Le comuni api della specie A.mellifera sono una risorsa economica di sicura efficacia, particolarmente quando allevate mediante metodologie dall’alto grado di funzionalità e secondo la conoscenza acquisita in molti secoli di collaborazione con gli umani. Ma quando si tratta di fare affidamento su di loro per l’impollinazione dell’orto o le altre risorse agricole sotto la nostra supervisione, non presentano certo le caratteristiche di un vero e proprio strumento di precisione. Poiché come disposto dalla prima di tutte le regine, nel cercare quel che serve alla fine di fabbricare il miele esse volano a molte centinaia, se non miglia di distanza, secondo i dettami del loro puntuale senso d’orientamento. E quindi una volta tornate all’alveare, danzano per trasmettere le specifiche direttive di volo alle loro innumerevoli sorelle. Non si può costringere una simile cooperativa ad operare in un territorio definito, il che è la ragione per cui, al giorno d’oggi, molti praticanti dell’attività agraria lamentano una sostanziale mancanza di api. Certo, in condizione tipiche, come biasimarli? Ma c’è un altro approccio al problema che consente di sfruttare un rapporto tra la biomassa e l’obiettivo presunto decisamente più vantaggioso, laddove senza ricorrere a un’intera comunità d’insetti, una singola volatrice può garantire un trasferimento riuscito di materiale genetico vegetale di fino a 60 volte superiore; moltiplicato per ogni singolo esemplare sul cui lavoro diventa possibile fare affidamento. Sono le megachilidi muratrici e in particolare una specie tra loro originaria del Nord America, non a caso definita Osmia lignaria o “ape blu dei frutteti.”
Di certo questa particolare creatura artropode non è l’unica nella sua famiglia che possa risultare in grado di assolvere a una simile mansione, né possibilmente quella più efficiente nel farlo, però possiede alcune caratteristiche che la rendono assolutamente l’ideale per l’allevamento sistematico a un tale scopo: intanto l’indole mansueta e la rapida proliferazione, ma soprattutto, l’abitudine a entrare in uno stato di sospensione durante l’ultimo stadio pre-adulto della sua esistenza, esteso quanto l’inverno reale o indotto (mediante l’impiego di apposita cella refrigerata) per emergere quindi, come alla ricezione di un preciso comando, allo scopo d’intraprendere subito il suo lavoro sui fiori. Che avrà l’ulteriore e notevole vantaggio di svolgersi, come lasciato intendere poco più sopra, nel raggio degli immediati dintorni, garantendo una copertura estremamente valida dei terreni che necessitavano del suo aiuto. Questo perché l’ape blu, pur tollerando l’immediata vicinanza delle sue simili anche all’interno di un singolo “condominio” non coopera mai con esse, necessitando di poter fare affidamento unicamente sulle proprie forze. Nel creare un qualcosa che rappresenta, sotto numerosi aspetti, un’altra vera piccola meraviglia architettonica della natura…
Immaginate ora l’esistenza di questo imenottero che a differenza dello stereotipo del suo ordine, non vive assieme a centinaia o migliaia di consorelle, ciascuna dedita a una specifica mansione, ma deve essere al tempo stesso l’operaia, la soldatessa, la regina e talvolta si, persino il fuco (mediante l’impiego della partenogenesi) di se stessa. In circostanze all’interno delle quali diventa assolutamente logico che essa debba poter fare affidamento su un sistema riproduttivo esente dalla propria costante partecipazione, pena il sistematico abbandono dei piccoli a più riprese nel corso della loro vulnerabile esistenza. Ecco dunque l’idea geniale, prodotta attraverso gli innumerevoli tentativi dell’evoluzione: trovare/creare (un po’ dell’una e un po’ dell’altra cosa) un’abitazione da sigillare totalmente nei confronti dell’universo, fuor dalla quale soltanto una volta adulte le api potranno finalmente scaturire. Restando in questo modo invisibili, intoccabili e inviolabili da parte di ogni possibile predatore. O quasi. Ed è certamente nell’approntare un siffatto rifugio, che tutto l’ingegno ereditato geneticamente e l’antica sapienza di un tale essere trova la sua espressione più significativa nonché evidente: perché a differenza dell’altro tipo di api solitarie maggiormente