Nello scenario altamente dinamico di un conflitto aereo contemporaneo, caratterizzato da tempi d’ingaggio che raramente superano i 4 o 5 minuti prima che la supremazia possa essere conseguita dall’una o l’altra delle due fazioni, cui appartengono velivoli dal raggio progressivamente più elevato e versatile, difficilmente potrebbe sussistere l’intervento di un punto d’appoggio tattico a terra verso cui veicolare le informazioni, affinché il comando centrale possa prendere e restituire un qualche tipo di scelta informata di seconda mano. Per questo è essenziale che i piloti al comando, supremi comandanti de-facto del loro operato nei momenti di maggior tensione e importanza nella risoluzione delle loro missioni, dispongano del maggior numero d’informazioni concesse dalle moderne metodologie di rilevamento ed elaborazione dei dati. Detto ciò, sussiste pur sempre un limite inerente alla quantità di sistemi, antenne e sensori che possono prendere posto all’interno della carlinga di un aeromobile da combattimento, soprattutto se abbastanza compatto e manovrabile da funzionare con la mansione principale di intercettore o interdittore delle attività nemiche poco al di sopra dello strato di nubi che ci separa dalla troposfera. Ecco spiegata dunque l’utilità degli apparecchi attrezzati con funzione di AEW&C (Airborne Early Warning and Control) generalmente identificati dalla cultura popolare, almeno quando si ricorda di citarne l’esistenza, attraverso l’impiego generico dell’antonomasia AWACS (Airborne Warning and Control System) benché tale nome appartenesse generalmente a uno specifico modello d’aereo, basato sul Boeing E-767 e costruito dall’azienda statunitense nel 1994 per le Forze Aeree di Autodifesa del Giappone, dal riconoscibile radome a fungo o pulsante che dir si voglia, capace d’identificare e classificare un ampio ventaglio di minacce, tutte per lo più volanti. In un’era militare relativamente distante da quella odierna, benché almeno un fattore su tutti sia rimasto sostanzialmente invariato in questo suo specifico discendete prodotto dalla Saab svedese, fornitore di mezzi e armamenti militari nei confronti di svariate dozzine di nazioni: la scelta di utilizzare, come base, un aeroplano di tipo civile. Questo primariamente per contenere i prezzi di ricerca o sviluppo, o almeno così riesce facile immaginare, benché sia innegabile la funzione di un simile meccanismo coincida, nei fatti, con la dote considerata più importante in qualsivoglia tipo di trasportatore o aereo passeggero dei cieli: economia, e quindi autonomia di volo. Entrambi aspetti prestazionali in relazione ai quali il Bombardier Global Express impiegato dalla Saab non ha da invidiare nessun altro tipo di jet concepito per l’uso privato da parte delle aziende, magnati della finanza o capi di stato. Con i suoi 20.400 Kg di carburante a pieno carico capaci di garantire il trasporto, in condizioni di convenzionali, di fino a 19 passeggeri per oltre 11.000 Km di distanza, o come nel caso specifico di questa soluzione d’impiego, volare in cerchio per molte ore sopra l’Europa, l’Asia o i delicati recessi geografici del Medio Oriente, garantendo una copertura del suo occhio nel cielo di fino a 450 Km tutto attorno alla sua riconoscibile forma con ali a freccia e lo strano oggetto parallelo all’estendersi dell’affusolata carlinga, situato a una quota sufficientemente alta per superare almeno in parte la problematica curvatura dell’orizzonte. L’ideale “maniglia” di cui sopra, in realtà contenente null’altro che l’eccellente radar sviluppato appositamente a tale scopo dal nome commerciale di Erieye, un dispositivo doppler a impulsi relativamente convenzionale nel suo funzionamento, fatta eccezione per le funzionalità di tipo AESA (Active Electronically Scanned Array) capaci di dirigere il fascio delle onde elettromagnetiche nella direzione scelta senza far girare fisicamente l’antenna. Il che garantisce una forma decisamente più aerodinamica dell’iconico fungo di molti dei sistemi AWACS preesistenti, benché i veri punti di forza del Globaleye risultino essere di natura decisamente più sottile, meno difficile da desumere in maniera intuitiva e capace di andare molto più a fondo nel cambiare determinati approcci all guerra aerea dei nostri giorni…
Immaginate, quindi, uno squadrone di caccia ad alte prestazioni che operano all’interno di una vasta no-fly zone controllata da qualche potenza militare dotata degli ultimi armamenti e tecnologie. I cui componenti ai comandi di ciascun velivolo dovranno operare, per un’ampia parte delle loro ore di volo, in solitaria o al massimo in coppia, al fine d’intervenire nel momento in cui qualcosa di sospetto dovesse venire intercettato dagli apparecchi AEW&C assegnati al loro teatro operativo. Ora, nel caso in cui tale eventualità dovesse tuttavia coinvolgere truppe o manovre di terra, gli unici dati di cui i suddetti piloti potranno disporre saranno quelli trasmessi loro, vocalmente, attraverso la radio di bordo. Mentre per quanto concerne i dati elettronici registrati dal radar principale dei