Quanti drammi e quanti sforzi, quante tragiche battaglie! Nel rincorrersi dei secoli attraverso il corso della storia: continente, Eurasia, zona, Medio Oriente, nazione, Iran. Ciro e Dario, le loro satrapìe, ambizioni di conquista e prove tecniche di un grande Impero; quindi la venuta del Macedone con le sue armate dalle implacabili sarisse ed infine, il corso tormentato di una lunga guerra moderna ed ahimé, contemporanea, soltanto per riuscire a controllare i pozzi di petrolio di una ricca eredità sotterranea. Eppure, è mai possibile? A tal punto essere presi, dal profondo desiderio del tipo di ricchezza che deriva da una simile risorsa, da dimenticarsi il tipo di conflitti che da un tempo assai più lungo, in quegli stessi luoghi, sono stati combattuti sotto-terra. Poiché dove affiora la ricchezza del profondo, che sia liquida, gassosa o in ogni caso fluida, dev’esserci per forza qualche cosa di non permeabile a riuscire a trattenerla. E quel qualcosa, molto spesso, è il sale (NaCl).
Tra tutte le gemme che derivano dalle occasioni di contatto tra diversi componenti minerali, forse la più candida e perfetta, così solida e immutabile, quindi capace di restare suddivisa in singoli granelli indipendenti. Il che comporta, come è noto, la creazione di un ammasso stratiforme che possiede il nome di diapiro. Un po’ come, se vogliamo, la gustosa farcitura di una torta (salata?) che inevitabilmente, per le leggi della fisica, non può che SPINGERE in direzione chiaramente contro-gravitazionale. A ben pensarci, niente di tanto strano: come in mare, come al lago, per quel principio di galleggiamento che permette il galleggiamento di un tappo di sughero, dove ciò che ha densità minore, per suo conto, non può fare a meno di galleggiare. Ma ora immaginate questo stesso identico processo, per le infinite tonnellate di materiali che compongono l’intera zona di contatto tra due placche continentali, quella arabica e le terre emerse tra il Mar Caspio e il Golfo Persico più a meridione. Perfetto: avete appena visualizzato la catena montuosa di Zagros.
Le chiamano cupole benché tecnicamente, non siano che una delle tante possibili espressioni della cosiddetta tettonica salina, tramite la quale molto spesso, le distese derivanti dalle ancestrali evaporiti di un mare ormai prosciugato da incalcolabili generazioni affiorano, perforano ed iniziano a riversarsi in superficie. Creando quelle insolite caratteristiche del paesaggio che ricordano fiumi, ghiacciai e persino cascate. Mutevoli ma persistenti. Almeno finché un’affamata capra, per una ragione o per l’altra, dovesse finire per passare da queste parti…
Perciò il paesaggio salino della parte centro-meridionale dell’Iran, pur presentando alcune caratteristiche analoghe a quelle di particolari zone nel territorio degli Stati Uniti, del Canada e della Russia (per non parlare dei diapiri salini profondissimi che, in epoca recente, sono stati dimostrati esistere al di sotto della nostra Europa) presenta una particolare selezione di caratteristiche, sia inerenti che esteriori, da averne giustificato l’inclusione nella lista dell’UNESCO come “patrimonio naturale insostituibile” del nostro, a quanto pare insolito, pianeta. Non avviene infatti altrove che un’insieme di oltre 130 cupole salifere, spesso situate a poche centinaia di metri l’una dall’altra, si trovino delimitare nei fatti poche sparute zone dove gli affioramenti rocciosi non sono in qualche modo macchiati, corrosi o segnati da copiose quantità dell’importante polvere granulometrica, un tempo considerata genesi di ricchezza al pari del petrolio stesso che riesce tanto spesso ad intrappolare. Eppure forse a causa della posizione remota di questi luoghi, per non parlare delle difficili condizioni climatiche che li caratterizzano, qui non trovò mai storicamente la collocazione un tipo di commercio come quello rinomato del salgemma dell’Himalaya, né in epoca successiva (per lo meno, fino ad ora) lo scavo sistematico e altrettanto distruttivo dei profondi pozzi di petrolio. Ragion per cui, i monti Zagros ma anche le zone antistanti come l’isola di Qeshm nel Golfo Persico, dove si trova la più lunga caverna di sale al mondo (6400 metri) restano tutt’ora per lo più incontaminate, permettendo la soddisfazione del complesso criterio di autenticità necessario al fine di essere tutelate dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Problematiche incapaci queste, nello stesso tempo, di scoraggiare un certo tipo di turismo avventuroso, condotto da coloro che risultano propensi ad accettare qualche sacrificio, pur di fare l’esperienza di un paesaggio che potrebbe facilmente appartenere a Marte, Venere o altri corpi astrali che campeggiano nei nostri cieli di primavera. Non capita certo spesso, d’altra parte, che i diversi strati di un’intera regione geologica vengano letteralmente ribaltati grazie alla spinta sotterranea di un corposo ammasso di materia indipendente, permettendo in tal modo l’osservazione diretta dei processi stessi alla base delle forme e la composizione di un qualsivoglia paesaggio. Mentre gli affioramenti del sale stesso, disponendosi in complesse e caratteristiche strutture che furono progressivamente erose dall’insistente furia degli elementi, assumono l’aspetto di stalagmiti frastagliate anche all’aperto, simili al dorso di un mostro preistorico dimenticato, in attesa che qualcuno, offrendogli una gemma intrisa del potere divino, tenti miracolosamente di risvegliarlo. Ed in effetti non è certo inusitato che in prossimità di affioramenti salini come questo sia possibile trovare ampi reperti fossili di una biosfera ormai trascorsa. Ogni prelievo di souvenir, per ovvie ragioni, è ad ogni modo grandemente sconsigliato: chi può dire quali e quante leggi, sia internazionali che appartenenti al severo contesto iraniano, siano state poste a regolare l’indesiderabile manomissione da parte di eventuali collezionisti affamati di storia…
Non è sempre facile, in ultima analisi, comprendere quale possa essere l’effettiva relazione tra gli alterni percorsi delle vicende storiche umane e il pregresso cronologico della serie di catastrofi, interazioni e conflitti di natura geologica che hanno costituito il mondo al di sotto dei nostri piedi. Almeno nel caso della Persia tuttavia, un paese che trovò il nuovo appellativo internazionale d’Iran nel 1935 per volere dello scià Pahlavi e nel tentativo di resuscitare un’antica prerogativa (significato letterale: paese degli Arii) precedente all’universo di problemi e contenziosi dell’era contemporanea, possiamo affermare che un certo grado di ricchezza di risorse, accompagnata dalla natura impervia del paesaggio abbia dato la genesi a una cultura di autosufficienza e sostentamento reciproco, non sempre compatibile con quella dei paesi limitrofi e le loro popolazioni. Il che ha purtroppo esacerbato, col succedersi delle ultime generazioni, la corposa collezione di differenze in materia di visioni e interpretazioni della fondamentale verità del Mondo.
Ironico, non trovate? Proprio adesso che lo stato geologico dei continenti, per una stabilizzazione momentanea delle condizioni climatiche vigenti (qualcuno potrebbe chiamarla anche, “la quiete prima della tempesta”) gli sconvolgenti moti sotterranei sembravano disposti a concederci un più lungo periodo di tranquillità. Quasi come se la nostra continuativa esistenza, per leggi non scritte e certamente assai poco desiderabili, debba comportare per forza l’accumulo di una quantità sufficiente d’ansia, ovvero lo stato d’animo diametralmente inverso all’ottimismo. Proprio quello che, secondo alcuni, avrebbe dovuto costituire il SALE…