Quando il fondatore dell’Islam Maometto lasciò la Mecca nel 622 d.C, con i 75 mussulmani che l’avrebbero accompagnato nel viaggio a dorso di cammello noto come ègira fino alla città di Medina, l’ispirazione divina di cui era stato investito gli permise subito di capire come il passaggio successivo sarebbe stato costruire l’importante luogo di culto destinato a diventare Al-Masjid an-Nabawi (la Moschea del Profeta). Originariamente una piazza esposta alle intemperie delimitata da tronchi di palma, in un luogo precedentemente utilizzato come cimitero ed in parte per essiccare i datteri, essa dovette entro pochi anni venire ampliata e dotata di un tetto fatto con le foglie intrecciate assieme. Questo perché, con una temperatura media estiva in grado di raggiungere e superare i 40 gradi, la sua intera regione oggi appartenente all’Arabia Saudita non è propriamente tra le più adatte per soggiornare all’aperto, sopratutto mentre si compiono i lunghi e complessi riti opportuni per rendere omaggio ad Allah. Attraverso le generazioni questo importante punto di riferimento per l’intero mondo islamico quindi, iniziò ad essere considerato il secondo più santo dopo la Grande Moschea della Mecca che custodisce il nero edificio della kaʿba, in virtù del fatto che proprio qui venne sepolto Maometto stesso, nel luogo successivamente abbellito con la celebre cupola verde edificata in epoca più recente dal sultano ottomano Mahmud II (anno di costruzione: 1837). Ciò la rese una meta essenziale, per qualunque pellegrino che fosse degno di tale qualifica, aumentando esponenzialmente la quantità di persone pronte a raggiungerla al punto che la moschea, per quanto sottoposta a successive grande opere d’ampliamento, non avrebbe più potuto, semplicemente, riuscire a contenerle. Nonostante le migliori intenzioni, non c’era molto che si potesse fare in epoche precedenti alla nostra per impedire alle moltitudini di prostrarsi sulla pubblica piazza antistante, rischiando più d’un malore a causa delle temperature elevatissime dei suoi pavimenti ornati. Questo finché al re di epoca contemporanea Abdullah bin Abdulaziz Al Saud (in carica: 2005-2015) non venne l’essenziale idea di trovare una soluzione convocando alcuni dei più abili architetti e ingegneri a disposizione sotto la supervisione del tedesco Mahmoud Bodo Rasch, affinché progettassero la serie di 250 installazioni dall’alto grado di funzionalità note come ombrelli dell’Haram (Luogo Sacro).
Per chiunque visiti la prima volta questa importante capitale, quindi, sarebbe difficile sopravvalutare la vista inimmaginabile e quasi surreale di una simile pletora di strutture, individualmente alte 15,30 metri o 21,70 da chiusi, con un’area ombreggiata di esattamente 25 metri quadri. E complessivamente, la capacità di coprire tutti e 143.000 quelli occupati dalla vasta piazza, offrendo un’area climaticamente controllata e al sicuro dai malanni causati dal grande caldo, anche grazie a un sofisticato sistema di ventilatori con nebulizzatori d’acqua installati sulle loro colonne di sostegno. Con l’avvicinarsi della sera quindi, chiudendosi con una sequenza automatica per non urtarsi a vicenda, gli ombrelli lasciano salire il calore accumulato dal pavimento verso il distante cielo. Affinché il giorno successivo, ancora una volta, i pellegrini della Moschea possano condurre le loro attività nella sicurezza garantita da uno stato costante d’ombra e ragionevole refrigerio.
