Per un tempo assai lungo si è pensato che la Luna, astro più grande e facilmente osservabile della volta celeste, potesse ospitare intere popolazioni di creature in qualche modo appartenenti al mondo della leggenda. Rettili o crostacei striscianti negli oscuri recessi dell’altra Faccia, con le caratteristiche di esseri più o meno intelligenti, capaci di prosperare in maniera totalmente distinta rispetto alla multiforme, brulicante società degli umani. Mostriciattoli che avrebbero un giorno, per ragioni largamente difficili da immaginare, disceso il lungo ancorché tenue collegamento costituito dal vasto spazio vuoto che ci separa, discendendo fili diafani come ragnatele, per venire a chiederci il conto dei molti secoli, o millenni di solitaria soddisfazione dei nostri bisogni. Ma la Luna non agisce soltanto in maniera diretta, possedendo in se stessa il potere d’influenzare, con la propria massa relativamente notevole, il moto ondoso delle maree. Ecco dunque il modo in cui da svariate decadi, a ogni volgere di un giorno propizio sul calendario, l’armata degli esseri d’oltremondo compare non più sulla cima di remote montagne, bensì presso la località di spiagge altamente rinomate, dove al ritirarsi della spuma oceanica questa presenza inusitata compare in tutta la sua orribile moltitudine. Più morta che viva e proprio per questo, maleodorante.
“Amico, com’è il mare oggi?” Chiede il giovane surfista al collega di ritorno da un pomeriggio di svago sotto lo sguardo attento di Nettuno: “Piacevolmente mosso ed accogliente. Ma sappi che sono tornati di nuovo i tuna crabs” Orrore. Dispiacere. Seguito da raccapriccio. Soprattutto per tutti coloro che amando ogni tipo di animale, non possono restare indifferenti dinnanzi al fascino lungo 9-10 cm di una creatura tanto sotto-dimensionata rispetto alla convenzione e proprio in funzione di ciò, capace di suscitare istintivamente il senso di perdita per molte, segmentate quanto incolpevoli vite. Stiamo parlando di un fenomeno, capace di fare la sua comparsa ancora una volta in questo periodo di giugno-luglio del 2019, già sperimentato da queste parti nel corso delle ultime due decadi (e forse anche prima) ogni qual volta la temperatura sale al di sopra di una certa soglia, spesso per il ritorno del fenomeno atmosferico noto come El Niño-Oscillazione Meridionale, che allenta almeno per mare il fatale confine percepibile tra la confederazione dei cinquanta Stati Uniti e l’assolata nazione messicana. Per cui spingendosi a settentrione della lunga striscia di terra della Baja California, enormi quantità del crostaceo composito denominato scientificamente Pleuroncodes planipes subiscono quindi le conseguenze di uno shock termico e la mancanza di cibo rispetto alle abitudini pregresse. Finendo spiaggiati, nonché morenti, a pochi metri di alcuni punti di aggregazione particolarmente cari alla popolazione locale. Vedi ad esempio la spiaggia dell’eponima Redondo Beach, cittadina ormai abituata a convivere periodicamente con il problema, facendo persino buon viso a cattivo gioco. Un po’ come gli astronomi del Mondo Antico, che in assenza di ausili ottici, dovevano supplire alle proprie manchevoli conoscenze mediante l’impiego della fantasia…
Ho poco fa definito il tuna crab una creatura composita, come i mostri terribili dei bestiari medievali, composti da un complicato miscuglio di teste, code, corpi, volti ed ali prelevati nei più remoti recessi del mondo animale, proprio perché esso contiene, in se stesso, il principio generativo di una serie di alterne creature. In primo luogo, come dato ad intendere dal nome statunitense, quello del granchio in funzione delle cinque paia di grossi pleuropodi (arti anteriori) tra cui i primi due dotati di grosse e forti chele, il cui pizzico non propriamente piacevole è stato sperimentato da più di un coraggioso incapace di rinunciare alle proprie abluzioni salmastre nel corso di un evento d’invasione insistentemente rossastro e persistente. Il che lascerebbe presagire per l’appunto al consorzio dei granchi, come quegli altri esseri divorati sistematicamente dai tonni capaci di donare la seconda parte del nome, che sono soliti