Attraverso le alterne peripezie del mondo, molto è cambiato: alcune cose le abbiamo perse, altre trovate. Talune, nel frattempo, hanno affrontato l’arduo sentiero del cambiamento, diventando radicalmente diverse nei loro fattori esteriori, pur avendo mantenuto la preziosa linfa custodita all’interno. Come il meristema cellulare di un alto arbusto, soggetto alle modifiche non sempre evidenti imposte dal suo contesto d’appartenenza, il sottile nastro del tempo si è esteso in ogni direzione possibile, spesso diametralmente opposte, trasformando i mostri in eroi. E viceversa. Eroi come il Carnegiea gigantea, l’impressionante cactus saguaro dei vasti deserti di Sonora e del Mojave, convenzionalmente paragonato a una mano aperta dall’altezza di 10-13 metri, protesa ad invitare lo sguardo imperituro dei cieli. Quale richiamo e quanti significati, nella stolida forma della sua vegetale esistenza, capace di estendersi e superare fino i due secoli di permanenza tra il consorzio dei viventi! E quante difficoltà, da superare: le radici parassitarie della pianta chiamata da queste parti prickly pear (Opuntia ficus-indica), il becco che scava per costruire i profondi nidi del picchio di Gila (Melanerpes uropygialis) e colpi di fulmine, gelo notturno, insetti divoratori e malattie batteriche, per non parlare della mano impietosa dell’uomo, pronto a sottrarre spesso abusivamente intere “braccia” o rami da vendere, al fine di trapiantarli altrove. Tanto che diventa lecito aspettarsi, tra gli esemplari abbastanza forti da aver raggiunto l’età in cui produrre frutti & fiori, che esista una classe di cactus in qualche modo diversi da tutti gli altri, mutati nella loro profonda essenza da una qualche specifica, misteriosa esperienza. William Peachey, scienziato indipendente dell’Arizona, li chiama in questo video prodotto dall’Ente Pubblico per il Turismo dell’Arizona “Icone che crescono sopra altre icone” per la loro capacità di attrarre nutrite schiere di curiosi e turisti, particolarmente quando si presentano caratterizzati dalla (s)fortuna di crescere in luoghi dignitosamente collegati dal punto di vista della viabilità. Ma il loro nome formale, per quanto ci è dato comprendere, riceve piuttosto l’aggettivo anglofono di crested (crestati) per analogia con una particolare casistica che il caso vuole, sia stata documentata nelle più diverse specie vegetali. Almeno, in linea di principio: poiché non c’è altra pianta al mondo che, sperimentando un simile processo di cambiamento, possa dirsi altrettanto spettacolare. Un tronco centrale ricoperto di spine che sorge dal suolo terroso, per estendersi in maniera del tutto convenzionale. Finché, a un’altezza variabile, qualcosa non cambia nella sua geometria della convenzione: i solchi caratteristici, creati dall’evoluzione per consentirgli di gonfiarsi nei rari periodi di pioggia nel suo ambiente di provenienza, che cessano di scorrere paralleli, iniziando intrecciarsi nel disegno di occulte figure celtiche dall’apparente arcano significato. Ricorrendosi l’un l’altro, mentre la forma stessa del saguaro diventa confusa ed incerta, ricordando quella di un candelabro tortuoso se non talvolta, una vera e propria corona. Il che resta, incidentalmente, ancora del tutto inspiegato dalla scienza. Sarebbe perciò assurdo pensare che soltanto una persona, per quanto eclettica come Mr. Peachey, possa aver scelto di fare omaggio di una parte considerevole del proprio tempo a studiare, e tentare di decodificare il mistero, di simili strani giganti. Laddove l’evidenza dei fatti, in effetti, finisce per raccontare una storia ben diversa…
La Crested Saguaro Society può essere descritta come una delle istituzioni più vecchie e in un certo senso prestigiose di Tucson, Arizona, benché resti largamente ignota all’opinione pubblica, preoccupata da ben più mondane, e spesso prosaiche faccende. Proprio come si confà, insomma, alla tipica organizzazione di supereroi. Un ruolo interpretato, nel presente caso, da un eterogeneo gruppo di naturalisti dall’età media di circa 80 anni, la cui più duratura opera attraverso le decadi è consistita nell’individuare, fotografare e catalogare le molte migliaia di saguaro caratterizzati dalla mutazione sopra descritta, sfatando inerentemente il mito che dovesse trattarsi di un’eventualità straordinariamente rara, dei precedentemente supposti “Quattro casi ogni milione di cactus” laddove in effetti, sembrano esisterne parecchie centinaia per ciascun stato facente parte del loro areale. E creando nel contempo, grazie all’opera del loro membro più giovane nonché webmaster Joe Orman (58 anni), il più notevole catalogo Internet di stranezze vegetali impaginato come un sito del 1995 e forse proprio per questo, ancor più affascinante in questo universo di banner pubblicitari e infiniti blog del tutto privi di contenuti interessanti. Appare chiara dunque la lunga strada percorsa, da quella prima fotografia risalente al 1893, di un saguaro crestato esposto giusto fuori il padiglione dei tre stati Arizona, New Mexico ed Oklahoma durante la Fiera Mondiale di Chicago la cui sopravvivenza, è altamente probabile, non ebbe modo di estendersi oltre il successivo gelido inverno dell’Illinois.
