L’uomo in abito da lavoro percorre in bicicletta la sezione urbana di quel pezzo di storia degli Stati Uniti che rappresenta, nella cultura di massa, la leggendaria Route 66. Ex arteria di collegamento per lo spostamento verso ovest, dalla parte meridionale del Canada fino alle fresche coste del Pacifico, oggi sostituita come linea per il trasporto da un diverso tipo d’interstatali, più corte, moderne e facili da mantenere. Ovunque ma non qui, presso il consorzio urbano da 160.000 abitanti noto come “La regina degli Ozarks” sede di un certo numero di industrie dei più svariati settori operativi. Per le quali, ogni spedizione e ricezione di materie prime sembra transitare per una particolare zona nel settore nord-orientale, dove i camion sembrano svanire e poi ricomparire anche diversi giorni dopo, a comando. Col procedere della sequenza se ne può capire finalmente la ragione: quando il ciclista Keith Donaldson, titolare del canale Goat Rides, si ritrova di fronte all’ingresso di un tunnel stranamente fuori luogo, al termine di un viale occupato da fitte villette a schiera. Oltre il quale si spalanca un mondo sotterraneo tale da far invidia alle stesse miniere naniche di Moria.
Scrisse lo storico R. I. Holcombe: “La città prende il nome dal fatto che c’era una fonte (spring) in prossimità del ruscello, mentre sulla cima della collina, dove sorgeva il paese era situato un campo (field)” Eventualità come sappiamo non propriamente rara, vista la presenza di almeno altri quattro centri abitati in tutti gli Stati Uniti, caratterizzati dallo stesso criterio toponomastico e identica conclusione finale. Per non parlare dell’ancor più celebre città di natìa della famiglia più gialla e di lunga data dell’intero mondo dei cartoni animati. Ciò detto, persino gli sceneggiatori delle bizzarre vicende vissute da Homer, Bart e compagnia bella resterebbero almeno per qualche secondo interdetti, nell’apprendere quanto la realtà riesca a superare talvolta la fantasia. Varcando con la mente (o perché no, il corpo) la stessa soglia del ciclista con barba caprina che in effetti scopriamo, proprio in questo frangente, lavorare in un imprecisato recesso del vasto dedalo sotterraneo. Rappresentante a pieno titolo una visione, come dicevamo, niente meno che tolkeniana: quasi subito al termine del tunnel di accesso, lo spazio sembra quindi allargarsi a dismisura, con vani vasti che si perderebbero senz’altro nell’oscurità, se non fosse per i molti chilometri di lampade lineari installate nei soffitti alti fino a 13 metri. Giganteschi ed impressionanti pilastri, ricavati dalla roccia viva stessa, decorano sale dalle dimensioni paragonabili a interi parcheggi di un centro commerciale. Pesanti tendoni di colore giallo bloccano l’accesso a colossali varchi, oltre i quali presumibilmente si accede a sezioni non ancora messe in sicurezza della vecchia miniera. Già perché proprio di questo si tratta, o per meglio dire trattava in origine, come per convenzione prevista in questa remota zona degli Stati Uniti dell’entroterra continentale, caratterizzata da un paesaggio carsico di per se stesso ricco di giacimenti minerari a base di prezioso calcare (limestone). Ma sono ormai anni che gli stabilimenti sotterranei della Springfield Underground di Louis Griesemer, amministratore storico della compagnia, non lavorano più a regime per il progressivo esaurimento della riserva locale sfruttabile in maniera economicamente proficua, man mano che le scavatrici vengono fatte ritirare dai ciclopici corridoi mai battuti dalla luce del Sole. Lasciando il posto, in maniera altamente caratteristica, a un diverso tipo d’impresa, corrispondente grossomodo a quella edilizia dei territori situati al di sopra della verdeggiante superficie terrestre. Perché costruire dei magazzini esterni, quando già si possiede un vasto spazio vuoto al di sotto dell’abbraccio protettivo del più stabile e rassicurante degli elementi? Perché investire ingenti cifre per refrigerare i propri prodotti, quando esiste a poca distanza un ambiente che si trova sempre naturalmente a 14 gradi, indipendentemente dalle condizioni climatiche vigenti? Perché distruggere quanto si è ricavato in tanti anni di duro lavoro, per quanto in maniera collaterale, quando se ne può trarre un profitto che sembra aumentare col trascorrere delle generazioni…