loro controllori tattici, sarà possibile godere di un’ampio ventaglio di sistemi d’avionica integrati col flusso di dati proveniente dalla controparte. Perché non dotare, sembrerebbe quindi aver pensato la SAAB, lo stesso AEW&C di sensori capaci di rilevare la precisa posizione di mezzi e imbarcazioni di un qualsivoglia ipotetico nemico? Ciò detto, naturalmente il radar marittimo e il dispositivo EO (Electro-Optical) per il rilevamento termico situati nella parte inferiore della scocca principale del Global Air non possiedono certo l’eccezionale raggio dell’Erieye sovrastante. Pur garantendo, senza il coinvolgimento di ulteriori dispositivi satellitari o droni, un’adeguata copertura a 360 gradi dello scenario oggetto di sorveglianza, garantendo un quadro realmente preciso agli ufficiali che dovranno, dalla cabina stessa di questo aeromobile, scegliere in chi modo dirigere le pedine ruggenti della loro scacchiera ormai da tempo digitalizzata. Altro aspetto interessante del sistema di rilevamento impiegato dalla Saab è la funzionalità sulla banda S del radar principale a forma di maniglia, capace di garantire un fascio d’illuminazione elettromagnetica maggiormente concentrato e per questo difficile da individuare per gli eventuali nemici, benché il jet fornito da Bombardier sia stato anche equipaggiato di una completa suite di contromisure (chaff & flare) situata all’interno di un apposito alloggiamento in prossimità della coda. Completano il corredo dei dispositivi a bordo quel complesso sistema informatico di elaborazione dei segnali che prende il nome di IFF (Identification Friend or Foe) incaricato di segnalare quando, al di là di ogni possibile dubbio, una fonte del segnale può unicamente appartenere a un aeromobile considerato pericoloso, e strumentazione non meglio definita per condurre attività di ELINT (ELectronic INTelligence) ovvero lo spionaggio attraverso metodologie elettroniche, capace di localizzare mezzi o installazioni attraverso l’interscambio di comunicazioni da parte dell’altrui catena di comando. Unico impiego potenzialmente offensivo, quest’ultimo, di uno strumento militare concepito sostanzialmente per difendere un’area dall’ingresso di problematici e inaspettati visitatori, piuttosto che dirigere munizioni distruttive verso inconsapevoli bersagli. Nella conduzione di un tipo di battaglia che, per quanto basata comunque su rapporti di forza e prestazionali, lascia quanto meno lo spiraglio di una possibile soluzione incruenta a possibili contingenze dalle molte ramificazioni politiche e internazionali.
Risulta quindi possibile affermare che il Globaleye, con la sua vasta selezione di caratteristiche, possa rappresentare un’ulteriore evoluzione del concetto stesso di un aereo incaricato nell’attività di sorveglianza e verifica di un’intero teatro di volo? Il concetto stesso di aerei AEW&C nasce, all’insaputa di molti, già durante la seconda guerra mondiale, con il sistema radar montato dagli ingegneri aeronautici inglesi su speciali bombardieri Vickers Wellington con l’obiettivo di localizzare e permettere l’intercettazione dei missili tedeschi balistici V-1 e V-2. Per un lunghissimo tempo, quindi, il non-plus ultra di questo campo sarebbe stato rappresentato dal Lockheed EC-121 Warning Star statunitense, costruito nel 1949 ed impiegato con profitto fino al termine della guerra del Vietnam. Ciò detto, sia il già citato Boeing E-3 Sentry che l’assai più piccolo Northrop Grumman E-2 Hawkeye, capace di operare dalle super-portaerei delle principali forze armate americane, per non parlare delle loro controparti prima sovietiche e poi russe Tupolev Tu-95/116, non rappresentarono altro che un’ulteriore evoluzione dello stesso concetto di base: un radar volante capace di rilevare in anticipo possibili minacce provenienti dal cielo. Benché sia opinabile, dunque, che un AEW&C o AWACS che dir si voglia possa sostituirsi alla notevole efficienza di un’effettiva rete d’intelligence per prevenire attacchi a sorpresa via terra o mare, resta innegabile che qui dove si è avventurata correntemente la Saab, nessuno avesse tentato di farlo prima d’ora.
Il che sembra aver catturato la fantasia di almeno un possibile cliente, gli Emirati Arabi Uniti, che hanno già provveduto a ordinare tre velivoli della nuova serie del rinomato produttore svedese. Mentre già sembrerebbe almeno possibile, considerato il precedente ordine dei pur ottimi caccia Gripen, che altre forze aeree come quella di Thalandia, Sud Africa, Ungheria e Brasile possano in futuro partecipare al programma, decidendo di aggiungere uno o più esemplari al proprio parco di volo. Null’altro di concreto, tuttavia, si è ancora palesato all’orizzonte. Stiamo del resto parlando di un singolo velivolo capace di portare significativi cambiamenti all’intero impianto strategico e l’aviazione militare di un paese. Il che comporta condizioni e presupposti specifici nelle dinamiche di leadership, nonché mutamenti nel tipo di autonomia concesso ai piloti. Che non potranno più essere, in ultima analisi, artefici del proprio stesso destino.