Nella pozza umida dell’oscuro brodo primordiale, il conflitto già costituiva l’unica maniera per potersi garantire la sopravvivenza: protisti vagabondi, esseri acidofili, litoautotrofi, archei. Ciascuno intento a proteggere, ed in qualche modo garantire, la sua particolare interpretazione dell’esistenza. Assicurandosi di essere, in ciascuna situazione, il proverbiale pesce più grande. Mangiare o essere mangiati e diventare una risorsa, per l’accrescimento di un diverso modo di nuotare, percepire o prendere importanti decisioni iscritte nel complesso codice del proprio DNA “pensante” (come, um… Andare sopra, sotto, a destra o sinistra). Eppure persino allora, poteva succedere che in un tentativo di aggressione, attecchissero radici di un diverso ed inatteso tipo di alleanza. “Buongiorno, Sig. Cianobatterio che si trova nel mio stomaco per PURO caso. Mi presento: sono l’ameba eterotrofa. Visto che tutto sommato, non mi riesce di digerirla, che ne dice di formare una simbiosi?” Ed ecco che, BAM! Nel dissolversi del fumo di quel palcoscenico, fece la sua apparizione il primo cloroplasto della storia. Una cellula capace, grazie allo strumento della fotosintesi, d’interrompere la guerra senza fine. Superando quella distinzione all’apparenza irrinunciabile, tra i miti procarioti e gli ambiziosi eucarioti, con i loro più specifici organelli interni, ciascuno ben diviso da tutti gli altri. Sapete come? Non essendo più una sola cellula. Bensì una gestalt (amalgama) di simili unità vitali, ben protetta da una spessa e indivisa membrana esterna, tanto resistente da potergli garantire l’idonea protezione.
Trascorsi secoli, millenni o interi eoni, quindi, la questione percorse quel binario fino alla fine: poiché sulla base della dura legge della giungla sotto il mare, non puoi certo sopravvivere, se non ti evolvi fino alle più estreme conseguenze. Il che per le alghe, molto spesso, non comporta altro che una rapida riproduzione, sufficiente a superare il rapido consumo garantito da forme di vita implacabili e, per così dire, erbivore con aggressiva convinzione. Non c’è un solo caso, tuttavia, in cui lo schema originario del cosiddetto cenocita o sincizio (Ovvero il biblico “Noi siamo Legione” in versione acquatica e vegetale) appare maggiormente chiaro all’occhio dell’osservatore, che nella presenza vegetativa della Valonia ventricosa, sfera smeraldina e indipendente grande fino a 4-5 cm, che occasionalmente rimbalza sui fondali come fosse una pallina da ping-pong. In grado di costituire, senza il benché minimo dubbio, uno dei più grandi esseri unicellulari di questa Terra.
Intendiamoci: il concetto erroneo eppur largamente diffuso che vedrebbe il “singolo mattone della vita” come una diretta corrispondenza di ciò che rappresentano atomi e molecole per la materia inanimata andrebbe oggi totalmente accantonato (dopo tutto, le PRIME sono fatte dei SECONDI, giusto?) Anche perché soltanto nel nostro corpo esiste il caso di nervi unicellulari lunghi anche svariati metri, per non parlare dell’univoca struttura dell’intestino tenue. Mentre essendo qualsiasi uovo non fecondato, essenzialmente, anch’esso singolo e indiviso, è possibile affermare con certezza che la cellula maggiore sul nostro pianeta debba essere per forza il dono che ha deposto il caro struzzo nel suo nido.
Eppure qui siamo di fronte ad un qualcosa che finisce per assomigliare, del tutto casualmente (?) allo stereotipo di quello che una cellula DOVREBBE essere. Il piccolo (!) sferoide, galleggiante nel vasto mare…
La Valonia, anche conosciuta come occhio del morto o del marinaio, trova il suo habitat ideale nei mari caldi e tropicali, soprattutto del Nuovo Mondo, benché sparute macchie di diffusione siano state rilevate essenzialmente sui fondali di tutti e cinque i continenti (escluso l’Antartide, s’intende). Essa costituisce, inoltre, un noto agente infestante negli acquari, spesso trasportato accidentalmente assieme a rocce o coralli mentre si trovava ancora ad uno stadio della sua vita invisibile dall’occhio umano, per poi replicarsi con rapidità impressionante ed invadere ogni centimetro a disposizione. Un proposito raggiunto grazie a un sistema riproduttivo d’invidiabile efficienza, frutto delle caratteristiche molto particolari di una così bizzarra espressione della vita marina.
Come molti cenociti infatti, tanto per cominciare, l’alga sferoidale presenta un grande vacuolo (organello racchiuso da vescica) centrale, dai quali s’irradiano una serie di “domini citoplasmatici”, sostanziali zone d’influenza, ciascuna dotata del suo nucleo, un pirenoide (corpo denso contenente accumuli di sostanza nutritive) e un certo numero di cloroplasti. Detto questo e come precedentemente accennato, non esiste alcun muro interstiziale di suddivisione tra i diversi spazi, bensì una serie di microtubuli di collegamento, fino a un velo esterno, spesso appena 40 nanometri, oltre cui trova posto una delle più notevoli barriere cellulari della natura. Tanto dura e spessa da essere stata paragonata a una buccia d’arancio, e in funzione di questo capace di resistere all’assalto di molti piccoli pesci, molluschi o altri divoratori d’alghe. Sopratutto quando si considera come speciali vacuoli nel citoplasma possano occuparsi di tappare, letteralmente, i buchi prodotti dai loro denti, proboscidi o chele, garantendo l’assoluta transitorietà di un qualsivoglia danno residuo. In altri termini, niente potrà varcare quella soglia, ne ora ne mai; fatta eccezione per i rizoidi, ovvero le “radici” dell’alga, utilizzate da quest’ultima al fine di assicurarsi saldamente a uno scoglio o altra struttura del fondale. Benché la Valonia possa effettivamente sopravvivere anche rotolando liberamente nel vasto mare, a patto che riceva una quantità opportuna di luce.
Tale incrollabile rapporto d’auto-perpetrazione, d’altra parte, trova una diretta corrispondenza anche nell’approccio specifico di questa forma di vita alla riproduzione, che pur non essendo effettivamente riconducibile all’universale concetto di mitosi, segue uno schema che su scala maggiore la ricorda molto, molto da vicino. Messa da parte l’occorrenza piuttosto rara e poco studiata della riproduzione sessuale (comunque possibile per quest’alga, a quanto pare) nella maggior parte dei casi un globulo figlio inizia semplicemente a formarsi all’estremità di uno dei rizoidi, gonfiandosi progressivamente a partire da un singolo nucleo periferico emesso attraverso la parete esterna del citoplasma. Saranno quindi le correnti marine, idealmente, a separarlo dalla cellula madre, portandolo a rotolare lontano per la maggior gloria della propria antichissima, indistruttibile specie.
Istintivamente paragonabile all’erba rotolante nei film del Far West, l’occhio del marinaio è una presenza costante che in qualche modo sembra esserci sempre stata. E che assai probabilmente, continuerà per sempre a rotolare, colorando di verde i mari della Terra. Non siamo noialtri, del resto, dei draghi immortali. Che cosa ci resta da fare, dunque, se non passarci l’oggetto splendente da una mano all’altra… Come il cane di Fo intento a giocare con la sua palla, profondamente concentrato sul più profondo e intangibile significato dell’esistenza.