Situazione ricorrente nell’immaginario delle storie dei film d’arti marziali: il giovane guerriero si allontana dalla civiltà, per sfuggire alla crudele vendetta dei nemici del suo maestro, padre o signore. Per lunghi anni, a partire da quel fatidico momento, sopravvive spaccando legna, coltivando i frutti della terra e andando a caccia di conigli nella foresta. Ed è proprio nel coltivare il perfezionamento di un simile stile di vita, che diventa, progressivamente, il più perfetto degli spadaccini. Strane, indirette connessioni. Che attribuiscono alle attività più umili e mondane, il potere che permette di approcciarsi a una profonda, e duratura strada verso l’Illuminazione. Così come il professore di matematica, che approfondisce il significato più mistico e profondo dei suoi amici numeri, raggiunge il nesso al centro di quel nugolo di dati, ovvero la perfetta dimostrazione della tesi, di fronte al pubblico temporaneamente invisibile dei suoi studenti.
Ma sussiste nel contempo, in tutto questo, un certo quantitativo di abilità, sopratutto nel riempire quella liscia superficie nera dell’esatta quantità che fuoriesce, volta per volta, dai precisi conti frutto di un’intera carriera nel cifrario supremo che governa il regno dei concetti. Utilizzando, niente meno, che dei semplici gessetti. Ecco dunque, la ragione per cui ogni strumento utile a mantenere la propria concentrazione diventa, quasi subito, essenziale. Quanto lo tsuba che mantiene solida l’impugnatura della spada, così come l’acciaio hagane, ripiegato più e più volte su se stesso nella forgia infuocata di un fabbro di fama. Senza invocazioni alle Divine entità che risiedono nelle cose di tutti i giorni, è davvero possibile raggiungere lo stato ultimo dell’Eccellenza? Secondo l’opinione di molti creativi ed artigiani giapponesi, non proprio. Ed almeno giudicare dai risultati raggiunti attraverso gli oltre 50 anni di attività della sua azienda, a pieno titolo rientra in questo insieme Takayasu Watanabe ovvero l’uomo, pensionato dal 2015, che dall’immediato dopo guerra seppe fare del suo mestiere un’arte. E di quell’arte, una leggenda.
Immagino abbiate capito a questo punto ciò di cui stiamo parlando: niente più che semplice carbonato di calcio, risultante attraverso le epoche dalla disgregazione di scheletri e conchiglie, attentamente raccolto tramite metodologie industriali e poi spedito, come ingrediente principale, alla fabbrica di quel marchio celebre per molte generazioni, identificato caso vuole con il termine Hagoromo la connotazione della serie più ricca, Fulltouch. Ora si può fare molto, per custodire e amplificare una leggenda, senza entrare nel particolare di “che cosa”, esattamente, accresca i meriti di uno specifico quantum procedurale. Ma è senz’altro futile, a quel modo, perciò lasciate che vi ricordi brevemente le svariate problematiche degli anni della scuola: il rumore prodotto dallo scrivere sopra l’iconica lastra d’ardesia, con uno strumento che fa polvere, si sbriciola e disgrega. Che si spacca per mandare la punta delle vostre dita contro quella superficie liscia stridente, producendo un suono assai difficile da trascurare. E adesso immaginate quella stessa situazione d’incertezza, moltiplicata per i vasti spazi ricoperti per l’attività d’insegnamento di particolari branche della matematica, con continue interruzioni per sostituire l’attrezzo. C’è davvero da meravigliarsi, se i professori di una simile materia hanno fatto sempre tutto il possibile, per mandare avanti il nastro di un tale tiritera con il giusto acquisto, passando subito alla parte interessante della lezione?
