È un facile modo per creare contenuti multimediali sul Web: si parte da un concetto ragionevolmente noto, quindi lo si elabora attraverso le sue plurime declinazioni. Il che coincide, essenzialmente, col creare un qualche tipo d’antologia: “Le 5 più grandi…” oppure “I 10 luoghi misteriosi che…” o ancora “Le 15 persone che prima di chiunque altro…” Una procedura e un iter creativo che possiamo ritrovare, fatte le dovute proporzioni e considerazioni meno che scientifiche, nell’ultima proposta del canale per cinefili FilmCore, già produttore di diverse brevi trattazioni sul tema di una delle serie basate sugli effetti speciali più famose della storia, soprattutto per la sua capacità di commentare, occasionalmente, alcuni dei risvolti storici e i drammi più gravi dell’epoca moderna. Particolarmente verso l’inizio della sua carriera lunga ormai 65 anni, quando il drago/dinosauro/mostro Godzilla, risvegliato dalle profondità del Pacifico a causa del rimbombante sconquasso di un test nucleare, iniziava la sua lunga marcia che l’avrebbe condotto attraverso le dorate spiagge, i friabili edifici e i cuori degli abitanti tokyoiti, stranamente indifferenti al suo ipotetico intento esiziale. Fino al palesarsi della scena, niente meno che fondamentale, ogni volta ripetuta nel momento saliente di ciascuno dei suoi 35 film: il momento in cui la bestia colossale, bersagliata da ogni sorta di arma umana e munizione totalmente priva d’efficacia apparentemente risolutiva (o nelle creazioni dalla maggiore verve creativa, selvaggi attacchi di altri kaiju o creature aliene) sembra averne avuto abbastanza ed apre la sua grande bocca, apparentemente al rallentatore. Per poi catalizzare, in qualche modo misterioso, grandi quantità d’energia presso la zona delle sue scaglie dorsali, che iniziano a risplendere in maniera impressionante. Poco prima che, con un sibilo funesto, un grande raggio come quello di una torcia inizi a scaturire dallo spazio tra i denti della creatura, lasciando solo briciole e rovine in ogni luogo toccato dal suo bagliore. Versione ultra-moderna, in un certo senso, del fiato fiammeggiante dei più importanti ospiti di un tradizionale bestiario medievale, rispetto al fuoco di drago quello della metafora bipede della Toho presenta alcuni tratti di distinzione particolarmente importanti. In primo luogo, quello di essere composto, nella sua parte fondamentale e secondo il canone dei film più celebri, non da semplice calore bensì radiazioni, aspetto fondamentale nel concretizzarsi dell’allusione di fondo, che vedrebbe il grande male che avanza dagli abissi come una personificazione animalesca, al tempo stesso, della bomba atomica e la furia inarrestabile della natura. Perché Godzilla, nella sua versione prototipica, è anche un grande ustionato dalla pelle ricoperta di cicatrici, al cui interno ancora ardono le radiazioni che suo malgrado, l’hanno ingrandito a dismisura, reso praticamente immortale e riempito di un odio feroce per l’umanità. Ed in tal senso l’esalazione in questione, generalmente di colore blu o rosso intenso e prossima alla temperatura di 150 milioni di gradi, più che essere un prodotto volontario diventa la conseguenza stessa della sua esistenza, la coda letterale dell’uragano o il sussulto dell’orribile terremoto. Il ritorno di fiamma karmico di ogni pesante malefatta da noi compiuta.
Detto ciò, esistono diversi modi in cui può esprimersi lo stesso concetto. E vari stili artistici da parte di chi crea simili scenari. Ecco dunque il senso di prendere ciascun Godzilla, e allineandoli come altrettanti bravi soldatini grazie all’uso della computer graphic, farne scatenare il più devastante exploit, al fine d’effettuare i giusti ragguagli comparativi…
Si comincia con Gojira del 1954, il mostro creato a partire dal duplice concetto di gorira (ゴリラ, “gorilla”) e kujira (鯨クジラ, “balena”) in quanto essere vagamente antropomorfo, enorme e risorto dalle profondità marine, potenzialmente preistorico benché un tale aspetto non venga largamente approfondito. Data la progressiva precipitazione degli eventi, sino al grande attacco urbano che culmina, immancabilmente, con l’inefficace attacco degli eserciti umani contro il titano, che gradualmente incamera tutto quest’odio fino all’accensione dell’incandescente forno nascosto al centro del suo organismo, con conseguente emissione del sopracitato raggio della morte. Realizzato originariamente dai tecnici degli effetti speciali della Toho grazie all’effettiva emanazione di una fiamma a gas, il cui colore bluastro avrebbe dovuto ricordare, idealmente, la tonalità tipica della radiazione Cherenkov, scoperta dall’omonimo fisico russo in ambito atomico e nucleare. Accezione, questa, almeno apparentemente subito dimenticata nel 1955 con Gojira no Gyakushū (Il contrattacco di G.) film nel quale l’orribile emanazione assume tinte grigiastre, maggiormente in tono con la colorazione tipica del mostruoso animale. Ma le cose iniziano a farsi davvero interessanti col proseguire dell’epoca Shōwa (1954-1975) mentre il fiato di nuovo cromaticamente rilevante diviene progressivamente più intenso e distruttivo, al fine di contrastare i diversi antagonisti, altrettanto massicci, che si contrappongono al protagonista, gradualmente trasformato nell’occasionale, e