Fucili spianati, picche acuminate, tizzoni ardenti. Quale, tra i due popoli non propriamente nativi che occupano i più vasti territori del continente nordamericano sareste maggiormente inclini ad associare a simili implementi di guerra? Ebbene, se aveste rivolto una simile domanda a James Madison, rifugiatosi nel villaggio di Brookeville dopo la sconfitta delle sue truppe a Bladensburg nel 1814, egli non avrebbe esitato neanche l’alito di un singolo istante: “Quello a cui appartengono le truppe che, sotto la guida di un feroce generale, stanno facendo del loro meglio per radere al suolo Washington e la stessa Casa Bianca.” Già perché erano in molti a dimenticare, persino allora, come il Canada facesse ancora parte ufficialmente dei possedimenti di re Giorgio III del Regno Unito, e in funzione di ciò, presidiato da soldati inglesi, cannoni inglesi e i fedeli benché naturalizzati militi profondamente avversi alla rivolta più eclatante nella storia del colonialismo europeo. Caso volle che la notte di quel fatidico 24 agosto, ad ogni modo, una tempesta estiva imprevista avrebbe scatenato ettoliti infiniti sulla città messa a ferro e fuoco, spegnendo gli incendi e calmando gli animi col flusso purificatore dei rovesci. Così mentre l’acqua ancora scorreva assieme alle copiose lacrime, l’uomo più potente del suo paese si prese la briga di formulare un giuramento: “Mai più, mai più dovrà succedere qualcosa di simile!”
Ci sarebbe stato, dopo tutto, un seguito: la famosa battaglia del lago Chaplain, vero e proprio portale d’accesso verso il fiume Hudson e attraverso quello, il cuore stesso della nazione, combattuta soltanto due settimane dopo, nel corso di quel grave conflitto destinato a passare alla storia come “guerra del 1812” e considerato dal punto di vista europeo come un mero teatro secondario delle guerre napoleoniche. E sebbene gli americani avrebbero, almeno in quel caso, conseguito il loro trionfo ed ottenuto il favorevole trattato di Ghent, loro massima preoccupazione fu assicurarsi che i nuovi possedimenti stessero al sicuro da eventuali eventi di una comparabile gravità. Ragion per cui, il presidente giunto quasi al termine del suo mandato nel 1817 diede l’ordine che lì venisse costruito un forte inespugnabile, dotato delle ultime tecnologie e soluzioni difensive. Ad occuparsi della sua messa in opera sarebbe stato niente meno che Joseph Totten, uno dei pochi genieri militari ad aver raggiunto il rango informale di eroe della Repubblica, grazie al successo conseguito dalle sue fortificazioni proprio durante i recenti conflitti con il Canada inglese, mentre il nome attribuito all’edificio avrebbe dovuto richiamarsi a niente meno che Richard Montgomery, il fiero generale di origini irlandesi in grado di dare inizio, quasi 60 anni prima, al difficile progetto di espugnare e conquistare l’intero Canada, soltanto per perire coraggiosamente nel corso dell’assedio di Québec City assieme al sogno di una così remota idea. Ma il possente forte dalla pianta a stella sarebbe stato destinato a passare alla storia con un diverso e ben meno lusinghiero nome: “Forte Cantonata”, principalmente per il fatto che, come si scoprì soltanto troppo tardi, l’isola artificiale sopra cui sarebbe sorto era stata costruita, per un “piccolo” errore, al di sopra del 45° parallelo. Il che ne faceva, per tutte le leggi ed i trattati vigenti, un possedimento legittimo del Canada e dei suoi soldati. Il cantiere venne dunque abbandonato immediatamente, mentre l’amministrazione dei presidenti successivi a Madison fece la promessa implicita di non parlarne mai più. Ma la storia, si sa bene, è una creatura fluida e imprevedibile, ragion per cui trent’anni dopo, alla stipula del nuovo trattato di Webster–Ashburton del 1842 grazie alle argute manovre diplomatiche di John Tyler, decima persona a ricoprire quell’ambita carica, la parte settentrionale del lago Chaplain sarebbe ritornata sotto il controllo americano. E con essa, l’isola costruita come unico bastione nella parte settentrionale di quel territorio vasto e incontaminato. Al che venne deciso che il mai dimenticato Montgomery avrebbe ricevuto, finalmente, il suo castello. E così fu.