Il vasto centro abitato di Medina, città nota in arabo come “la Splendente” (al-Madīnah al-Munawwarah) sarebbe quindi diventata in seguito all’ègira il punto di riferimento centrale del grande impero musulmano, trasformandosi nel polo presso cui condurre le molte ricchezze e risorse prelevate dalle province limitrofe e distanti. Fu così che nel 649, il terzo califfo Uthman decise di far demolire la moschea di Nabawi, per far sostituire i tronchi di palma con più durature e stabili colonne di marmo, usate per sostenere un soffitto in legno acquistato presso i mercanti del confinante territorio bizantino. Ed è in quest’ottica di continuo rinnovamento, nonostante il paventato progetto concepito nel 1905 dai seguaci della corrente Wahabita di Saud bin Abdul-Aziz, che credevano nella distruzione di tutte le tombe usate come luogo di venerazione, che dev’essere inserita la creazione dai moderni schermi dalla luce del sole di re Abdullah, un apparente punto di rottura con la tradizione che tuttavia assolve a un preciso scopo, e riesce a farlo attraverso una ricercatezza estetica assolutamente conforme alla sacralità del luogo sottostante.
Ciascun ombrello, assemblato almeno in parte presso la cittadina tedesca di Stuttgart, sede della compagnia specializzata in strutture leggere del progettista Rasch, si presenta quindi come un notevole concentrato d’ingegno e tecnologia: costruiti con una speciale componentistica in leghe di metallo capace di resistere alla forza del vento, e ricoperti mediante dei teli del polimero anti-raggi ultravioletti noto come PTFE (Polytetrafluoroethylene) essi presentano uno stile di apertura invertito paragonabile alla corona di un fiore, affinché in caso di pioggia l’acqua si raccolga presso il foro di scarico incorporati nello stelo centrale, al fine di essere instradata immediatamente verso gli impianti di drenaggio sottostanti. L’apertura e la chiusura quindi, effettuabile in un tempo di tre minuti appena, avviene in maniera del tutto silenziosa, attraverso un sistema di attuatori elettrici mantenuti sempre in condizione prontamente operativa, nel caso in cui si dovesse profilare una situazione meteorologica particolarmente avversa. Per quanto concerne la colorazione degli ombrelli, nel frattempo, è stata scelta una tonalità tendente al grigio piuttosto che l’ideale bianco, affinché il riverbero del sole non possa ferire accidentalmente gli occhi dei pellegrini che li osservano da lontano. Ogni ombrello è infine dotato di un potente impianto d’illuminazione, collocato al culmine della “palma” centrale, acceso nel momento in cui gli stessi vengono chiusi, subito dopo il tramonto dell’astro che rischia costantemente di surriscaldare la gremita piazza della Moschea.
Appariscenti ed estremamente insoliti, gli ombrelli hanno quindi costituito a partire dall’anno del loro completamento nel 2014 un significativo punto di riferimento internazionale per la città di Medina, e questo nonostante la visita della piazza di Haram sia idealmente concessa solo a chi si professi come un cultore della precisa disciplina religiosa istituita dal Profeta. La loro presenza, abbassando esponenzialmente la temperatura degli ambienti esterni, ha inoltre permesso di diminuire la potenza dell’aria condizionata all’interno della Moschea propriamente detta, ponendo le basi per un significativo risparmio di risorse anche a vantaggio dell’impatto ambientale della stessa. Dato l’effetto di sollievo arrecato nel clima caldo e arido di Medina, l’installazione ha quindi ricevuto nel 2014 il premio Abdul Latif Al Fawzan della Presidenza Generale agli Affari della Grande Moschea, riservato unicamente ai migliori contributi ingegneristici ed architettonici alla vasta religione dell’Islam. Con un successo di pubblico e immagine tale da aver giustificato, nell’ottobre del 2017, la pubblicazione di uno studio di fattibilità per la soluzione comparabile di un singolo ombrello gigante, che dovrebbe nei prossimi anni trovare posto nella piazza della Mecca. Un altro luogo presso cui gli malori ed insolazioni risultano essere, sopratutto in estate, tutt’altro che inusuali. E benché ulteriori informazioni risultino ancora difficili da reperire su tale nuovo parasole dei record, possiamo già ritenere altamente probabile che nel progetto venga coinvolta la stessa mente fervida, nonché provata competenza, dell’architetto tedesco Mahmoud Bodo Rasch.