Eppur nonostante gli anni trascorsi da quel remoto giorno, gli occasionali studi accademici e le molte parole spese sull’argomento, sembra significativo il fatto che ancora non esista una singola efficace spiegazione per questo strano fenomeno del mondo vegetale, anche definito talvolta “fasciazione”. Documentato su oltre 100 piante diverse, tra cui l’euforbia, l’aloe, il glicine, il pruno, il salice e persino la comune margherita, in cui produce un impossibile fiore oblungo in grado d’apparire contro natura quanto un occhio dotato di due pupille. Lasciando piuttosto il posto a numerose ipotesi prive di fondamento effettivo, tra cui quella che un qualche tipo di trauma meccanico subìto dalla pianta, come una tempesta o la scarica elettrica di un temporale, abbia attivato in essa un meccanismo simile a quello che porta alla formazione di cheloidi cicatriziali, tumori benigni della pelle in corrispondenza di ferite abbastanza estese subite dalle creature appartenenti al mondo animale. Mentre i soliti cospirazionisti non esitano ad attribuire un simile fenomeno all’apporto indesiderato di esperimenti con le radiazioni compiuti da segreti enti governativi, piuttosto che la vicinanza indesiderabile nei confronti di pali della luce, ripetitori per cellulari etc. Forse la notazione più puntuale proviene tuttavia proprio da Peachey, che attribuisce l’anomalia a un qualcosa di simile a una disfunzione ormonale della pianta, che superata la “fase” ribelle sembra tornare alla sua crescita del tipo convenzionale, come allo spegnimento del mistico interruttore. Lui stesso aggiunge, inoltre, che possa trattarsi di una caratteristica ereditaria, poiché “Se si trapianta un braccio di saguaro crestato, anch’esso presenterà la stessa caratteristica” benché nessun studio di tipo formale sia mai stato condotto sull’argomento, confermando l’una o l’altra ipotesi di costui.
Lasciando il posto, come dicevamo, all’opera omnia della Crested Society i cui membri più eminenti mostrati nel video di apertura, tra cui Robert Allen Cardell e Pat Hammes, sono da sempre soliti battere alcuni dei sentieri più sconosciuti del loro secco stato di appartenenza, visitando talvolta anche a distanza di molti anni lo stesso sito, per documentare il cambiamento sperimentato dall’uno oppur l’altro straordinario esemplare mutante. Per individuare i quali, negli ultimi anni, sembrerebbe essere stato trovato un approccio nuovo: controllare le ombre dei saguaro nelle foto satellitari di Google, prima di organizzare la laboriosa spedizione in-situ, verso la speranza di confermare, oppure smentire il nuovo rilevamento. Del resto ci vogliono intere generazioni, dal punto di vista di noi frettolosi ed impermanenti umani, affinché una di queste piante produca un singolo braccio proteso in alto, portando fino alle più estreme conseguenze l’escrescenza pseudo-tumorale di ciò che poteva soltanto ricordare, da principio, un accenno verso il fenomeno della fasciazione. E parecchi gli incidenti possibili sul percorso, dato l’indebolimento conseguente del cactus, la cui struttura tenderà progressivamente a diventare più fragile e pesante, potendo resistere meno ad eventuali pericolose raffiche di vento.
Ma possiamo in definitiva, anche soltanto tentare di negarlo? Che una simile vulnerabilità faccia parte del loro fascino più profondo, come nel caso del leggendario unicorno. Una creatura sufficientemente rara, e timida, da fare la sua comparsa soltanto in circostanze particolari e dinnanzi a fanciulle illibate sulle rive di un vasto lago. Per poi sparire, con la stessa rapidità inumana, dalle pagine consumate della Storia.