Ciò che determina il valore di un oggetto di antiquariato, molto spesso, è la presenza di una storia plausibile, in qualche modo indicativa della sua autenticità. Ma anche il contesto di vendita gioca un ruolo di primo piano. E nell’anno americano 1927, a conti fatti, non era possibile immaginare un luogo maggiormente avveniristico dei grandi magazzini Wanamaker’s a Philadelphia, città più popolosa della Pennsylvania. Primo centro commerciale del primo paese ad aver avuto un centro commerciale, o almeno così afferma l’immaginario popolare, nonché prima istituzione commerciale ad essere dotata, verso la fine del secolo antecedente, di elettricità, telefono e tubi pneumatici per il trasferimento interno dei documenti. Oltre a fornire assistenza sanitaria ai propri dipendenti, un concetto quasi rivoluzionario a quei tempi. Dietro le ampie porte di quell’edificio dall’insolita facciata moresca, che in qualche modo suggeriva l’ascendenza di paesi e storie distanti dall’umana occidentale quotidianità. “Mai così tanto, prima d’ora.” Sussurrò tra se e se Eldridge R. Johnson, miliardario astuto e spregiudicato, fondatore della compagnia produttrice di macchine da scrivere Victor’s, mentre osservava la propria immagine riflessa ed invertita a 180 gradi, all’interno dell’oggetto più scintillante sul quale avesse mai posato i propri occhi fino a quel fatidico momento. Destinato ad impressionarlo al punto da scrivere una lettera indirizzata al suo caro amico George Byron Gordon, famoso archeologo e curatore del museo Penn, facente parte della principale università cittadina, il prezzo e la narrazione interconnessa a un simile reperto importato in via diretta, secondo quanto riportava l’etichetta del caso “Vecchio mio, in realtà, 50.000 dollari mi sembrano parecchi. Per un globo di quarzo dal peso di 24 Kg e il diametro di un quarto di metro, proveniente a quanto sembra direttamente dal palazzo imperiale di Pechino. L’esperto contattato da Wanamaker’s afferma che sia appartenuto all’Imperatrice Vedova Cixi in persona. Che ne dici, dovrei acquistarlo?” Domanda, quest’ultima, senz’ombra di dubbio destinata a rimanere senza risposta, poiché pochi giorni dopo Byron, per una drammatica coincidenza, scivolò scendendo dalle scale, cadde battendo la testa e morì. Evento a seguito del quale, con lo scopo di onorare la sua memoria, il già comprovato benefattore della Penn Univ. Johnson acquistò la sfera, che incidentalmente costituisce tutt’ora la seconda più grande di quel tipo esistente al mondo, e ne fece dono al suo museo.
Ora questa storia avrebbe proseguito, in circostanze normali, con la notazione: “…Dove si trova da quell’anno remoto, affascinando grandi e piccini col suo aspetto splendido e misterioso” Ma come le reliquie estratte dalla tomba del faraone Tutankhamon, come il diamante rosa maledetto e il quadro particolarmente sfortunato dell’Urlo orribile di Munch, questa particolare curiosità di un’epoca trascorsa sembrò a partir da quel momento possedere una sua propria volontà, o il potere di attirare personalità bizzarre verso ancor più strane contingenze. Fu così che nel 1988, camminando serenamente lungo il ponte di South Street, un passante vide abbandonato in mezzo alla strada uno strano oggetto dalla forma frastagliata. Che si rivelò essere, ad una seconda occhiata, il sostegno in puro argento made in Japan, usato prima da Wanamaker’s ed in seguito dal museo stesso, per mantenere stabile ciò che possedeva, dopo tutto, la forma e le dimensioni di un comune pallone da calcio. Fu chiamata la polizia, quindi rispose l’FBI. Nel giro di poche ore, diventò chiaro che qualcuno si era introdotto nella rotonda al terzo piano del museo approfittando dei lavori in corso e un’evento per il pubblico, uscendosene tranquillamente mentre trasportava sotto braccio la sfera, il suo sostegno originale e per buona misura, anche una statuetta egizia del dio Osiride vecchia di 2500 umani, presumibilmente usata per infrangere il vetro dietro cui si trovavano gli altri due reperti. Quindi, in maniera piuttosto inspiegabile, il colpevole aveva abbandonato proprio l’unico oggetto dei tre che fosse facile da trasportare e fondere nella sua materia prima, ricavando un immediato guadagno. Quasi come se la grossa gemma vetrosa, in qualche modo, avesse mantenuto un’ascendente significativo sul corso dei suoi desideri…
