Riecheggiante nelle foreste pluviali centroamericane di Honduras, Nicaragua e Panama, può talvolta essere udito un suono acuto e penetrante. Alcuni lo descrivono come un allarme automobilistico, per altri rappresenta un’espressione paragonabile alla tipica onomatopea dei fumetti “BONK!” mentre i naturalisti, con evidente intento poetico, hanno scelto di associarlo al distante rimbombo di una campana. E non è tanto una versione auditiva della scena culmine del Mago di Oz, tutto ciò (quello che vedi/senti rappresenta lo specchio della tua anima e i tuoi desideri) quanto una ragionevole interpretazione multipla di ciò che costituisce, a pieno merito, un suono complesso e stratificato, estremamente variabile in base all’umore ed il contesto. Non tanto quelli dell’ascoltatore, s’intende, quanto l’insieme dei fattori contingenti al Procnias tricarunculatus o uccello campanaro dalle tre caruncole, uno dei volatili migratori maggiormente riconoscibili tra quelli a rischio di estinzione a nord dell’Amazzonia. Ed ammesso e non concesso che vi riesca di associare una sagoma distante in controluce a questa sollecitazione sensoriale udibile a circa un miglio di distanza, soprattutto in considerazione dell’elevazione e la complessità del sistema vegetale dalla cui cima l’uccello s’industria per chiamare una possibile compagna tra i mesi di marzo e di luglio, potreste a questo punto anche porvi il comprensibile quesito: “Ma che cosa diamine sarebbe, esattamente, una caruncola?”
La risposta, come spesso avviene, è desumibile dalla prototipica immagine che vale oltre 10 centinaia di parole: sopratutto perché il numero tre, in biologia, è una presenza piuttosto atipica ed è dunque molto peculiare che un simile membro della famiglia dei Cotingidi misurante all’incirca 30 cm (membro dei passeriformi mesoamericani) possieda questa esatta quantità di lunghe escrescenze carnose, simili a bargigli o vermi, a crear contrasto con la sua livrea marrone e la testa ricoperta di piume bianche. Rappresentava a tal proposito un’idea molto diffusa, come evidenziato dalle prime illustrazioni dei naturalisti, il fatto che queste appendici pendule fossero in qualche maniera erettili all’occorrenza, formando un’appagante simmetria ai due lati della testa e sopra di essa come avviene nelle immagini di alcuni draghi serpeggianti tipici dell’Asia. Mentre la realtà dei fatti fotografici, in questo caso molto meno appariscenti dell’idea iniziale, dimostrò come tendessero a ricadere disordinatamente ai lati del suo becco, con una qualche funzione biologica assai probabilmente connessa, neanche a dirlo, alle esibizioni con finalità riproduttive condotte dal chiassoso campanario in amore. E che concerto può costituire, nell’intero estendersi del suo areale, il tipo di battaglia auditiva condotta da questa insistente specie…
Ciò che avviene dunque nel momento culmine della loro vita amorosa, pur non assumendo l’organizzazione formale di un vero e proprio lek, può essere descritto secondo le modalità di un significativo raduno che squilla, dialoga e grida tutto il suo entusiasmo per la vita e l’esponente del gentil sesso che dovesse transitar di lì, mentre gli uccelli estendono al massimo e fanno oscillare da una parte all’altro le loro caruncole pendenti. Finché inevitabilmente, due maschi finiscono per ritrovarsi sullo stesso ramo. Evento a seguito del quale, piuttosto che calare d’intensità, i rivali iniziano entrambi a gridare il più forte possibile, spalancando il becco come fosse la mascella snondata di un serpente. Raggiunta l’estremità dello spazio a disposizione, quindi, colui che è riuscito a far arretrare in modo maggiormente significativo l’avversario lancia un’ultimo squarcio sonoro, talvolta arrivando ad inserire il proprio becco dritto all’interno di quello altrui. Ragion per cui, all’intruso sconfitto, non resta altra possibilità che arrendersi e spostarsi altrove.
