, con la stessa immobile apparenza, il loro specchio metaforico comparso in una mattinata d’agosto di quel significato anno 2013: quattro alti palazzi, chiaramente edificati dal dio Nettuno, giunti misteriosamente al centro della laguna. Al fine di accerchiare, in modo minaccioso e vagamente surreale, la struttura visibilmente arrugginita della piattaforma petrolifera Paul Romano, fatta rimorchiare fin lì con metodi convenzionali dalla inglese Noble Corporation, poco dopo che la sua trivella, dopo i lunghi anni di servizio, era stata costretta a tacere. Per l’usura, ovvero il danneggiamento entropico del potenziale contenuto in essa, ed il bisogno imprescindibile di una completa opera di restauro e manutenzione. Qualcosa d’estremamente complesso nel Mar Mediterraneo dove i bacini di carenaggio adibiti a contenere oggetti galleggianti da oltre 15.000 tonnellate ed un altezza non troppo distante dai 50 metri. Dei quali, SPOILER ALERT: nessuno è sito sulle coste del più piccolo stato dell’Unione Europea. O forse sarebbe più corretto dire situato PERMANENTEMENTE in un così affascinante e storicamente significativo luogo. Visto il miracolo che sta per accadere; mentre i gabbiani tacciono all’unisono, come per un segnale non udibile all’orecchio umano. Le acque sembrano gonfiarsi, quindi si ritirano dalle pareti di quegli edifici senza senso. Che sembrano improvvisamente sorgere, crescendo a dismisura sotto il cielo, mentre quello situato avanti a destra nel loro quadrato magico, visibilmente più grande degli altri tre, lascia comparire l’insegna con un nome carico di sottintesi: Dockwise Vanguard. Subito seguìta dalla vasta piattaforma di colore rosso, che incorpora ed unisce gli edifici in una cosa sola. Mostro, Leviatano, incredibile creatura degli abissi. Una creazione, innegabile, dell’umana e tecnologica creatività. Che non teme di cambiare le più ferree leggi della fisica, nella ricerca di efficaci soluzioni, o valide rivoluzioni, nel campo della cose ritenute logiche/prudenti. Vedi il caso di una semisommergibile per l’estrazione degli idrocarburi, che prima di essere sottoposta a un ciclo di restauro, viene letteralmente caricata a bordo di una tale nave. Una delle poche, in tutto il mondo, capace di permettere una tale operazione. Nonché la più grande mai costruita nel suo settore: 275 metri di lunghezza per 70 di larghezza, corrispondenti quindi a un paio di transatlantici RMS Titanic posti l’uno a fianco dell’altro, per una stazza di “appena” 116.000 tonnellate. Comunque niente di eccessivamente significativo, rispetto al peso raggiungibile da un tale scafo a pieno carico, sensibilmente superiore alle 200.000. E basti dire, a questo punto, che i limiti massimi di un tale monumento all’ingegno marittimo risultano tutt’ora inesplorati. Persino dopo che il suo nome, attraverso plurime missioni, fu cambiato…
Già perché di questi tempi, il vascello noto in fase progettuale come Type-0 (reminiscenze d’angelici robot giapponesi, protettori della Terra?) viene comunemente identificato come BOKA Vanguard, da un’abbreviazione alternativa della Bos & Kalis, alias BOSKALIS, azienda specializzata in operazioni portuali fondata nel remoto 1910 a Papendrecht, Olanda. La quale nello stesso anno della sopra descritta operazione a Malta, durante un periodo d’espansione e investimento del suo vasto capitale, fece in modo d’acquisire il marchio compatriota Dockwise, assieme all’intera flotta identificata col suo logo. Tra cui il vero pezzo forte di un simile dinosauro, prodotto originariamente nel 2011 presso i cantieri della Hyundai Heavy Industries a Ulsan, Corea del Sud. Per la cifra di 240 milioni di dollari, comunque ragionevole in proporzione alla quantità di record infranti, nonché le potenti prestazioni garantite da una nave ad un tal punto più imponente persino delle altre due consorelle facenti parte dell’accordo, la Black e la Blue Marlin, precedenti semisommergibili da sollevamento più vaste al mondo (rispettivamente 224 e 217 metri). Sarebbe tuttavia un errore credere che la lunghezza, in se stessa, racconti l’intera storia. Questo perché la Vanguard, dal canto suo, può giovarsi di un particolare accorgimento strutturale, totalmente privo di precedenti: il fatto di essere del tutto priva di una parte “davanti”. Ed ecco spiegata l’apparizione inconcepibile dei quattro monoliti nel porto de La Valletta, così come ogni altro luogo in cui l’eccezionale battello in grado di affondare parzialmente è stato chiamato in causa per far ciò che gli riesce meglio, ovvero sollevare grandi scafi grazie al suo ritorno controllato in superficie. Mentre gli enormi galleggianti vengono svuotati, senza preoccuparsi che l’oggetto al centro dell’operazione sia abbastanza corto, in senso longitudinale, da incastrarsi tra le torri posteriori ed il castello di prua.
Il che d’altra parte, costituisce una scelta non priva di compromessi, come narrava in un’intervista del 2014 lo stesso Oleg Maryasov, capitano di origini russe ed esperienza ventennale di un così atipico vascello. Descrivendo il lungo tempo necessario a lui ed il suo equipaggio di fino a 40 persone per abituarsi a governare da un ponte situato fuori centro rispetto all’asse di spostamento e alle atipiche caratteristiche idrodinamiche della Vanguard. Per poi aggiungere, orgogliosamente, una chiara descrizione delle notevoli capacità di manovra di quest’ultima, concesse dalla motorizzazione impressionante composta dal doppio generatore elettrico della Wartsila da 4350 Kw x2, i due motori a carburante da 12 cilindri con 8700 kW ciascuno e quello ausiliario da ulteriori 1200. Il tutto collegato due eliche dal passo controllabile, ulteriori due ritraibili quando non necessarie e un ultima posizionata sul retro, da usare durante le manovre più complesse ed impegnative.
E c’è stato un breve attimo, nient’altro che un transitorio possibile momento, in cui un tale scenario avrebbe potuto palesarsi anche presso le coste dell’Isola del Giglio, nelle azzurre acque del Mar Tirreno.
Credo che molti di voi abbiano già chiara la casistica a cui mi sto riferendo: nient’altro che il triste, ancorché spettacolare, disastro della nave da crociera Costa Concordia, causato da una serie di scelte inappropriate e fatali coincidenze di un così drammatico inizio del 2012, finito purtroppo per costare la vita a 32 persone. Quando l’anno successivo, nel periodo in cui si stava valutando il modo per rimuovere un così ponderoso relitto (ci sarebbe voluto fino al 2016) si pensò per l’appunto di chiamare sul posto proprio la Vanguard, allora ancora di proprietà di Dockwise, per risolvere rapidamente la questione grazie alla sua impressionante forza di galleggiamento. Se non che altre soluzioni, probabilmente più semplici da implementare e dal minor impatto ambientale, furono in ultima analisi giudicate migliori.
Il che dimostra, oltre ogni ragionevole o residuo dubbio, quello che già in fondo sapevamo abbastanza bene: la maniera in cui ogni strumento possieda il suo campo d’impiego idoneo, mentre non esiste alcun tipo di “soluzione perfetta” a un’intera categoria di problemi. Benché determinate scelte inclini alla più imponente e innegabile forza bruta, in particolari situazioni, possano andarci davvero vicine. A patto che nessuno, tra gli spettatori di una tale complicata e impressionante riemersione, finisca per sospettare l’imminente ritorno di Atlantide. Con tutto ciò che ne deriva.