Pesce liscio e pesce secco, circondato da un peloso e risplendente boa di struzzo dalla colorazione tutt’altro che naturale. E quel “volto” che sembra guardarti, senz’occhi di alcun tipo, verso cui anche l’amore di una madre arriverebbe dopo un tempo misurabile attorno alla settimana… Nel vasto catalogo delle denominazioni scientifiche universalmente note, Eulagisca gigantea non è un nome che accompagni lo squillo di alcun tipo di campanello. Sono tuttavia certo che le cose inizieranno ad apparire più chiare, nel momento in cui dovessi fornire uno scenario di contesto. Luogo: i gelidi fondali del più profondo Sud, nelle vastità oceaniche che circondano l’Antartide, a profondità che si aggirano tra 500-700 metri. Famiglia: Polynoidae, un particolare tipo di vermi piatti e predatori con setole ai lati e appendici natatorie, talvolta ricoperti di scaglie, impiegate per la difesa dai predatori. Classe tassonomica: Polychaeta, la stessa dell’ospite più indesiderato di qualsivoglia acquario, strisciante creatura serpentiforme che si nasconde all’interno delle rocce ornamentali, per ghermire e fagocitare i pesci di ogni possibile dimensione. Atteggiamento, quest’ultimo, che per quanto pensiamo di saperne accomuna senz’altro il verme dorato del Polo Sud una volta fatte le debite proporzioni. Stiamo d’altra parte parlando di una creatura dalla lunghezza media di circa 20 cm, laddove i cugini considerati maggiormente rappresentativi raggiungono circa un decimo delle tacche sul nastro per misurare. Dotata tra l’altro, per inciso, di un’impressionante proboscide eversibile che ricorderebbe lo stomaco dei vermi marini Nemertei o Rincoceli, se non fosse per la presenza di un accessorio particolarmente impressionante: quel gran paio di zanne, simili alle mandibole di un grosso insetto, perfette per ghermire e fare a pezzi le ignote prede d’occasione. In altri termini, se vogliamo approcciare la descrizione da un punto di vista più prettamente cinematografico, si tratta di una bocca a scomparsa invero piuttosto simile a quella dell’alieno xenomorfo disegnato dall’artista svizzero e scultore H.R. Giger, meno la copiosa fuoriuscita d’acido corrosivo mentre si prepara a degustare la sempre appetibile carne umana.
Trattandosi di una creatura classificata in maniera distinta soltanto dal 1997 (M.H. Pettibone) e da allora non sottoposta ad approfonditi studi, non sono molti gli aspetti ecologici e comportamentali di cui abbiamo notizia in merito a questo presumibilmente famelico abitante delle oscure profondità marine. Sappiamo ad esempio che l’accoppiamento, sessuato, avviene grazie alla liberazione di un feromone da parte della femmina che oltre a richiamare il maschio stimola in essa la produzione delle uova. Mentre più incerta risulta essere la genìa ed il tipo delle creature che possiedono un posto di primo piano nella sua dieta, tra cui forse pesci, molluschi e piccoli crostacei, come granchi fantasma e gamberi appartenenti all’infinito nonché pervasivo flusso del krill marino. Molto più facile da descrivere risulta essere, d’altra parte, la sua morfologia, per la somiglianza diretta con gli altri vermi simili (esclusa la straordinaria colorazione delle setole) e inclusi da un tempo più lungo all’interno dei testi di biologia marina…
I vermi policaeti, pur appartenendo formalmente al phylum degli anellidi, presentano alcuni adattamenti alla vita bentonica in grado di renderle creature sostanzialmente distinte in quasi ogni singolo aspetto. A partire dalla composizione di ciascun segmento del loro corpo, individualmente dotato ai lati di una coppia di speciali arti a forma di remo fortemente vascolarizzati, chiamati pseudopoda, la cui funzione può variare dalla deambulazione alla respirazione, tramite permeabilità per quanto concerne le particelle d’ossigeno presenti nell’acqua di mare. Ad essi si affiancano, quindi, delle caratteristiche setole piuttosto rigide ed aghiformi, con scopo il più delle volte protettivo, la cui colorazione può risultare il metodo principale per approcciarsi alla distinzione tra le diverse specie. Laddove il dorso appare piuttosto simile di caso in caso, per la presenza di una serie di scudi sovrapposti a scaglie chiamati elitre, come la copertura delle ali degli insetti (la somiglianza è relativa) fino alla struttura caudale del pigidio. Tutti gli organi sensoriali e il rudimentale ganglio cerebrale, nel frattempo, trovano posto nel prostomio immediatamente antecedente alla bocca. Il che può includere occhi, antenne e/o tentacoli, benché nessuna delle tre strutture appaia particolarmente sviluppata nell’Eulagisca gigantea, forse a causa della mancanza di luce nei suoi più tipici luoghi d’occorrenza. Come altrettanto assente risulta essere l’altrimenti attestata presenza di organi fotofori (produttori di luce) la cui consumazione da parte di eventuali predatori tende a rendere loro stessi fluorescenti, con conseguente cattura da parte del proverbiale pesce più grande. Una sorta di vendetta dalle profondità della tomba nei confronti della quale, per quanto ci è dato di comprendere, il magnifico verme d’oro ha trovato ragione di sentirsi superiore. O magari chi può dirlo, dato il suo aspetto in qualche modo notevole e vagamente terrificante, per non parlare dei siti remoti graziati dalla sua presenza, deve ancora trovare una valida ragione evolutiva per difendersi da chicchessia.
Per quanto concerne la discendenza atavica di una simile creatura, invece, possiamo ricondurla con ragionevole certezza alla stessa categoria biologica degli antichissimi fossili datati all’inizio dell’epoca Cambriana (541 milioni di anni fa) ritrovati presso la Lagerstätte (deposito sedimentario) di Sirius in Groenlandia, le cui mascelle chiaramente impresse nelle strutture pietrose ivi situate rappresentano l’unico lascito di tali presenze rigorosamente invertebrate, per il resto del tutto prive di caratteristiche anatomiche resistenti. Non è per questo immaginare la storia biologica di una creatura come questa, che per quanto ne sappiamo potrebbe facilmente aver attraversato incolume il volgere degli Eoni, in attesa che la presenza transitoria degli uomini potesse giustificarne una così tardiva ed enfatizzata riscoperta.
Silenziosamente presenti, perennemente in caccia, magnifici allo sguardo purché s’impieghi la giusta lente d’osservazione. Ovvero che sia, in qualche modo, disallineata dalla coscienza del gusto posseduto per nascita da tutti noi.
Poiché non c’è niente di più naturale, a questo mondo, di un “mostruoso” verme carnivoro sugli sconosciuti fondali, dai riflessi inerentemente paragonabili a quelli della più tipica ghirlanda natalizia. Che al momento in cui scrivo potrà anche essere fuori stagione! Ma provate voi a dirmi che non vorreste trovare una di queste… Cose, all’interno della vostra calza della Befana di Ferragosto. Se non altro, per poter dire finalmente di aver scrutato nell’Abisso. E non esserne diventati, soltanto per questo una Vittima, incapace di trarre le migliori conclusioni dalle circostanze non chiare.