E quando affermo che si tratta di una storia plausibile, sia chiaro che non sto evocando alcun riferimento filologico noto. È tuttavia relativamente facile immaginare la seconda donna più potente della sua epoca dopo la regina Vittoria, in grado di regnare in maniera sostanzialmente ininterrotta dal 1861 al 1908 sul paese del Grande Dragone, mentre seduta dietro il mistificatorio paravento consulta l’oggetto in grado di mostrare l’esito delle sue malvagità future. O almeno così definiva lo stereotipo, di un personaggi a lungo temuto e al tempo stesso detestati, prima che l’incedere della cultura moderna ne facesse una sorta d’icona dell’emancipazione femminile anche grazie al romanzo scritto da Anchee Min. Laddove la sua trasformazione, da mera concubina di quinto livello dell’imperatore Xianfeng a co-reggente temporanea dell’Impero rimasto privo di eredi assieme alla sua vedova Ci’an, quindi “grande Buddha” incontrastato ed unica depositaria del potere assai considerevole dell’antica dinastia manciù Qing, fu in effetti l’evidente conseguenza di una serie di trame politiche assistite dalle invidie degli eunuchi della Città Proibita, scaltre manovre e casualità fortunate. Tali da sfidare, a pieno titolo, la meritocrazia virtuosa teorizzata dal grande Confucio, creando l’immagine pubblica di una governante principalmente dedita allo sperpero delle finanze di corte. Nei suoi molti passatempi, tra cui la collezione di cani e animali rari, oltre a un’altra, maggiormente attinente nel nostro caso: quella di gemme ed altre pietre che potessero, in qualche modo, definirsi preziose. Celebre restò, ad esempio, la vicenda interconnessa alla gigantesca perla, che secondo la tradizione era stata seppellita con lei all’interno della sua bocca e successivamente saccheggiata dal generale del partito nazionalista Sun Dianying direttamente dal suo mausoleo nel 1928, soltanto per finire su una scarpa da cerimonia della moglie di Chiang Kai-shek. Ed era tanto assurdo immaginare, dunque, che un altro reperto del suo ricco repertorio avesse transitato, per vie traverse ed occulte, fino all’altro lato dell’Oceano Atlantico e nei principali grandi magazzini della Pennsylvania? Soltanto per scomparire, infine, dalle pagine dei libri di storia… Non proprio. O per meglio dire, fino all’anno del Signore 1991, quando a Jes Canby, un assistente alle collezioni dell’Università di Penn, sembrò di vedere nella vetrina di un robivecchi quella che sembrava proprio essere la statua egizia di Osiride sottratta tre anni prima dal suo museo. Chiamati i suoi colleghi per conferma, e riconosciuta addirittura la targhetta adesiva sul fondo con il numero originariamente associato all’oggetto, il gruppo non ci mise molto a far venire l’FBI. Ciò detto, un ulteriore passo dovette essere portato a termine, prima di poter scrutare nuovamente nelle profondità di quel mistico globo.
Il robivecchi, assolutamente all’oscuro del valore e l’autenticità della statua (era convinto si trattasse di un falso, tanto che, affermò, stava per chiamare lui la gente del museo) l’aveva infatti avuta da un senzatetto di nome Al. Che aveva ricevuto il permesso, in cambio di piccoli lavoretti, di svuotare il garage di un certo Lawrence Stametz del New Jersey, il quale aveva acquisito entrambi gli oggetti, statua e sfera, in circostanze del tutto incerte, scegliendo di omaggiare la seconda alla sua governante domestica, un’appassionata di occultismo che amava farsi definire una fattucchiera di nome Kim Beckles. La donna quindi, estremamente affascinata da quello che il precedente proprietario era solito chiamare “l’uovo alieno” l’aveva messo sul davanzale della sua finestra, da dove concentrando la luce di un assolato pomeriggio newyorchese, le aveva dolorosamente ustionato il braccio. “Se la lascerò lassù, finirà per bruciarmi la casa.” Disse quindi al suo consorte, che se ne impadronì per metterla in un vaso da fiori, appoggiandoci sopra la sua collezione di cappelli. Ed è così, dunque, che la nostra vicenda trovò una significativa conclusione, con l’arrivo degli uomini del Bureau, presentatisi alla porta degli ultimi proprietari come presunti appassionati d’arte, per poi rivelare l’effettivo valore dell’oggetto (oltre mezzo milione di dollari al cambio attuale) e la sua provenienza dall’impressionante valore storico. “Sono nei guai? Sono nei guai?” venne riportata ripetere ossessivamente la Beckles in quel frangente, assicurando a più riprese, con enfasi estrema, di non aver avuto alcuna cognizione di essersi trovata all’estremità più remota di un furto d’arte di un così alto profilo. Ma almeno a quanto riportano le cronache ufficiali né lei, né Stametz furono mai puniti. Mentre la sfera, dopo essere rimasta nei magazzini dell’FBI per anni “allo scopo di effettuare ulteriori accertamenti” venne finalmente restituita al museo, dove si trova tutt’ora. Arricchita della più significativa esperienza mai fatta dal momento della sua origine incerta.
…Rotolando e girando per giorni, settimane, mesi all’interno di una bacinella piena d’acqua, assieme alle sabbie abrasive in grado di erodere addirittura il quarzo, un oggetto prodotto dalle viscere stesse del mondo. Il cui ruolo nell’incedere imprevedibile della storia, a quanto ne sappiamo, potrebbe ancora non essere concluso. Benché un qualsivoglia aspirante ladro, possiamo facilmente immaginarlo, dovrà questa volta oltrepassare misure di sicurezza decisamente più funzionali e un giustificato sistema d’allarme accesso 24 ore su 24. Ma non si può mai dire…