Il complicato canto dell’insetto più spinoso d’Ecuador

In bilico sopra la foglia, sin dall’epoca Giurassica, giaceva l’invitante pasto verde ed arancione. Ma il pipistrello saggiamente, prima di calare sulla sagoma evidente, fece un giro e quindi un altro, premurandosi di ponderare la questione. Poiché l’esperienza di chirottero, dolorosamente guadagnata, gli insegnava che quella particolare “cosa” aveva un’arma di difesa in grado di renderla indigesta: il fatto di essere, praticamente, un rovo con le zampe arcuate, assai difficile da masticare. Diavolo di una cavalletta spinosa, o in un’altra lingua, spiny devil katydid. Trinomio che in effetti può adattarsi a tutti gli esponenti di un genere fatto recentemente oggetto di studio da parte degli umani, composto dalle 7 varietà diverse che si accompagnano al termine latino Panacanthus: gibbosus, intensus, lacrimans, spinosus, varius, pallicornis ed ovviamente il sopra mostrato cuspidatus, grazie alla puntuale ripresa in HD del canale di Andreas Kay. Che forse non arriverei a definire specie maggiormente rappresentativa, ancorché grazie al suo insolito aspetto risulti essere, di certo, una delle più stupefacenti. Con le spine sulle zampe, sulla testa ed il pronoto (primo segmento del torace) tanto preminenti da arrivare a biforcarsi in vari luoghi e particolarmente in cima alla sua fronte, in quella che parrebbe costituire, in ottima sostanza, la più piccola ma nondimeno affascinante delle corone. Struttura, quest’ultima, ritenuta lungamente funzionale al tipico confronto tra maschi, nella continua lotta per la sopravvivenza dei propri geni. Questo almeno finché nella seconda metà degli anni 2000, attraverso una serie di studi accademici condotti nell’area geografica sudamericana, non si arrivò a riconfermare quanto già lungamente sospettato: che il principale metodo impiegato da queste cavallette per affascinare il gentil sesso è in realtà di tutt’altro tipo, appartenendo in pieno alla sfera sonora e conseguentemente, uditiva. Grazie all’impiego della particolare duplice struttura integrata nella forma delle ali, che prevede alla metà esatta di esse una striscia lievemente increspata chiamata lima contrapposta al plettro, o raschiatore, situato invece nella parte posteriore. Al che strofinando la destra con la sinistra, l’insetto produce un sibilo altamente caratteristico e riconoscibile, che può al tempo stesso essere un fattore indicativo di ottima forma fisica (garantendo in questo modo l’accoppiamento) presentando tuttavia di contro un risultato altamente problematico per la sua sopravvivenza: il fatto di offrire, potenzialmente, l’opportunità al pipistrello d’intercettarlo. A meno che specifiche risorse evolutive collaterali, come sopra menzionato, non risultino bastanti a compensare una simile vulnerabilità…

Un altro insetto approfondito in questi studi è la cavalletta Copiphora gorgonensis, dalla riconoscibile testa arancione. Ma l’opera più famosa del Dr. Montealegre resta l’aver ricreato il probabile suono di un suo antenato di epoca giurassica, grazie allo studio della forma delle sue ali.

Nell’approcciarsi al tema dei katididi ecuadoregni soprattutto su Internet, non si può che notare la ricorrenza della figura del Dr. Fernando Montealegre Z, attuale direttore del Laboratorio di Bioacustica dell’Università di Lincoln, che dello studio dell’intero genere Panacanthus, nonché svariati coabitanti del più profondo sottobosco centro e sud americano, ha scelto di fare uno dei pilastri centrali della sua carriera. A partire dall’articolo scientifico risalente al 2004, nel quale ne rivedeva l’intera classificazione tassonomica inserendo ulteriori due specie, col valore aggiunto di particolari notazioni morfologiche, ivi inclusa quella relativa a una correlazione apparente, precedentemente insospettata, tra la quantità e grandezza delle spine di una particolare varietà di cavalletta e la complessità acustica del richiamo emesso dalla stessa, esattamente come se la selezione naturale avesse fatto il possibile per compensare il rischio di richiamare attenzioni alate sulla sua malcapitata sagoma saltatrice. Per poi addentrarsi, nella parte finale della trattazione, nella particolare collocazione delle suddette spine, situate per l’appunto nella zona dorsale e la parte superiore delle zampe piuttosto che il contrario, come avviene in talune specie predatorie di cavalletta che sono solite usarle come una sorta di “gabbia” per le vittime delle loro fauci affamate. Il che lasciava intendere, per l’appunto, uno stile di vita per lo più vegetariano da parte di questi diavoli ecuadoregni, nonostante l’aspetto pseudo-fantascientifico in grado talvolta d’incutere un ragionevole riflesso d’istintivo terrore.
Per quanto concerne dunque il resto degli studi di Montealegre Z, sarebbe assoluta negligenza non citare le sue importanti scoperte sul funzionamento dell’apparato uditivo di questi insetti, la cui complessa anatomia risulta essere, nei fatti, una delle più sofisticate nell’intera classe degli insetti. Struttura risalente, come da lui dimostrato attraverso l’inferenza di un particolare esperimento, alle stagioni più remote della Preistoria terrestre, quando già le cavallette, più di qualsiasi altro artropode di questo pianeta, dovettero dimostrarsi competenti in una particolare forma di corsa alle armi: quella per udire suoni dalla frequenza sufficientemente elevata, ed al tempo stesso abbastanza bassa, da eludere e confondere i più arcinoti specialisti in materia, i già citati mammiferi volanti dalle arcinote associazioni vampiresche. Il che ha gradualmente portato alla formazione e perfezionamento di due padiglioni tubolari, notoriamente collocati sulle zampe anteriori dell’animale stesso, facenti capo a dei veri e propri timpani non dissimili da quelli dei mammiferi, capaci di trasmettere le vibrazioni a uno speciale organo vescicolare, con interazioni delle diverse parti del tutto simili a quelle dei nostri martello, incudine e staffa. Coadiuvati da una speciale alterazione morfologica finalizzata a localizzare meglio la posizione del maschio cantore, tramite l’ingrandimento di un particolare poro sull’addome, per permettere al suono di raggiungere ciascun orecchio due volte, in tempistiche differenti. Nient’altro che una mera giornata di lavoro, presso i laboratori di bioacustica dell’Università di Lincoln…

Un esempio di richiamo tendente all’ultrasuono è quello della cavalletta visivamente simile a un ragno Arachnoscelis arachnoides, che essendo priva di spine, ha visto le sue ali accorciarsi verso l’inseguimento di frequenze sempre più alte e difficili da percepire.

Mostri fuoriusciti dai nostri sogni più selvaggi, taluni insetti delle zone tropicali del mondo sembrano sfidare le più comuni logiche della natura, con le loro forme straordinarie, variopinte ed imprevedibili. Una reazione istintiva, questa, che soltanto un approfondito studio e la relativa valutazione dei fattori in gioco possono permettere di coadiuvare con l’ottimo valore della conoscenza.
Come dal canto suo potrebbe confermare anche l’incauto pipistrello, che piombando sul dorso protetto di una Panacanthus, dovesse ritrovarsi il palato graffiato dalle sue acuminate armi d’autodifesa, mille volte più efficaci di qualsiasi tentativo di mimetismo o dissimulazione. Perché il dolore, non importa quale sia la rispettiva specie d’appartenenza, non è mai tanto facile da dimenticare. Di questo si è assicurata l’evoluzione stessa dei nostri processi cognitivi, verso la costante ricerca di pur sempre validi, chiari sentieri per la sopravvivenza.

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