Molte sono state le critiche mosse nei confronti della FIFA, per la decisione presa ai suoi vertici di tenere il suo torneo in uno dei più indipendenti, ed economicamente rilevanti, tra tutti gli stati del Vicino Oriente. Non ultima quella relativa al clima caldo e secco della penisola arabica, particolarmente inadatto a quanto dicono, soprattutto nei mesi estivi, per poter portare serenamente a termine una o qualche dozzina di partite di calcio. Obiezione nei confronti della quale, senza particolari fisime, è stato scelto di spostare la tenzone nei mesi del più profondo inverno, minacciando a pieno titolo di vederla sconfinare verso quelli che sono, per molti di noi, gli intoccabili giorni del sacrosanto Natale. Non contenti di questo, tuttavia, gli organizzatori si sono premurati di curare questa problematica anche dal punto di vista ingegneristico, facendo esplicita richiesta agli architetti coinvolti nella costruzione e potenziamento degli otto stadi che saranno coinvolti nell’evento di curare, sopra ogni cosa, le caratteristiche di ricircolo dell’aria e i sistemi di raffreddamento. Tematiche che alquanto stranamente, sembrano essersi allontanate dalla coscienza pubblica, per quanto riguarda senz’altro la più avveniristica ed attraente tra queste strutture, costruita nel territorio dell’antica capitale di Al Wakrah, superata in tale ruolo amministrativo da Doha unicamente nell’era contemporanea.
Ora il problema di coinvolgere un grande architetto internazionale, come la recentemente compianta nonché rivoluzionaria Dama (titolo britannico) di origini inglesi-irachene Zaha Hadid, in un progetto che dovrà presto rappresentare il proprio territorio geografico dinanzi agli occhi del mondo, è che costei o costui tenderanno, immancabilmente, ad assumere un punto di vista esterno del proprio compito, effettuando scelte dichiaratamente figurative, ovvero mirate a ricostruire esteriormente “un qualcosa”. Ma poiché le modalità interpretative di un qualcosa che deve, indipendentemente da tutto, anteporre la funzione alla forma possono variare da un individuo all’altro, il rischio di fraintendimenti resta sempre in agguato, con conseguente risultati mediatici capaci di far deragliare il fondamentale messaggio di partenza. Ed eccone, se vogliamo, il più chiaro e lampante esempio di questi ultimi anni… Idea originaria: erigere un edificio che ricordasse, con la propria forma esterna, quella dello scafo delle tradizionali barche dhow, usate storicamente dai pescatori di perle locali per condurre l’eponima attività, che tanto ha fatto nei trascorsi secoli per favorire lo sviluppo economico dell’intera regione di Al Wakrah. Tanto che nei primi rendering realizzati al computer, presentati quasi una decade fa, lo studio della Hadid aveva anche previsto una struttura triangolare posizionata sulla sommità, che ricordasse in qualche maniera la vela impiegata dai suddetti natanti nel corso della propria navigazione tra le acque del Golfo Persico antistante. Successivamente eliminata per contenere i costi e perché ritenuta tutt’altro che utile, mettendo in atto il primo capitolo di quello che in molti, successivamente, avrebbero definito un errore. Poiché cominciò a serpeggiare ben presto, a partire da quel fatidico momento, la voce che avrebbe voluto vedere voluttuosità nella struttura a volta, ovvero, vittoria & vendetta! Il valore aggiunto di una gigantesca vagina.
