È soprattutto una questione di punti di vista (e d’ascolto). Mettete un musicista di fronte alla parola “Stentor” ed egli penserà, senza particolari indugi, all’importante marca produttrice di strumenti a corda, amata soprattutto per il pregio dei suoi violini. Prendete invece uno studente di lingue e mitologia classica, per fargli ricordare la vicenda di Stentore, l’araldo dei soldati greci che secondo quanto narrato da Omero, ebbe la pessima idea di sfidare a duello Ermes con la forza della propria leggendaria voce, soltanto per morire dinnanzi alla possenza sovrumana del piccato dio-messaggero. Ma provate ad approcciarvi all’argomento seduti allo stesso tavolo con un biologo, un protozoologo o un genetista, ed egli intenderà da subito qualcosa di diverso. Qualcosa di minuscolo ed al tempo stesso enorme nella sua categoria, capace di trasformarsi, estendersi, rigenerarsi. Che talvolta sembra uno strumento a fiato, intento ad emettere l’annuncio dell’Apocalisse, qualche altra, una creatura indistruttibile la pari di un’Idra. Ed in effetti, per lungo tempo fu classificato erroneamente nella tentacolare categoria tassonomica dei microrganismi che condividono con essa nome, forma e propensioni (ma non, sia lode, dimensioni). Mentre per quanto concerne la questione della voce, mi rincresce ammettere come lo Stentor o animalculum trombetta, non ne possieda alcuna. Il che è davvero, davvero, davvero un gran peccato, quando si considera la quantità notevole d’insegnamenti che potrebbe, almeno in linea di principio, trasmettere all’umanità.
Stiamo parlando, tanto entrare nello specifico, di un protista eucariota, ovvero dotato di membrana e nucleo, che è anche uno degli esseri unicellulari più grandi al mondo. E senz’altro il maggiore che sia in grado di muoversi, riprodursi e cacciare in maniera paragonabile a quella degli animali più grandi. Creatura che il nuovo canale di YouTube Journey to the Microcosmos, con immagini di James Weiss, musica di Andrew Huang e la voce narrante del rinomato video blogger scientifico Hank Green, non esita a paragonare per carisma potenziale al più che mai memetico tardigrado (il cosiddetto “orsetto d’acqua” – vedi articolo) benché appartenente a un phylum totalmente diverso. Una letterale mostruosità del microscopico stagno, capace di raggiungere facilmente una lunghezza di svariati millimetri risultando perfettamente visibile ad occhio nudo, benché un proposito decisamente meno raggiungibile risulti essere distinguere, persino sotto l’occhio di un microscopio, la fitta chioma dei suoi essenziali organi finalizzati all’interazione con l’ambiente. Secondo la classificazione odierna lo stentor rientra infatti tra i ciliati, mostriciattoli capaci di spostarsi nell’acqua mediante l’impiego della versione più piccola e più numerosa di un flagello, benché sia chiaro che siamo di fronte a un organismo preferibilmente sessile, che quindi tende ad attaccarsi a microparticelle, granuli di sabbia o altri oggetti sul fondale, trasformandosi sostanzialmente nella versione super-aggressiva di un anemone di mare. Ciò perché, diversamente da quest’ultimo, il potente microbo ha ricevuto un ulteriore nonché prezioso dono dall’evoluzione: la capacità di diventare luuungo, lunghissimo, praticamente un’anaconda in proporzione…
Spettrali esseri dentro lo stagno, presenze che accompagnano, non viste, la nostra presenza in questo mondo. I protisti, come regno animale, possono costituire un chiaro esempio di come la natura scelga di operare secondo linee guida estemporanee. Capaci di condurre, quasi sempre e senza falla, verso i massimi valori di efficienza, economia energetica, voracità. C’è in effetti qualcosa di straordinariamente emozionante, benché sinistro, nell’assistere alla maniera in cui lo stentor riesce ad influenzare le correnti naturali del sottile strato d’acqua in cui vive, mediante il movimento sincronizzato delle sue ciglia, per attirare in trappola un rotifero, piccola ameba o variabile tipologia di paramecio, al fine d’inglobarlo nei suoi organelli digestivi, prima d’iniziare laboriosamente a trasformarlo in carburante per estendere la sua vita. Tutte creature, è importante ricordarlo, che sono state dimostrate possedere una capacità di risposta agli stimoli nonché una limitata memoria. Entrambe chiare indicazioni di un qualche tipo d’inspiegabile, innegabile intelligenza. Detto ciò, non tutte le 20 specie note di stentor (per la cronaca, si sospetta ne esitano MOLTE altre) sono solo, né primariamente carnivore. Fa eccezione in modo particolare lo Stentor Polymorphus, essere capace di stabilire una relazione simbiotica con un certo tipo di microalghe anch’esse unicellulari, che ricoprendo letteralmente il suo corpo si dimostrano capaci di fornire nutrimento, ricevendo in cambio la protezione concessa dall’enorme, spaventosa creatura. Dal punto di vista fisico, nel frattempo, tutti gli appartenenti a questo genere possiedono gli stessi tratti distintivi. Tra cui spicca la presenza di non uno, bensì due tipi di nuclei cellulari, il micro (presente spesso in più occorrenze) ed il macro, dalla notevole forma allungata. Questo poiché trattandosi di una struttura poliploide, quest’ultimo contiene ripetuto molte volte l’intero codice genetico dell’animale, garantendo la sopravvivenza dell’intero manuale d’istruzioni, per così dire, nel caso tutt’altro che infrequente in cui lo stentor debba separarsi da una parte del proprio stesso corpo. Il che succede, generalmente, nel momento della riproduzione, ma anche a seguito dell’attacco di un ancor più rapido, e vorace predatore, eventi a seguiti dei quali ciascun brandello rimasto potrà gradualmente e senza nessun tipo d’esitazione ricostruire la propria forma primordiale completa.
Particolarmente appariscenti risultano quindi essere le molte colorazioni dimostrate dagli stentor, che possono variare dal verde al rosso (S. igneus) al grigio (S. roseli) fino all’appariscente blu cielo dello Stentor ceruleus, donatogli dalla stentorina, un pigmento che l’animale può anche rilasciare a scopo difensivo come una seppia, benché si ritenga che la sua funzione principale sia permettergli, in qualche maniera poco chiara, di percepire e reagire alla luce. Da cui naturalmente tende a nascondersi, prima di assumere la forma “a tromba” e mettersi in agguato.
Il che permette di conclude il quadro di un mostriciattolo la cui esistenza, sotto molti punti di vita, potrebbe popolare i nostri incubi più sconvolgenti, se soltanto avesse dimensioni comparabili alle nostre. Prima che la fortuna, o il preciso Fato scritto dentro il nostro codice, ci permettessero di beneficiare della collaborazione tra più cellule, nondimeno assai più piccole e deboli di una simile creatura. Perché l’unione, come si dice, fa la forza e ciò si dimostra tanto maggiormente vero, quanto ciascuno dei singoli elementi coinvolti possiede una serie di tratti distintivi, individuali doti e specializzazioni. Chi vuol fare tutto, raramente ha l’opportunità di emergere! Almeno, dal consorzio acquatico di alcuni degli abitanti più antichi, semplici e per certi versi feroci dell’impietoso globo terracqueo sopra cui viviamo.