qualche volta addirittura volontario, difensore della Terra e l’umanità. Una digressione rilevante avviene quindi nel 1978, con il Godzilla dell’adattamento a cartoni animati di Hanna & Barbera che oltre a sembrare a tutti gli effetti un comico draghetto, emette proprio la stereotipata fiamma che ti aspetteresti da una simile creatura. Ritornando quindi in Giappone per tutto il corso dell’era Heisei (1984-1995) l’emissione devastante torna nuovamente del tradizionale colore azzurro, benché risulti questa volta realizzata con tecniche dal maggior grado di sofisticazione quali sovraimpressioni ed elaborazioni grafiche su pellicola, in grado di donargli una complessità visuale decisamente maggiore. Particolarmente degno di menzione, in questo periodo, risulta essere il mostro in fiamme del film Gojira VS Destoroyah, qui chiamato Burning Godzilla, che nel 1995 pose fine a quest’intera fase della storia della creatura, trasfigurando se stesso nella riproduzione deambulante del nucleo di una stella rossa, con tanto di venature laviche e immancabile fiato disintegratore, questa volta di un’intrigante colorazione rossastra. Dando inizio quindi a quello che doveva essere la più lunga pausa nella produzione nipponica sull’argomento, la torcia di Godzilla viene famosamente raccolta dagli Stati Uniti e il regista Roland Emmerich, che ne crea nel 1998 una versione fortemente attesa dai fan, soprattutto a seguito di una feroce campagna pubblicitaria che si prefigurava di cavalcare il recente successo di Jurassic Park e Indipendence Day. Il risultato finale, tuttavia, non può che deludere gli appassionati: il lucertolone americano non è infatti altro che un’iguana mutata, esteriormente simile a una sorta di dinosauro, con quasi nulla della ferocia inconoscibile e semi-divina del mostro che avrebbe dovuto ispirarlo. La stessa scena dell’emissione polmonare, piuttosto che un raggio della morte, sembra una sorta di scontro tra il contenuto combustibile dei suoi polmoni contaminati e l’esplosione di alcune automobili, calpestate accidentalmente dai suoi piedoni. Ma quel che è peggio, alla fine il mostro muore colpito da munizioni convenzionali: niente Oxygen Destroyer quindi, ne altre armi catastrofiche dinnanzi alle quali pentirsi, per l’orrore che gli uomini hanno dovuto, ancora una volta, scatenare nel proprio stesso mondo.
Interessante divagazione, a tutto ciò, offre il Godzilla anch’esso americano della serie a cartoon del 1998-2000, il cui fiato verde risulta essere in effetti una significativa divagazione dalla norma cromatica tradizionale, pur riuscendo a collocarsi in una trasposizione considerata, generalmente, assai più fedele del film di Hollywood. Ma il ritorno alla forma non tarda ad arrivare, con la Toho che famosamente indignata per le alterazioni alla propria formula praticate oltremare, ricomincia improvvisamente a produrre (un alto numero di) film, nell’interregno cronologico noto come Millennium Era (1999-2004). Questi sono tutti Godzilla altamente tradizionalistici, del tutto conformi alla visione degli anni ’70 e ’80, completi di scaglie fiammeggianti e raggi di un “gradevole” azzurro cielo. Piuttosto fedele risulta essere anche la seconda versione americana del 2014, creata dal regista Gareth Edwards per la Warner Bros. Ed è soltanto con il passaggio all’attuale epoca Reiwa iniziata nel 2016, che i creativi dietro la veneranda serie decidono di mescolare significativamente le carte in gioco, analizzando quali implicazioni ulteriori potessero nascondersi dietro la ferocia incontenibile dell’ormai familiare mostruosità. Dando immediatamente vita ad anomalie come Shin Godzilla, il lucertolone capace di aprire la sua bocca come quella di un Predator e lasciar scaturire un secondo raggio viola (colore effettivamente osservato da Cherenkov) dall’improbabile punta della sua coda. O l’ipertrofico Godzilla Earth, che avendo dominato la Terra per innumerevoli generazioni dopo la sostanziale estinzione dei suoi creatori, si è “evoluto” fino a una dimensione del doppio di quella originale (circa 300 metri) ed ha acquisito il fisico e l’espressione distinta di un vero e proprio lottatore di sumo. Benché il suo raggio radioattivo, nei fatti, non sembri essere cresciuto altrettanto (almeno secondo la versione di FilmCore) rimanendo quindi piuttosto anti-climatico rispetto all’aspetto impressionante della creatura. Conclude la carrellata, molto giustamente, il protagonista occidentale del film del 2019 Godzilla II – King of the Monsters, seguito diretto di quello del 2014 con al timone stavolta Michael Dougherty, generalmente accolto in maniera positiva dai fan.
Per un mostro che, attraverso le sue innumerevoli iterazioni, non sembra aver mai perso di vista l’intento originario che aveva dato origine alle sue terribili aggressioni verso la civiltà: colpire, catturare o sconvolgere in qualche modo la nostra fantasia. Portandoci a porre interrogativi che, attraverso le decadi, ci avrebbero permesso di comprendere alcune delle implicazioni più problematiche della storia contemporanea. Una, su tutte le altre: il fatto che il nostro pianeta abbia un’anima, la quale potrebbe un giorno risvegliarsi al fine di chiederci il conto. Per il verificarsi, a conti fatti, di conseguenze assai difficili da rimediare…