È una percettibile realtà di tutti i giorni questo fatto che, per chi ha la pazienza di cercarli, i tesori della Terra ci vengono offerti quotidianamente, connotando e incrementando i presupposti di soddisfazione personale delle nostre peregrinazioni: il canto allegro di un passero di montagna, il gusto dolciastro di un acino d’uva, lo scintillìo di un’agata olivastra tirata fuori dall’oscurità della miniera. Animale, vegetale, minerale. Ciò che tuttavia non ci saremmo mai aspettati, fino agli ultimi progressi della scienza che ogni cosa rende apparente, è che in mezzo al fango, tra il lerciume delle grondaie, negli spazi definiti di un’ambiente certe volte trascurato, potessero nascondersi regali provenienti dalle mistiche regioni di Altrove. In altri termini, testimonianze di un Sistema differente di pianeti, una cometa o altro corpo cosmico che aveva fatto il proprio ingresso nel suo vicinato. È allora che la mente corre al dato certamente preoccupante, secondo cui ogni anno attraversano con successo l’atmosfera circa 4.400 tonnellate di materiali.
Quando si parla di… Impatto in grado di causare l’estinzione dell’intera genìa di dinosauri, se soltanto non venisse polverizzato in innumerevoli frammenti per l’effetto dell’attrito in fase di gravitazione finale. Ma la domanda, più che mai lecita, diventa allora, dove mai sarebbe questa massa inusitata? Il musicista jazz norvegese di fama e scienziato autodidatta Jon Larsen ebbe modo di porsi il problema per la prima volta esattamente 8 anni fa quando, mentre si trovava a pranzare nel suo cortile, un suono improvviso segnalò il più inaspettato degli impatti proprio al centro del sul suo tavolo. Si trattava di una piccola roccia dall’aspetto metallico. In altri termini, un meteorite.
Voglio dire, quali sono le probabilità! Beh, contrariamente alle aspettative largamente date per scontate, piuttosto elevate. Come dimostrato dal lungo percorso che l’avrebbe portato, nell’estate del 2017, alla pubblicazione del suo libro di maggior successo, uno straordinario catalogo fotografico intitolato In Search of Stadust (Alla ricerca della polvere di stelle) con 1.500 immagini digitalmente trasferite su carta di altrettante piccole, per non dire minuscole rocce provenienti da lontano, molto, molto lontano. Ma non prima di aver scosso la comunità accademica, soltanto un anno prima, con lo studio intitolato: “Una collezione di grandi micrometeoriti dei nostri giorni” pubblicato sul mensile Geology con la collaborazione di alcuni esperti del settore. Poiché la questione, vedete, è che il concetto alla base della ricerca e catalogazione di simili pietruzze, la cui dimensione è misurabile in frazioni infinitesimali di un millimetro, tende ad associarle normalmente a luoghi straordinariamente remoti: le dune dei deserti, il ghiaccio eterno dei poli, la cima delle montagne… Mentre la mera legge della probabilità ci aveva sempre dato modo d’intuire come esse dovessero trovarsi distribuite ovunque. Incluso il territorio urbano della nostra vita civilizzata e contemporanea. Ed è in effetti esistito per molti anni, questo concetto spesso dimostrato e descritto nelle aule di scuola più “sperimentali” (in altri termini, generalmente, americane) di mandare gli alunni a caccia di micrometeoriti, usando i più diversi sistemi riconfermati attraverso lunghe generazioni d’insuccessi. Finché inevitabilmente, in maniera riconfermata dallo stesso Larsen, non si giunse a una conclusione in grado di cambiare radicalmente le probabilità: che un buon 80% dei micrometeoriti presenti sul nostro pianeta presenta tracce di materiali magnetici all’interno. Ragion per cui esiste uno strumento che potremmo chiaramente definire idoneo a trovarli: un semplice magnete…
La definizione tecnica di un micrometeorite è quella di una roccia spaziale talmente piccola, e in conseguenza di ciò leggera, da poter attraversare (più o meno) integra il terribile calore generato al rientro nella nostra temibile atmosfera. Un processo che non può comunque prescindere, generalmente, dalla fusione parziale dei suoi diversi componenti minerali, suddividendoli ordinatamente tra uno “zoccolo duro” di sostanze dense, frenato da una sorta di paracadute, che tende a solidificarsi non appena l’oggetto impatta tra l’erba, il selciato o simili superfici. Il risultato sono questi granelli appena visibili, che tuttavia sotto un microscopio si rivelano come veri e propri piccoli mondi viaggianti, ricoperti di valli, crateri e crepacci vertiginosi. Talvolta ricoperti di chiazze variopinte appartenenti a pietre inusitate o visibili incastri, silente testimonianza del tipo di ambiente alieno in cui sono andati incontro alla loro genesi antica di molti millenni. Chi potrebbe, a questo punto, dire in tutta coscienza di non voler sperimentare una simile esperienza?