La storia prototipica di Hagoromo, e della sua chiusura che non è esattamente una fine, pur costituendo una trasformazione e traslazione radicale, riemerge grazie a quel breve segmento mostrato in apertura, facente parte della sempre puntuale serie di YouTube, Great Big Story. E attraverso le sentite testimonianze di un gruppo di professori di diverse università americane, ciascuno in qualche modo toccato, e coinvolto nel suo sentire, dai recenti sviluppi di una così tormentata e drammatica vicenda. Poiché lo stesso fondatore Watanabe raccontava, giusto nel corso dell’estate di quattro anni fa, la maniera in cui la sua salute avesse declinato negli ultimi anni costringendolo, con rammarico profondo, a vendere la propria attività. Ma il problema aveva, in modo estremamente prevedibile, radici più profonde. Dovute all’evoluzione delle metodologie d’insegnamento, che nell’epoca contemporanea prevedono sempre più spesso l’impiego di sistemi digitali particolarmente nelle prestigiose Juku pomeridiane, le scuole preparatorie per i difficili esami di stato. Benché come chiunque si occupi di matematica per mestiere sa fin troppo bene, determinati diagrammi e “testi” di tipo numerico risultino inerentemente macchinosi da tradurre in bytes soggetti all’elaborazione informatizzata. Ma era comunque inevitabile il trasformarsi di un oggetto di uso comune, prodotto fino alla quantità di 90 milioni annuali per l’impiego nelle scuole della nazione durante l’epoca dorata di quest’azienda degli anni ’90, nel prodotto elevato per un’elite specifica, ovvero quella che è stata definita, metaforicamente, “la Rolls Royce dei gessetti per lavagna”. Attraverso una serie di passaggi ricordati con comprensibile nostalgia, nel corso delle dichiarazioni ufficiali rilasciate al mondo, colui che tutto questo seppe creare all’inizio remoto di tanti operosi anni di attività. Conclusi in maniera forse non propriamente gloriosa, benché utile, con la vendita dei macchinari da lui fatti costruire su misura modificando strumentazione industriale per processare la farina, assieme alla ricetta segreta dei Fulltouch, a due compratori separati, uno locale (Uma-Jirushi, compagnia produttrice di lavagne) al fine di garantire l’impiego continuativo dei suoi dipendenti e l’altro situato nella penisola oltremare di Corea, con la speranza che riuscisse a continuare la distribuzione internazionale del prodotto. Un obiettivo pienamente conseguito, almeno a giudicare dalla disponibilità vigente del gesso “cosiddetto” Hagoromo su Amazon e presso il sito della stessa Sejongmall, almeno apparentemente del tutto abile nel mantenere solida la fama leggendaria di quanto recentemente acquisito.
Lo scorrere incessante dei fiumi, il soffiar del vento, la precipitazione reiterata della pioggia, distruggono i paesaggi costruiti dal trascorrere delle Ere. Ma l’opera degli uomini, in determinate condizioni, più riuscire a sopravvivere e rinnovarsi. A patto che qualcuno, da qualche parte, scelga di raccogliere la torcia abbandonata sul lungo e sempre accidentato sentiero della Storia.
Esaurite le metafore, sfatate le similitudini, che cosa resta innanzi ai nostri occhi di studenti osservatori dentro il cupo recipiente della matematica nelle aule delle vita? Niente! Fatta eccezione per tutto il resto. Quella presa di coscienza, sempre più evidente col trascorrere degli anni, che quando una popolazione depositaria di antiche cognizioni e un’etica diversa del lavoro inizia in modo sistematico a raggiungere la terza parte della propria vita, rimanendo formalmente e totalmente priva di eredi, qualcosa debba irrimediabilmente andare persa nel difficile momento del trasferimento generazionale. O almeno, proprio questo è il problema che le ultime compagini governative giapponesi, attraverso la normativa fiscale e le agevolazioni amministrative, hanno fatto il possibile nel tentativo di arginare. Perché esiste solamente una quantità finita di carbonato di calcio sulle rive dello sconfinato oceano del mondo. E non sono in molti, a conoscere il segreto necessario per miscelarlo fino al raggiungimento della più assoluta perfezione. Dove si annida il taglio perfetto di una simile spada numerica, che recida il velo posto dinnanzi al regno contabile dell’esistenza.