“Ridicolo, per gli uomini tutto quello che ha un buco, deve necessariamente ricordare il sesso.” È stata riportata affermare con ira in qualche modo comprensibile, interrogata durante una delle sue ultime apparizioni pubbliche, l’architetta sessantacinquenne nel 2016, prima che una malattia improvvisa privasse il mondo dei suoi molti futuri e monumentali lavori. Considerata una delle figure cardine del movimento Decostruttivista, per certi versi il superamento stesso del concetto di Post-Modernismo, la Hadid non fu mai del resto una personalità dotata dei proverbiali peli sulla lingua, esprimendo in svariate condivisibili contingenze tutta la frustrazione di un’artista che pur avendo raggiunto i vertici del suo campo, veniva da sempre criticata e messa in dubbio per il semplice fatto di essere una donna. Ed io aggiungerei, del resto, che molte sono le interpretazioni possibili basate sulla natura della metafora alla base dello stadio di Al Wakrah, tra cui quella più ovvia di un fiore ormai prossimo a spalancarsi, per non parare del ventre striato di una balenottera azzurra oppure come suggerito da un commentatore del Web, “Il carapace di una tartaruga aliena (e l’adoro per questo)” Il che non può certo prescindere, d’altra parte, la diretta derivazione delle molte scelte strutturali da lei compiute al fine di realizzare quello che, in ultima analisi, doveva sopratutto rappresentare uno stadio. Ovvero lo spazio in cui condurre partite di calcio e se vogliamo, in quale fantastica maniera… A partire dalla notevole capienza di 45.000 persone sedute nella maggioranza su caratteristiche postazioni dalla colorazione alternata blu e bianca, i colori della squadra cittadina di cui questa struttura dovrà diventare, in futuro, l’arena domestica di rappresentanza. Ma non prima che 20.000 posti delle file superiori siano stati rimossi al termine di FIFA 2022, venendo elargiti come dono imprevisto nei confronti di non meglio definiti “paesi in via di sviluppo” nell’idea di un progetto di eredità e condivisione che è stato dichiaratamente messo, almeno a parole, tra i valori fondanti dell’intera organizzazione dell’evento. Altre caratteristiche degne di nota, tra le poche rese pubbliche e commentate attraverso i pochi articoli internazionali compilati fin’ora sull’argomento, il notevole soffitto parzialmente apribile sovrastato da svettanti archi della lunghezza di 230 metri, per cui la semplice dichiarazione architettonica di oculo potrebbe risultare quanto mai riduttiva. Mentre molte di più sono stati i paragrafi dedicati al massiccio progetto di potenziamento e perfezionamento delle strutture turistiche del quartiere circostante, il che ha visto Al Wakrah ricevere nuovi impianti sportivi con piscine, un ampliamento del suo storico suq e un intero museo dedicato alla lunga, complessa storia culturale della regione. Per non parlare del significativo potenziamento dei propri trasporti pubblici, onde favorire il rapido trasferimento del pubblico da questa alle altre arene dei Mondiali di calcio per assistere a un altro match, magari nel pomeriggio della stessa fatidica giornata.
Questione certamente ironica, tutto ciò, quando si considera come uno dei valori fondanti del movimento Decostruttivista sia proprio il superamento dei valori e gli schemi estetici imposti dai propri predecessori, rifiutando integralmente concetti come l’utilitarismo, la citazione e persino la simmetria. Benché rispetto ad alcune delle più celebri ed avveniristiche produzioni passate della Hadid, come il MAXXI di Roma, il Centro Acquatico per le Olimpiadi di di Londra del 2012 e l’Opera di Guangzhou, il nuovo stadio del Qatar sembri essersi conformato, forse in seguito alla sua imprevista dipartita, a valori esteriori maggiormente riconducibili alle aspettative e la propensione generica del senso comune. Lo stesso sito della società di consulenza ingegneristica BESIX ha dedicato una pagina, del resto, al mandato portato a termine per la riduzione di oltre il 30% dei costi del progetto, semplicemente troppo elevata perché potesse prescindere dalla messa in opera di qualche significativo compromesso. Ma non quello ritenuto da tutti, indipendentemente dalle ragioni della stessa autrice, fondativo dell’idea di partenza. Dopo tutto, per citare un’altro commentatore anonimo del Web: “Perché non stipare 45.000 persone all’intero di un apparato riproduttivo femminile? Non è come se si trattasse della loro prima esperienza in materia.” Un’affermazione che, quanti più sono i minuti trascorsi a ponderarla, tanto maggiormente assume tinte di natura filosfico-esistenzialista. Capaci di superare, così facilmente, la fanciullesca volgarità di rito.