Per alcuni un frutto, secondo altri, una verdura. Ma per noi che ci viviamo sopra, 30, 35 bruchi a macchie bianche e nere, il pianeta ed una stella al tempo stesso, che permette di raggiungere il momento della verità. Duri e molli proprietari, al tempo stesso e in base alle diverse circostanze, delle alterne foglie della pianta di pomodoro. Per trasformazione/metamorfosi ovvero l’effettiva messa in essere, dello spirito dell’animale che realizza il sogno contenuto nel copione sussurrato nelle nostre antenne dalla voce impercettibile della natura: “Mangia, mangia e cresci, lepidottero dei territori tropicali, finché il tuo corpo non diventa inamovibile cristallo. Quindi diafano, poi traslucido e Volante.” Eppure statemi a sentire, miei fratelli dalle corte protozampe e quei sericeri grondanti filo appiccicoso, quando dico che il pericolo si annida selle nostre teste. In modo totalmente letterale, soprattutto al principiar d’estate, quando i piccoli d’uccello si trasformano in fameliche creature, pronte per piombare ai margini della coscienza, facendoci a brandelli l’uno dopo l’altro, fino a sazietà. E soprattutto ricordate di essere brillanti. Splendidi ed appariscenti, come furono, prima di noi, innumerevoli generazioni dei predecessori. Poiché là dove il volatile o il nemico ragno, la scimmia insettivora del Centro America e altre orribili creature, mangiano una cosa verde o gialla senza nessun tipo d’esitazione, un tutt’altro tipo di racconto può venire dall’avvistamento di costoro della nostra schiatta, che raggiunta l’era della prima metamorfosi, presentino la loro stessa immagine riflessa grazie allo splendore… Del metallo!
Sulle crisalidi d’oro Internet si è espressa in vari tipi di frangenti, con il classico stile memetico e approssimativo delle “immagini shock” create per i social, blog e gli altri enumeratori di piccole pillole d’intrattenimento. A partire dall’affermazione, totalmente priva di senso, secondo cui le larve delle farfalla Mechanitis polymnia o Tithorea harmonia possiederebbero l’inusitata capacità di consumare particelle di metallo (prelevate non si sa da dove) per integrarle nella costruzione del loro “bozzolo”. Benché tale tipo di pupa protetta dal filo di seta, totalmente differente dalla crisalide che è frutto dell’indurimento del bruco stesso, sia piuttosto associata alle specie imparentate alla lontana che rientrano nella categoria delle falene. Come altrettanto illogica sembrerebbe, senza neppur tentare l’impossibile ricerca scientifica in materia, l’utilizzo leggendario di simili piccoli animali, usati a guisa di valuta da un presunto e non meglio definito “popolo antico” (forse dovrebbe trattarsi degli Olmechi?) Quando l’evidenza c’insegna come, una volta che il bruco ha completato la propria trasformazione, la crisalide diventa estremamente fragile, tanto da andare in pezzi non appena viene presa in mano senza la necessaria cautela. Ecco, dunque, l’effettiva verità: determinate tipologie di farfalle neotropicali originarie di Nicaragua, Costa Rica e Panama si vestono d’oro nel periodo maggiormente statico della loro vita, non per attirare sguardi ammirati, bensì al fine di respingere tutte quelle creature che, immediatamente sospettose, le scorgono al di sotto delle foglie delle soleneacee (patata, pomodoro, melanzana et similia) sotto le cui foglie riescono a schiudersi le rilevanti uova. Il che del resto, sembrerebbe in effetti riconducibile a un valido senso d’autoconservazione…
La terminologia specifica prevede, come forse già saprete, l’identificazione del processo di colorazione aposematica, ovvero quella caratteristica innata, spesso da noi associata ad api, vespe ed altri insetti con il pungiglione, che agisce come un cartello di pericolo, segnalando ai potenziali nemici la natura niente affatto commestibile (o facilmente catturabile) di una specifica creatura. E non per niente la caratteristica livrea a strisce nere in grado di crear contrasto in queste crisalidi ricorda, in maniera ragionevolmente palese, quella dei suddetti imenotteri eusociali, notoriamente in grado di montare un’operosa e strenua difesa dell’alveare. Laddove il metodo impiegato per proteggere se stesse dalle farfalle tigre, sia quelle del genus Mechanitis comunemente associate all’immagine fatta circolare su Instagram, sia le loro cugine rientranti nel gruppo delle Tithorea o la relativamente vasta tribù delle Ithomiini in un chiaro caso di evoluzione convergente verso obiettivi comuni, prevede un approccio più sottile e per certi versi, capace di assolvere egualmente al fine predeterminato. Che consiste, per riassumerlo, in una cosa solamente: avere un pessimo sapore. Un proposito perseguito, successivamente al raggiungimento dell’età adulta dopo i circa 30 giorni richiesti dalla schiusa fino all’ultima muta del bruco e l’ulteriore settimana o due nello stato di pupa, grazie alla visita reiterata, sopratutto da parte degli esemplari maschi, di fiori di girasole, tarassaco e/o varie piante boraginaceae, tutte indifferentemente caratterizzate dall’alto contenuto di alcaloide pirrolizidinico, una sostanza sostanza lievemente velenosa, e comunque dal sapore avverso, per qualunque aspirante catturatore.