diffuso, quelle del genus Xylocopa, le muratrici non scavano la loro tana nel legno, ma vanno in cerca di fori o strette aperture precedentemente esistenti, possibilmente chiuse all’altra estremità: il cavo degli alberi ma anche grondaie, tubi di scolo, serrature… Quindi depongono sul fondo la prima delle loro uova su un letto di fango cementato grazie all’impiego di un’apposita secrezione, al quale fanno seguire un’adeguata quantità di polline ben pressato. Fatto questo, aggiungono terra bagnata per una nuova parete, dietro la quale si affrettano a deporre un secondo uovo, con un’equivalente quantità di nettare nutritivo prelevato direttamente dai fiori del vicinato, quindi un’altro muro di fango e… Riuscite ad immaginarlo? Così via a seguire, fino all’esaurimento dello spazio nel tubo. Nel corso della propria intera esistenza adulta che dura tra le 4 e le 8 settimane, una femmina di Osmia Lignaria costruisce dopo l’immediato accoppiamento che fa seguito all’emersione fino a quattro-cinque tubi, ciascuno contenente un massimo di otto uova. Il che, come certamente riuscirete ad immaginare, comporta la frequentazione e conseguente impollinazione di un grande, grandissimo numero di fiori.
C’è uno strano quanto inaspettato parallelismo tra l’esistenza giovanile dell’ape dei frutteti e quella del prototipico bruco che si trasforma in farfalla, veicolato sopratutto dalla produzione di un vero e proprio bozzolo, a sua volta protetto all’interno del rifugio costruito dalla sapiente ape-madre. Con la differenza che fino al momento della (ri)nascita al cospetto della luce solare del mondo, essa trascorre il suo stato larvale nella più assoluta e completa oscurità, nutrendosi unicamente delle provviste che ha ricevuto in dote al momento della sua nascita, con encomiabile premura genitoriale. Ma le similitudini finiscono qui. Poiché c’è una specifica linea guida nel modus operandi dell’ape solitaria, che prevede la deposizione del giusto numero di uova maschio e femmine (il cui sesso è controllato mediante l’avvenuta o meno fecondazione, capace di garantire al 100% la nascita di un esemplare femmina) affinché la proliferazione della specie possa continuare con il massimo grado di efficienza. E ciò nonostante i sempre presenti pericoli, che includono l’attività sempre problematica delle vespe parassitarie, capaci d’infiltrare persino un così ben protetto nido al fine d’inserirvi le proprie larve carnivore, che faranno prevedibilmente scempio delle fin troppo pacifiche padrone di casa. Detto ciò, le api megachilidi sono quanto meno immuni all’acaro parassita Varroa destructor, che tanti danni ha arrecato e continua ad arrecare alle loro cuginette mellifere dentro i tutt’altro inviolabili palazzi della loro stratificata e ben più complessa esistenza sociale.
Naturalmente più resistenti ai pesticidi, nonché molto utili nel loro ruolo di super-impollinatrici, pur non producendo alcun tipo di miele le api solitarie stanno acquisendo un ruolo sempre più di primo piano nelle attività agrarie di una parte significativa del mondo. Ragion per cui iniziano a trovare diffusione un certo tipo di casette in legno o cosiddetti condomini, costruiti appositamente al fine di offrire il maggior numero di tubi, accompagnati se possibile da un substrato di fango pronto da prelevare ai piedi del palo di sollevamento. Nella creazione di uno spazio idoneo l’assenza precedente del quale, per ovvie ragioni, costituisce spesso la principale limitazione alla riproduzione sistematica di questa amichevole ape. Ed è palese che da una rapida ricerca su Amazon Italia, simili implementi stiano iniziando a trovare una certa diffusione anche sul nostro territorio, benché si tratti principalmente di prodotti d’importazione.
Chissà che trattazioni sommarie nel vasto spazio di Internet come questa, con il passare del tempo, non possano contribuire indirettamente alla diffusione di una così utile pratica, che fa bene agli insetti e alle piante, facendo anche bene, grazie all’impiego di metodi genuini, al cliente finale dei suddetti frutteti. Ovvero proprio colui che varca, con inconsapevole propensione all’errore, la porta scorrevole di un supermercato.
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