Un aspetto molto interessante dell’intera questione, ad ogni modo, è la maniera in cui la specifica espressione sonora di questa specie risulti essere estremamente variabile, come dicevamo, in base alla regione di esecuzione il clima, la temperatura e perché no, il caso. Questo perché secondo una serie di studi condotti all’esperto in materia Donald Kroodsma, statunitense ornitologo ed autore di saggi naturalistici ormai da più di 30 anni, il campanaro caruncolato sarebbe uno dei pochi uccelli che piuttosto che possedere un canto iscritto nel preciso codice del proprio DNA, presenterebbe la capacità di apprenderlo attraverso l’esperienza, imitando quello tramandato dai suoi genitori e gli altri esemplari adulti del territorio di appartenenza. Ragion per cui lui arriva a paragonarli, sotto questo specifico punto di vista, alle balene, le cui emissioni agli ultrasuoni presentano una deriva e slittamento linguistico attraverso le generazioni del tutto paragonabile a quello degli idiomi umani. E questo non è tutto: poiché il P. tricarunculatus, egli aggiunge, presenta addirittura una serie di tre distinti “dialetti”, capaci di connotare il verso dei membri della specie collocati ad altrettanti angoli del proprio areale di appartenenza. Tra i quali, molto prevedibilmente, si verificano occasionali contaminazioni, causa l’abitudine delle rispettive popolazioni della specie a migrare verso l’entroterra all’avvicinarsi della stagione degli amori, tendendo ad incontrarsi tutti quanti nella regione degli altopiani del Costa Rica.
Del tutto assenti, o più rare, sembrerebbero invece essere gli scambi di fonemi tra costoro e gli altri membri dello stesso genere Procnias, tutti e tre in qualche modo memorabili nel proprio aspetto: a partire dal P. Albus, del tutto candido fatta eccezione per la singola caruncola striata, passando per il P. nudicollis, la cui dotazione estetica include una chiazza priva di piume in corrispondenza della gola e per concludere in bellezza con il P. averano o campanario barbuto, la più fedele espressione volatile del più temuto pirata dei Sette Mari.
Dal punto di vista della conservazione, l’indice della lista rossa dello IUCN considera popolazioni stabili quelle dei Procnias bianco e dal collo scoperto, mentre entrambe le varietà dalla triplice o molteplice caruncola rientrano a pieno titolo, loro malgrado, tra l’elenco delle specie vulnerabili all’estinzione. Questo in funzione dei soliti fattori del mutamento climatico, lo sfruttamento dell’habitat e la caccia priva di criterio, anche perché per lungo tempo si era creduto, a causa dell’alta udibilità del loro verso e le distanti migrazioni, che gli uccelli campanari fossero tra i passeriformi più comuni del Centro America. Mentre la verità si è rivelata, attraverso le generazioni, di tipo totalmente opposto. Ciò potrebbe anche costituire un problema sistematico, data la natura frugivora di questi animali e la loro relazione quasi simbiotica con gli alberi della famiglia delle Lauraceae, produttori di piccoli avocado selvatici, per fagocitare i quali il tricarunculatus e i propri più prossimi parenti sono normalmente soliti ingoiare anche il grosso seme, successivamente rigurgitato ad arte presso zone assolate e ideali per permettere la propagazione della pianta. Ed è quindi assai probabile che con la riduzione della loro popolazione, presto o tardi, questi alberi possano rischiare di seguirli in direzione dell’oblio.
Tra le iniziative maggiormente significative in merito, va citata quella condotta dalla naturalista dell’Idaho Robin Bjork, che lavorando assieme all’organizzazione del Zoo Conservation Outreach Group (ZCOG) si è occupata tra il 2014 e il 2015 di un complesso studio di tracciatura mediante quattro segnalatori radio di altrettanti esemplari di campanari nel corso delle loro articolate migrazioni. Un’iniziativa simile a quelle che si erano concluse in più di un caso, precedentemente, con il ritrovamento di questi sofisticati dispositivi inchiodati al muro in legno di una fattoria, da parte di colui o colei che ne aveva catturato, cotto in pentola per cena, il pennuto quanto insostituibile portatore.
Certo! È chiaro che quando si tenta di passare inosservati, emettere l’equivalente aviario della tradizionale cannonata per segnare il mezzogiorno nelle basi militari, non rientri tra le migliori strategie di sopravvivenza. Ma come è reso evidente dall’intero schema delle cose naturali, per non parlare di alcuni proverbi internazionali, “…Chi non risica non rosica”. Ed esistono obiettivi che possiamo definire addirittura più importanti del trascorrere la propria vita in silenzio, sopra il ramo. Tutto ciò che occorre per capirlo è alzarsi per puntar le orecchie come fossero caruncole. Nella direzione da cui soffia il desiderio.