Si dice che ogni abitante d’Irlanda nasca accompagnato da una particolare buona sorte, come esemplificato dalla pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno e il volere sghignazzante del Leprecauno. E poiché la fortuna di un individuo, a differenza di quella di un popolo, risulta un valore soggettivo e difficile da misurare, sarebbe ingiusto negargli questa prerogativa sulla base di presunte analisi storiografiche basate sull’andamento pregresso dei fatti. Ma che dire, invece, di un condottiero normanno e protettore del reame dalle potenti armate dei conti di Maine e d’Angiò, che all’inizio della terza crociata scelse di lasciare la sua baronìa ereditaria, per seguire nell’avventura il suo amato re. E di certo nel 1189, c’erano ben pochi personaggi che potessero ispirare fedeltà e devozione al pari di Riccardo Cuor di Leone, una delle figure storiche più influenti del Medioevo francese e inglese, in grado di alterare e riscrivere gli equilibri politici di tutta Europa. Persino dopo essere stato catturato, al ritorno dalla Terra Santa, dal malefico duca d’Austria Leopoldo V, occasione in cui il suo fedele luogotenente e amico di vecchia data Walchelin de Ferrieres, assieme a innumerevoli altri nobili della corte, si offrì spontaneamente per l’essenziale scambio. Ma dare in dono la propria libertà per un proprio superiore nella catena di comando feudale, innegabilmente, nasceva da un rapporto di fiducia più che decennale. E fu così che dopo essere stato restituito agli inglesi nel 1197, soltanto tre anni prima che la (presunta) tarda età lo conducesse alla prossima vita, il coraggioso comandante avrebbe fatto ritorno presso una terra e un castello nella piccola contea di Rutland, presso le Midlands britanniche orientali, che aveva ricevuto in dono anni prima dal suo amato sovrano. Traendo finalmente un qualche soddisfazione da quella speciale “energia” o se vogliamo “ricchezza” che aveva accumulato all’interno della tenuta fortificata di Oakham, attraverso i lunghissimi anni trascorsi a realizzare l’altrui visione di un mondo che potesse dirsi, in qualche maniera, equilibrato e giusto.
Perché vedete, questo particolare nobile di origini francofone aveva portato con se un cognome, la cui etimologia non sembrava lasciar nessun tipo di spazio al dubbio: i suoi remoti antenati, in un momento imprecisato della storia, dovevano essere stati dei maniscalchi. Ovvero quel tipo di commercianti del tutto simili ai fabbri ma interessati a uno specifico campo, e soltanto quello: la ferratura degli zoccoli equini, fondamentale “macchina” che permetteva di funzionare all’economia del tempo. E lui questa discendenza non l’aveva mai dimenticata, adottando nel proprio stemma l’immagine di 13 ghiande (da cui nel nome del castello la parola Oak – quercia) ed al centro un gigantesco ferro di cavallo ritratto su fondo verde, sinonimo universale di buona sorte. Se non che, e questo era davvero l’aspetto più singolare, l’oggetto in questione era rivolto verso il basso, con la gobba a svuotare il metaforico contenuto di ricchezze. Questa era una configurazione generalmente considerata infausta dal folklore popolare. Ma scelta per un’ottima ragione o almeno così si dice: affinché il diavolo con le sue malefatte, sempre pronto a mettersi di traverso, non potesse sedersi al suo interno. Il che in altri termini potrebbe riassumere un punto di vista secondo cui è meglio “una fortuna piccola” che attimi di momentanea soddisfazione, seguìti da lunghe e travagliate disavventure. Fatto sta che un simile motto, sebbene mai pronunciato ad alta voce, dovette in qualche modo restare associato alla famiglia e la discendenza di
Walchelin de Ferriers. Se è vero che oggi, come ampiamente noto in tutto il paese, ciò che resta del suo millenario castello ospita oltre 230 veri ed assai tangibili ferri di cavallo d’aspetto stravagante, quasi tutti sovradimensionati e incisi col nome di questo o quel barone, conte, se non addirittura un membro della famiglia reale inglese. Pare infatti che farne fabbricare uno e lasciarlo qui costituisse, per la nobiltà nazionale, un gesto imprescindibile ogni qual volta si transitava attraverso la contea di Rutland. E si sa molto bene: chi è causa del proprio mal, sfidando la tradizione…
