Il battito irregolare della pioggia sul marciapiede del quartiere Ginza raggiungeva appena la sala principale del celebre ristorante specializzato in fugu Izumi, mentre nella cucina sul retro regnava il più assoluto silenzio. In uno spazio estremamente ben illuminato, assai distinto dall’atmosfera crepuscolare dedicata agli ospiti della serata, lo chef poneva il suo coltello di traverso sopra il pesce più temuto, e amato, del Giappone intero. Con uno sguardo lievemente accigliato per la concentrazione, mentre due dei suoi quattro apprendisti trattenevano udibilmente il fiato, iniziò quindi il preciso e ripetitivo movimento, avanti e indietro, avanti e indietro, per dividere la piccola creatura dal suo fegato, residenza della temibile neurotossina, 100 volte più letale del cianuro di potassio, in grado di uccidere con una dose di appena 25 milligrammi. “Ah, finitela! Non abbiamo avuto vittime per 30 anni” articolò con le sue labbra in una silenziosa reazione di stizza; “Non cominceremo certo stasera”.
Agli antipodi nello stesso esatto momento, il coltivatore di un frutteto dell’Honduras sale su una scala alta 4 metri, fino alle propaggini più alte di una pianta dall’aspetto alieno. Le foglie perforate in modo irregolare, come fosse rediviva da un’infestazione di bruchi; le infiorescenze a spadice del tutto simili a massaggiatori vibranti, con un’effetto complessivo che la gente è abituata ad associare a un certo tipo di piante altamente decorative spesso messe negli appartamenti. Ma per lui, pronto a guardare oltre, le spighe che risultano più interessanti hanno già perso la candida foglia avvolgente, nota come spata, indurendosi per somigliare vagamente a una pannocchia. Di un colore verde oliva, ricoperta da una serie inaspettata di scagliette, paragonabili alla pelle dell’armadillo. Per un lungo attimo, il proprietario della pianta resta immobile, tentando di capire quale sia la frutta pronta ad essere venduta. Sa bene che se commette un errore, ci saranno conseguenze. Forse non terribili quanto quelle del pesce palla, a causa di una dose letale per persona adulta che risulta essere 1.000 volte più grande. Eppure 25 grammi non sono una quantità poi tanto alta. Quando si considera che ci sono persone che mettono tutto il frutto in bocca, senza dare il tempo al suo sapore di avvisarti…
Frutto. Pegno della natura? Straordinario gusto ed esperienza: ciò che viene messo in tavola, senza nessun tipo di rammarico, due anni almeno dopo aver piantato una Monstera deliciosa, pianta epifita (rampicante su altri arbusti) che nonostante l’aspetto simile non è tecnicamente un Arum o un filodendro, bensì la rappresentante principale del suo genus d’appartenenza. Il cui nome fa riferimento alle alte dimensioni, nonché un insieme di caratteristiche che potrebbero ampiamente collocarla come arma del delitto in un fantasioso romanzo giallo. Piuttosto comune nei suoi luoghi d’origine, in bilico tra tutto il Centro America e la parte più meridionale del Messico, la cosiddetta ceriman o “costola di Adamo”, in funzione dell’aspetto traforato delle sue grosse foglie cuoriformi si è dimostrata nelle più recenti generazioni estremamente adattabile e capace di attecchire su scala internazionale, iniziando a popolare spontaneamente i giardini di Florida, Hawaii, Australia e i paesi che si affacciano sull’area occidentale del Mediterraneo. Fortuna vuole, dunque, che il suo frutto dal sapore descritto come “un caratteristico medley di banana, ananas e cocco” non abbia un aspetto particolarmente appetitoso, né tutto l’insieme risulti facile da consumare.