Detto questo e benché l’osservazione approfondita richieda di avere a disposizione un qualche tipo di microscopio, possibilmente in grado di scattare immagini di tipo digitale, ciò che risulta sorprendente è l’effettiva accessibilità del metodo di caccia e ritrovamento perfezionato da Larsen. Il quale richiede per essere portato a termine nient’altro che un potente magnete del tipo a neodimio (o altro elemento appartenente al gruppo delle terre rare) da far scorrere nell’area selezionata, ma non prima di essersi premurati di averlo ricoperto col tipico sacchetto trasparente chiamato in lingua inglese una sandwich bag. Questo perché altrimenti, subito dopo ciascuna sessione di raccolta, sarebbe particolarmente difficile riuscire a staccarlo dalle minuscole particelle magnetizzate scovate tra il terriccio e gli altri materiali sottoposti al processo di analisi correntemente intrapreso. Come passaggio successivo si mette quindi l’intera mano, con calamita e sacchetto, all’interno di una busta più grande poco prima di rovesciare il tutto, quindi con molta cautela si tira fuori l’oggetto magnetico utilizzato. Ciò che lui consiglia di usare per l’ammasso di detriti risultante, a questo punto, è una serie di setacci a partire dai 400 nanometri e fino ai 200, per eliminare tutti i candidati troppo grandi o piccoli per appartenere al tipo più probabile di roccia potenzialmente interstellare. Ed è a questo punto, dunque, che inizia la ricerca propriamente detta. La quale, come potrebbero testimoniare a pieno titolo gli autori del servizio di Verge mostrato all’inizio di questo articolo, può spesso risultare più difficile del previsto…
Per una ragione principale che possiamo ricondurre alle interferenze, dovute al fatto che come precedentemente specificato, staremo facendo la nostra ricerca in un’area densamente popolata o comunque interconnessa a una logica abitativa variabilmente urbana. Poiché il problema, dovete sapere, è che di particelle dalla forma di uno sferoide oblungo scintillanti come l’acciaio tali regioni risultano essere letteralmente ricoperte: si tratta di residui della lavorazione del metallo, schegge staccatosi da attrezzi elettrici o altri implementi operativi, polvere derivante dalla fabbricazione di macchinari pesanti. Tutti microscopici oggetti, questi, che i venti della Terra sollevano e distribuiscono con largo trasporto, benché assai prevedibilmente la loro concentrazione maggiore si trovi proprio in corrispondenza delle zone più densamente popolate. Ed ecco perché la squadra messa assieme del popolare canale scientifico della rivista web statunitense, dopo aver coinvolto lo stesso Larsen nel proprio progetto ed avergli inviato i campioni raccolti in lunghe ore di lavoro, ha purtroppo ricevuto da lui la notifica di un probabile 100% di falsi positivi, a quanto pare causati dalla loro comprensibile preferenza per tutte quelle particelle che si dimostravano più scintillanti, a discapito di altre dall’aspetto e la conformazione comunque significative.
È una palese verità di ogni aspetto della vita, del resto, il fatto che non sempre si possa riuscire ad avere successo al primo tentativo. Ciò non dovrebbe costituire mai, d’altra parte, una ragione considerata valida per passare ad altro. Ogni giorno, del tutto indifferente al nostro aleatorio interesse, la pioggia di piccole magnifiche pietre continua a battere con enfasi sui vetri delle nostre finestre e il selciato dei marciapiedi. Tutto quello che occorre per scorgerle davvero è un occhio (artificiale) che possa dimostrarsi sufficientemente accurato a rivelare le loro qualità inerenti. Ed è ancora una volta Internet, a offrircene il pretesto e la metodologia funzionale. Chiunque non se la sentisse d’intraprendere un sentiero tanto irto e tortuoso, d’altra parte, potrà sempre accontentarsi del libro…