Detto ciò, l’effettiva natura riflettente dell’involucro chitinoso della crisalide ha in realtà funzioni ulteriori oltre a quella di segnalare la propria pericolosità. Tra cui risulta maggiormente affascinante, senz’ombra di dubbio, l’ipotesi che produca un qualche tipo di movimento o discontinuità allo sguardo dei predatori, tanto raro nell’ambiente naturale da metterli tutti indifferentemente a disagio. Secondo altri, invece, proprio tale caratteristica sarebbe valida nel creare l’illusione di un guscio vuoto, come quella prodotta dai semi a macchie di determinate piante, che in questo modo cercano di sfuggire dallo stomaco dei loro volatili e indesiderati consumatori. Una metodologia frutto, nel qui presente artropode caso, di un processo biologico noto come colore strutturale, nel quale le proteine polisaccaridi vengono disposte in strati cellulari discontinui, capaci per questo di distorcere e rimandare indietro la luce. Il che sottintende una precisa e delicatissima struttura, che neppure queste farfalle possono mantenere durante l’intero corso della loro metamorfosi, tanto che la colorazione dorata scompare naturalmente dopo pochi giorni dal momento in cui l’insetto cessa temporaneamente di muoversi, rendendo ancor più improbabile la teoria relativa all’impiego di questi esseri come una sorta di sfavillante, fin troppo transitoria forma di valuta.
Come da programma largamente acquisito e pressoché irrinunciabile nelle trattazioni generiche di determinate circostanze naturali, soprattutto su queste pagine, sarà a questo punto opportuno ricordare quanto tutti sappiamo fin troppo bene. Benché sia comprensibile tentare di spingerlo in fondo alla nostra cognizione acquisita dello stato dei fatti in essere durante il corrente cursus generazionale: il triste fatto che l’ambiente naturale d’appartenenza di simili meraviglie risulti, ahimé, soggetto a procedure di sfruttamento tutt’altro che sostenibili, finalizzate alla raccolta di legname, all’aumento di spazi agricoli e la costruzione di risorse utili a incrementare il turismo di simili paesi, dalle prospettive economiche non propriamente eccelse all’interno dell’attuale, difficile scenario globalizzato.
Che cosa possiamo dunque sperare di fare noi, consumatori di stereotipi digitali, ormai rimasti privi di approcci o metodologie dirette a indurre un cambiamento positivo nel mondo e tutti coloro che predicano maggiore efficienza e profitto, in politica come nell’industria e così via a seguire? Se non prendere atto dell’esistenza di cose tanto meravigliose e per quanto possibile, scegliere di farlo dall’A alla Z. Perché se mai le nuove generazioni troveranno il modo di cambiare le cose, sarà perché hanno scoperto il loro effettivo ed imprescindibile valore. Che siano grandi, piccole o sanguigne, soprattutto quando rimandano la luce tinta di rosso dai vermigli riflessi di un pomodoro.