trasformali in graditi nonché nutrienti snacks. Benché simili zampettanti presenze appartengano, di nome e di fatto, alla superfamiglia Galatheoidea, una delle due capaci di comporre il gruppo informale delle cosiddette aragoste tronche, ovvero (almeno apparentemente) prive della parte posteriore dell’addome o pleon, ivi inclusa la coda. Benché basti un osservazione soltanto leggermente più approfondita per scoprire come un tale importante arto si trovi nei fatti ripiegato al di sotto del cefalotorace, pronto ad essere sfruttato per la rapida propulsione in caso di qualsivoglia pericolo, come l’avvistamento di un possibile predatore. Il che diventa niente meno che fondamentale quando si considera lo stile di vita del granchio-aragostina in questione, alternativamente inseribile nella categoria degli esseri del dominio pelagico (capaci di sopravvivere nel grande spazio azzurro del vasto mare) oppure in quella dei loro colleghi della zona bentica (collocata in corrispondenza o prossimità del fondale) passando dal primo insieme al secondo generalmente al raggiungimento dell’età adulta, quando la loro dieta smette di contenere primariamente plankton e protisti, passando al filtraggio delle minuscole particelle d’alga trascinate in giro dalla corrente. Assolvendo a una funzione nei fatti primaria dal punto di vista ecologico, proprio perché permette di convertire simili sostanze nutritive in una forma e dimensione adatta affinché possano alimentare creature di dimensioni ed importanza trofica superiore. Per lungo tempo, del resto, questa doppia vita ha dato luogo a un fraintendimento capace di lasciare perplessi i biologi, relativo al modo in cui le larve zooidi deposte al termine di ciascun ciclo riproduttivo in Messico e California venivano immancabilmente trascinate verso il largo, senza tuttavia vedere una corrispondente diminuzione della popolazione costiera di tali esseri rossastri. Finché non si è scoperto, attraverso l’analisi sistematica dei microrganismi marini, come tali forme ultra-giovani facessero ritorno al punto di partenza proprio in forza delle correnti oceaniche sub-superficiali presenti a queste latitudini, il cui senso di marcia risulta si sviluppa in opposizione a quello delle alternative più largamente studiate e conosciute dai marinai.
Spiegato il problema, dunque, sarà meglio analizzare le possibili soluzioni. Che nei fatti risultano essere, ahimé, piuttosto limitate: questo perché come ogni estate, proprio in questa stagione, presso le stesse località californiane si verifica il ritorno annuale del grunione (gen. Leuresthes) pesce famoso per la sua abitudine di deporre le uova in spiaggia prima che l’alta marea lo riporti da dove è venuto (vedi precedente articolo) una strategia valida per proteggere i piccoli dai predatori, ma non dalle intromissioni, spesso involontarie, degli operatori ecologici umani. Ed ecco perché un rastrellamento sistematico dei granchi del tonno defunti risulta decisamente sconsigliabile, pena la sistematica distruzione di un’intera generazione dello stimato quanto incolpevole nuotatore. Nel frattempo l’ipotesi alimentare di uno sfruttamento sistematico di questi esseri non può che essere scartata, in funzione del contenuto probabile di tossine all’interno di tanti incontrollabili organismi, provenienti chissà da dove. Anche nella migliore delle ipotesi, del resto, la preparazione gastronomica del granchio del tonno non ha mai portato ad un’industria particolarmente redditizia, in funzione di un gusto non particolarmente gradevole e della poca quantità di carne nascosta sotto il suo esoscheletro setoso e bitorzoluto.
Senza scaglie ma con plurimi segmenti, il piccolo visitatore condotto presso i nostri lidi dalla Luna continua inconsapevolmente a porre in moto la sequenza che conduce senza falla verso la propria esalazione di un ultimo, sofferto respiro. Ben sapendo la ragione non può che mettersi di lato, lasciando il posto all’irrimediabile verificarsi degli eventi. Sostituita durante il lungo sonno dalla controparte ben più versatile, l’istinto. Che ogni desiderio animale, con tutte le molte implicazioni immaginabili, determina e governa.