La prima cosa che colpisce un ipotetico visitatore, durante la visita al castello storicamente fondamentale di Oakham, come il più antico esempio di architettura normanna in Inghilterra, è il fatto che non sembri affatto la tipica fortezza raffigurata sui libri di storia o le cartoline. Questo perché effettivamente, attraverso i secoli, le traversie e l’incurie devono averlo privato delle sue mura perimetrali esterne, le torri di guardia, le scuderie, l’armeria e ovviamente, il fossato, lasciando soltanto il corpo centrale di quello che normalmente costituiva, ad ogni modo, l’ambiente di maggior ricchezza ed importanza di tutto il complesso: la grande sala, usata per banchetti, udienze e ricevimenti. Un luogo in cui normalmente, un lord con il grado di barone era autorizzato ad appendere al massimo un blasone o due, magari accompagnato da qualche ritratto di famiglia. Ma per i discendenti di un comandante sul campo delle truppe di Riccardo Cuor di Leone in persona, simili norme del senso comune ovviamente non sarebbero state considerate vincolanti. Ragion per cui, attraverso le successive generazioni della famiglia Ferriers, i ferri di cavallo sulle pareti continuarono ad aumentare ed aumentare, al punto che oggi si sospetta, molti dei meno magnifici o degni di nota siano stati rimossi in blocco durante svariati periodi storici, per fonderli e farne qualcosa di maggiormente utile alla comunità. Un destino che venne risparmiato, per ovvie ragioni, al particolare esempio di calzatura equina che costituisce ad oggi il più antico pezzo superstite, donato da niente meno che re Edoardo IV all’apice della guerra delle Due Rose tra le casate di York e Lancaster, che soggiornò qui dopo la sua vittoria decisiva nella battaglia di Losecoat Field, il 12 marzo del 1470. Mentre i ferri commemorativi appesi nella magione a partire da quel momento si succedono a spron battuto (è proprio il caso di dirlo) un anno dopo l’altro, diventando progressivamente più elaborati: da privilegio riservato unicamente ai membri della famiglia reale, diventò ad esempio l’usanza che ciascuno di essi venisse sormontato da una corona araldica, ripresa direttamente dallo stemma di colui che ne faceva omaggio all’attuale proprietario del castello. Un ruolo passato oggi alla figura del Lord Luogotenente, regolarmente nominato nella contea di Rutland, come in tutto il resto del Regno Unito s’intende, dalla regina in persona (non che la stessa Elisabetta II si sia risparmiata nel partecipare all’antica prassi, contribuendo anche lei con un notevole ferro di cavallo color cobalto, non particolarmente grande ma posto, assai giustamente, nel posto d’onore all’ingresso del maniero).
Visitare il castello di Oakham è del tutto gratuito trattandosi oggi di un edificio pubblico, usato tra l’altro come corte giuridica in particolari circostanze d’appello, ruolo nel quale rappresenta in assoluto il più antico tribunale tutt’ora in uso di tutta l’Inghilterra. L’edificio costituisce inoltre lo scenario ideale per eventi pubblici, feste di paese o altre ricorrenze del paese omonimo di circa 10.000 anime, per cui l’industria del turismo è un’indubbia quanto rilevante fonte di sostentamento. Non è certo un caso, a tal proposito, se proprio l’importanza storica della grande sala gli è valsa nel 2014 una concessione di ben 2 milioni di sterline dal fondo della Lotteria Nazionale come importante patrimonio culturale, evento a seguito del quale sarebbe rimasto chiuso per ben due anni, al fine di pulire, preservare e rimettere in posizione la vasta collezione di ferri di cavallo. Una fortuna certamente innegabile, per qualcosa di tanto antico e del tutto impossibile da sostituire.
Disseminati nello scenario di una natura tranquilla e notoriamente priva di sorprese, le antiche testimonianze della vicenda nazionale inglese mantengono immutato il proprio significato attraverso le trasformazioni della mutevole società. Non meri esempi di storia, attentamente impacchettati e serviti al pubblico, ma vivaci e funzionali schegge di tradizioni folkloristiche rimaste per lo più immutate, grazie a un’attenzione speciale nei confronti dei loro predecessori. Il che deriva, in una parte significativa e innegabile, da un rapporto privilegiato con il concetto ereditario di nobiltà. Che tanti problemi avrebbe portato attraverso gli anni… E tante occasioni di guardarsi indietro… Per chiedersi, in ultima analisi, se avessero ragione gli Irlandesi. Affidando il percorso del proprio destino al lancio di una moneta, un sorso di birra e l’intenzione di fare “soltanto” il meglio, indipendentemente dalle carte ci si trova in mano.