Altrimenti visto il suo elevato contenuto di acido ossalico, una sostanza usata con successo per sgrassare i tubi arrugginiti e presente anche (in quantità molto minori) negli spinaci, nel rabarbaro e in taluni cereali integrali, qualcuno avrebbe già finito per cadere malamente nella trappola. Con conseguenze, a dir poco, deleterie…
Ora sono certo che se io vi dicessi che il frutto della Monstera risulta imbevuto di un fluido che irrita la pelle, la gola e può causare accumulo eccessivo di cristalli di ossalato nel sangue (conseguenza: calcoli biliari) credo che la domanda successiva potrebbe essere: “Ma PERCHÈ MAI la gente mangia questa roba?” In fondo, non abbiamo ancora approfondito il punto chiave dell’intera questione. Ovvero il fatto che, una volta sufficientemente maturo e colto dalla pianta, se lasciato in un luogo asciutto per un tempo sufficientemente lungo, questo curioso oggetto gastronomico perde ogni pretesa di tossicità. Trasformandosi, di punto in bianco, in un alimento considerato degno del Grande Spirito della Foresta, per di più usato molto spesso dagli sciamani nei loro rituali, per il suo presunto potere mistico di panacea d’infiniti mali. Mentre i turisti ed avventurieri gastronomici, se adeguatamente guidati, non possono resistere al suo aroma pungente, forse meno intenso ma di certo paragonabile alla leggendaria “puzza” del Durian del meridione asiatico, frutto leggendario di un migliaio di prove di coraggio online. Detto questo ed una volta liberato dalla scorza scagliosa, il ceriman ci offre un’esperienza decisamente più accessibile e facile da apprezzare, tanto che chi ha avuto l’occasione di assaggiarlo, molto spesso, farà il possibile per provarlo di nuovo. Non che la preparazione, d’altra parte, spicchi per semplicità procedurale: il diretto interessato dovrà infatti, una volta posto dinnanzi al curioso oggetto, rimuovere una ad una le scaglie esagonali che costituiscono la scorza esterna, come si trattasse dei chicchi di una pannocchia, per poi estrarre il contenuto fibroso un poco alla volta. Avendo cura di notare la difficoltà complessiva dell’operazione: qualora questa infatti l’amalgama risultasse troppo coriaceo, ciò dovrebbe costituire un chiaro avviso che il frutto non è pronto da mangiare. E soltanto un folle o l’individuo cronicamente disinformato, a questo punto, potrebbe rischiare di compiere ulteriori passi nella direzione del proprio annientamento. Un altro approccio possibile è quello di spremere semplicemente la mostruosa pannocchia all’interno di un panno. Il che dovrebbe, secondo la prassi, filtrare autonomamente ogni residuo tossico, ottenendo una bevanda giallognola e dal gusto memorabile, per non parlare delle sue qualità altamente nutritive. Tra gli altri usi del succo della pianta possiamo del resto annoverare la pulizia dei minerali estratti dalle profondità della Terra, l’uccisione sistematica dell’insetto parassita varroa da parte degli apicoltori e l’anodizzazione dell’alluminio, in sostituzione dell’acido solforico, che risulta comunque essere sensibilmente più corrosivo.
Nella coltivazione a scopo ornamentale la Monstera risulta essere molto apprezzata per il suo aspetto lucido e fiero, per lo meno quando lasciata abbarbicare in modo adeguato su un sostegno di qualche tipo. Poco dopo l’attecchimento infatti, che viene generalmente favorito come nel caso del fagiolo mediante l’impiego di un batuffolo d’ovatta imbevuta, essa striscia a terra come fosse un serpente o verme, spinta dal riflesso naturale dello skototropismo a cercare l’ombra, usata in natura per trovare un albero o cespuglio presso cui far presa con le sue radici. Detto questo, la sinuoseggiante intrusa non farà nulla per sottrargli le sostanze nutritive all’ospite non trovandoci di fronte ad una pianta parassita, benché sia possibile affermare che lo stesso gesto di sottrarre l’altrui luce solare costituisca un modo per muovere guerra, per quanto si possa parlare di un simile intento tra le regioni della vita ragionevolmente statica, ovvero la parte vegetativa dell’esistenza.
“Le piante sono migliori delle persone” potrebbe a tal proposito essere pronto ad affermare un qualsivoglia sostenitore della collezione di precetti e soluzioni alimentari nota come veganismo contemporaneo. Il che è certamente vero, a patto di saperle scegliere, selezionare e preparare adeguatamente. Molte terapie e sapori beneamati possono venire da questo ampio regno. Ma anche la punizione irrimediabile, di una serie di nozioni scorrette e preconcetti acquisiti. Come nella consumazione del pesce fugu, occorre approcciarsi alla costola di Adamo con il giusto atteggiamento e ragionevole cautela. In fondo, basta un attimo per pentirsene per tutto il resto della propria (breve) vita…