Ora quando gli studenti americani leggono, sui libri di scuola, della drammatica vicenda di Fort Montgomery, è altamente probabile che il capitolo oggetto del loro interesse sia effettivamente riferito a un’altra importante fortificazione, posta invece nel remoto meridione di quello stesso Hudson River e che aveva avuto, nell’ormai remoto 1776, un ruolo d’importanza primaria durante la prima guerra rivoluzionaria contro le armate della Corona inglese. Fortino temporaneo successivamente fatto a pezzi e riciclato, assieme a quello gemello dall’altro lato del fiume, per non parlare della catena anti-nave tesa tra i due, a vantaggio del “destino manifesto” delle popolazioni rurali del basso stato di New York. Ma tutti pensarono che per quel nuovo castello, costruito da un diverso tipo di nazione sulle rive di un ben più settentrionale lago, difficilmente la storia poteva avere in serbo lo stesso stato di completo e assoluto abbandono. In primo luogo, per le grandi e temibili dimensioni: circa 15 metri di altezza suddivisi in tre piani, per tutto l’estendersi della pianta a stella dotata di postazioni di tiro per circa 125 cannoni, protette dal particolare tipo di merlatura rinforzata col metallo che era stata originariamente concepita da
Totten ai tempi della prima versione del forte. Un profondo fossato, inoltre, venne scavato tutto attorno alle mura lasciando l’unico accesso di un ponte levatoio strutturalmente assai originale, capace di agire come un’altalena basculante dinnanzi all’ingresso principale. Fino a 400 operai specializzati lavorarono allo stesso tempo alle operazioni di costruzione durate fino al 1870, data d’inaugurazione giunti al quale tutti si resero conto, più o meno immediatamente, che il castello non sarebbe servito assolutamente a nulla.
Per varie, significative ragioni: la cessazione delle ostilità con il Canada, e il progressivo affermarsi degli Stati Uniti come grande potenza internazionale alleata ad esso, verso cui nessun tentativo d’invasione avrebbe potuto raggiungere l’auspicato coronamento. Ma soprattutto, l’introduzione intercorsa dei cannoni a fuoco rapido con canna rigata e munizioni esplosive, sostanzialmente in grado di radere al suolo nel giro di pochi minuti qualsivoglia tipo d’imprendibile castello. Mantenuto lo stesso operativo con considerevole dispendio di risorse almeno fino al 1880, il forte venne progressivamente abbandonato attraverso le generazioni successive, finché fino all’ultima arma e soldato trovarono collocazioni considerate più utili altrove. E ben presto, le rumorose manovre condotte sull’isola lasciarono lo spazio a uno stato d’imperituro e interminabile silenzio.
Stanco di doverlo includere nelle proprie spese per il budget, quindi, il governo federale dello stato di New York decise nel 1927 di mettere il forte all’asta. Senza ottenere, contrariamente a quello che aveva auspicato, alcun tipo di risposta immediata. Evento a seguito del quale, come successo per il Fort Montgomery all’altra estremità del fiume Hudson, gli abitanti e le amministrazioni locali iniziarono a sanzionare il saccheggio del gigantesco edificio. Porte, finestre, interi muri di mattoni iniziarono a scomparire, risultando curiosamente simili a quelli impiegati nelle nuove costruzioni architettoniche delle comunità più vicine. Mentre persino i pesanti macigni usati per il muro orientale, destinati a proteggerne gli occupanti da un eventuale fuoco di sbarramento proveniente dalla terra ferma, vennero faticosamente spostati, trovando un nuovo impiego come pietre di posa per il viadotto tra Rouses Point, New York and Alburg, Vermont. Dando per una volta seguito all’auspicabile intento di trasformare “muri in ponti” ed unire, finalmente in senso del tutto letterale, due popoli un tempo avversi. Un piccolo barlume di speranza, nel ritrovare questa importante eredità storica, sembro comparire dunque nel 1983, quando l’imprenditore canadese Victor Podd acquistò dal governo americano l’intero terreno su cui si trovava anche il forte, col fine di costruirvi la sede della propria compagnia di consegne marittime, la Powertex. Nonostante i numerosi tentativi di restaurare o in qualche modo bloccare la degenerazione del castello anche mediante l’investimento di fondi pubblici, tuttavia, ancora non se n’è fatto nulla, convincendo costui che l’unica soluzione possibile fosse regalare di nuovo l’edificio allo stato di New York. Il quale, assai prontamente, rifiutò un così grande “onore”.
Il che ci porta alla situazione corrente, di un edificio dalla riconosciuta importanza storica in vendita da oltre una decade, il cui prezzo è stato progressivamente ridotto da 20 a 9 milioni di dollari, quindi 4 e poi 3. Mentre da una rapida ricerca online, al momento Fort Montgomery risulta in vendita ad un vero prezzo d’occasione: appena 995.000 dollari americani, assieme all’intera isola artificiale di 94 acri che lo contiene! Una cifra da nulla, rispetto all’impegno conseguente di scacciare qualche colonia di scarafaggi, pulire le antiche mura dai graffiti e almeno possibilmente, trasformare il derelitto edificio nella principale attrazione turistica della regione. Che se ne occupi un americano, piuttosto che un canadese, che importa? Dopo tutto, l’eco degli antichi cannoni sembrerebbe ormai da lungo tempo dimenticato…