Springfield Underground nasce, in qualità miniera, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando nel 1946 Griesemer padre, investendo le somme concesse da un gruppo di facoltosi imprenditori locali inizia ad interessarsi all’occulto cuore dell’altopiano, notoriamente ricco del residuo di falde acquifere dimenticate. Lo stesso calcare che infastidisce gli idraulici dei nostri tempi in effetti, fatte le debite proporzioni, può risultare in quantità ingente utile in molti settori: per concimare in agricoltura, per la produzione di materiali edilizi tra cui certi tipi di cemento, per la rimozione sistematica dello zolfo dai gas industriali più inquinanti. Trovando inoltre posto come componente primario di dentifrici e, una volta purificato ancor più approfonditamente, persino nel pane e nei cereali come fonte alimentare di calcio. Entro il 1954 quindi, esaurita l’estrazione del minerale situato più in superficie, un affiatato team di circa 20-30 minatori iniziò a scavare i tunnel sotto ed attorno alla città, inoltrandosi progressivamente lungo l’estendersi di uno strato mineralogico disposto per lo più in orizzontale. Un tipo di stato dei fatti, questo, che invita l’implementazione del sistema minerario detto room & pillar ovvero [della] stanza e pilastro, configurato come un succedersi di ambienti squadrati tagliati via e processati lontano dall’area operativa, in mezzo ai quali vengono lasciati integri dei veri e propri colonnati di enormi colonne allo scopo di prevenire crolli di qualsivoglia tipo. Con la sicurezza addizionale delle “barriere” ovvero intere muraglie tra un colonnato e l’altro, capaci idealmente di resistere a un’eventuale (e potenzialmente rovinosa) reazione a catena. Ciò detto, esiste un preciso momento in cui questo tipo di miniera riesce a rivelarsi estremamente pericolosa, costando la vita a una quantità stimata del 25% di tutti i minatori morti sul lavoro nel corso della storia degli Stati Uniti: quello in cui, terminato il minerale più facilmente estraibile, il team deve occuparsi della quantità contenuta dai pilastri stessi, iniziando a demolirli mentre ci si ritira, un poco alla volta, verso l’unica possibile via d’uscita. Al che ragionevolmente Griesemer figlio dev’essersi chiesto, attorno al 1960: “Perché mai dovrei farlo? Quando ho già in mente un modo più intelligente, nonché redditizio, di dare un epilogo alla complicata faccenda…”
Proprio quello fu l’anno in cui, in effetti, venne stilata la prima convenzione con una delle più importanti fabbriche locali, appartenente alla multinazionale del settore alimentare Kraft, per lo spostamento di una certa parte dei propri camion refrigerati all’interno degli spazi sotterranei, con conseguente riduzione della spesa per l’elettricità. Ben presto altri clienti si fecero avanti, stimolando da parte della compagnia sotterranea la costruzione di veri e propri magazzini con tanto di piani caricatori per i più svariati mezzi di trasporto, estesi per l’impressionante spazio di oltre 670 Km quadrati, che se fossero lineari corrisponderebbero all’esatta distanza tra la superficie del globo e l’inizio dello strato magmatico noto come mantello terrestre. Mentre grandi piastre metalliche venivano inserite nelle sale più ampie, allo scopo di garantirne la stabilità per molti anni a venire, anche in caso di eventuali disastri naturali. E non a caso il grande dedalo è noto per l’abitudine di lasciare aperte le sue porte ogni qual volta si verifica l’eventualità, tutt’altro che rara di queste parti, dell’avvicinarsi di un grande tornado o altro fenomeno meteorologico capace di minacciare l’incolumità della popolazione di Springfield, Missouri. E chi può dire se un giorno, speriamo ancora molto lontano, simili recessi possano offrire una possibile via di scampo per il genere umano dinnanzi all’inevitabile catastrofe finale.
Attraverso l’ultimo trentennio la struttura di questi magazzini quasi del tutto unici nella nazione e nel mondo è diventata un’importante risorsa per l’industria dell’intera regione degli Ozarks, giustificando anche la creazione di una vera e propria linea ferroviaria la cui ultima stazione si trova, neanche a dirlo, oltre lo stesso valico varcato dal nostro divulgatore ciclistico di YouTube. Il quale racconta, durante il video lungo e ricco d’informazioni, di come in precedenza avesse già realizzato un documentario auto-prodotto sull’argomento, successivamente fatto rimuovere dal Internet per gentile richiesta del suo datore di lavoro. Certo, i nani non si separano facilmente dai loro segreti. E niente sarebbe maggiormente deleterio che un improvviso afflusso di curiosi e turisti, capace disturbare il sonno continuativo e tranquillo del demone fiammeggiante che, non possiamo fare a meno di sospettarlo, dorme da secoli nelle occulte profondità. Mentre visto da lontano, il mondo sotterraneo di Sprinfield sembra mantenere intatto il suo particolare fascino antico. Perfetto incontro tra uomo e natura, con gran profitto del primo ed almeno nel vigente caso, senza rovinare l’aspetto incontaminato del paesaggio visibile dai finestrini delle auto, lungo la strada più celebre dei vasti territori nordamericani.
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