L’ingombro di un Hummer mentre si rifornisce l’elicottero in volo

Sospese nel cielo di Yuma sopra il campo aereo degli US Marines, le tre macchine da guerra mantenevano il delicato equilibrio di un’insolita geometria celeste: al vertice più avanzato del triangolo, un C-130 Hercules, la temibile “cannoniera volante” delle forze armate più multidisciplinari al mondo, in questo caso priva dei suoi armamenti sostituiti per l’occasione da serbatoi ausiliari, nel perseguire un tipo di missione maggiormente altruistico e collaborativo. A seguire nella sua possente scia, la forma riconoscibile del CH-53E Super Stallion, l’ormai attempato erede di una delle più lunghe e rinomate dinastie di elicotteri statunitensi, il cui antenato nacque con lo specifico obiettivo di sollevare letteralmente da terra i velivoli colpiti da fuoco terra-aria in Vietnam, per riportarli al sicuro entro i confini delle più inespugnabili basi al fronte. E al di sotto di esso, nel solo ed unico cateto perpendicolare al suolo, una forma oscillante squadrata e ponderosa, con quattro ruote al momento utili quanto le pinne di una trota sulla cima del K-2. Tanto che, se non fosse stato praticamente impossibile, qualcuno avrebbe potuto giurare che si trattasse di un Humvee, la versione militare di uno dei più ingombranti veicoli fuoristrada che siano mai stati immessi nel mercato della viabilità stradale. Impossibile perché, con un buon binocolo puntato verso una tale scena quel 19 settembre del 2018, un osservatore attento avrebbe immediatamente notato il lungo tubo che si estendeva dall’aereo verso la sua controparte rotante, esattamente del tipo impiegato per il rifornimento di carburante, al fine di risparmiare il tempo e le risorse logistiche necessarie a farlo atterrare in terra, possiamo soltanto presumerlo, straniera. Il che risulterebbe già abbastanza insolito visto e considerato come si tratti di un’impresa normalmente associata a dei jet che richiedono ben altre piste di atterraggio, anche senza il carico oscillante di oltre tre tonnellate appeso svariati metri sotto la sua vasta carlinga, ad oscillare nel vento e le turbolenze generate dalla complessità evidente di una simile operazione. Ma caso vuole che questo tipo di elicottero, e le abilità che si richiedono a chi ha scelto di onorarlo col suo doveroso servizio, richiede un particolare tipo di orgoglio e di abilità strettamente connesse al suo soprannome di “Fabbrica d’Uragani”, ragionevole metafora fatta derivare dai 4.380 cavalli generati dai suoi tre motori a turbina attraverso il più impressionante sistema di 7 pale principali e ulteriori quattro all’estremità della coda, individualmente capaci, quest’ultime, di generare il tipo di spinta normalmente associato all’interezza di un comune elicottero civile.
Per parafrasare dunque un modo di dire spesso ripetuto nelle forze armate, non c’è niente di semplice, delicato, ragionevole o dimesso nel Super Stallion, uno dei principali contributi della rinomata azienda Sikorsky, assieme al celebre UH-60 Black Hawk, nei confronti della dotazione veicolare dello Zio Sam. Una questione apparente fin dai primi, cronologicamente remoti, capitoli della sua lunga e complicata storia.

In questo video dell’inizio del 2018 il Super Stallion viene impiegato per sollevare un Black Hawk in avaria presso la base dell’isola giapponese di Okinawa. Caso vuole che questo elicottero sia in grado di sollevare il peso di qualsivoglia veicolo in dotazione ai Marines, fatta eccezione per lo stesso C-130 Hercules del rifornimento aereo, palesemente molto più grande di lui.

Il modo in cui l’appalto che portò alla creazione del primo elicottero della serie fu vinto dalla Sikorsy, stessa compagnia erede del russo-americano omonimo che aveva, tanti anni prima, dimostrato la fattibilità commerciale del concetto di aerodina rotante, servì ad allontanare l’idea popolare all’inizio degli anni ’60 secondo cui il “futuro” dovesse presentarsi con un aspetto strano ed insolito, in un netto quanto enfatico tentativo di distinguersi dalle passate generazioni. Così che quando, il 27 gennaio del 1961, il corpo dei Marines iniziò a lavorare con l’Esercito per il perfezionamento dell’avveniristico velivolo ad ali basculanti Vought-Hiller-Ryan XC-142A, nell’ottica di un nuovo progetto di trasporto VTOL da impiegare in situazioni complicate di recupero e assistenza bellica, il Bureau delle Armi Navali (BuWeps) stava già diramando ai suoi fornitori le specifiche che un tale apparecchio avrebbe dovuto possedere: una capacità di carico di 3.600 Kg, per un raggio operativo di 190 Km e una velocità massima di 280 Km/h. La Boeing rispose quindi con una nuova versione del suo iconico Chinook (l’elicottero a doppia a pala) mentre la britannica Kaman presentò un perfezionamento del bizzarro Fairey Rotodine, giroplano composito dalla lunga e travagliata storia progettuale. Ma nel 1962 sarebbe stata proprio la Sikorsky, con il suo semplice quanto efficace CH-53 Sea Stallion, a dimostrarsi capace di prevalere nell’ardua e combattuta tenzone. In tale apparecchio, destinato a diventare celebre nell’allestimento inviato alle truppe di stanza in Estremo Oriente dal soprannome di Super Jolly Green Giant”/MH-53 Pave Low, già figuravano in scala minore molte delle notevoli caratteristiche possedute dall’attuale
CH-53E Super Stallion, comunque notevolmente potenziato per quanto concerne gli impianti di bordo, le prestazioni e l’autonomia. Il quale, entrato in produzione finalmente nel 1978, l’avrebbe fatto sbaragliando un’altra proposta tecnica decisamente fuori dagli schemi: l’improbabile elicottero da sollevamento Boeing Vertol XCH-62, unico mezzo occidentale capace di competere con i mostruosi Mil Mi-26 e Mi-12 della Russia sovietica considerata la sua capacità di trasporto certificata attorno alle 22 tonnellate. Ma anche caratterizzato dal bisogno di campi di volo adeguatamente vasti e privi d’ingombro, laddove la proposta di Sikorsky, limitata soltanto a 16, vantava un’agilità e versatilità d’impiego decisamente maggiori. Chi ha avuto la fortuna di pilotare un simile bolide dei cieli, in una delle sue innumerevoli varianti create negli oltre vent’anni di onorato servizio, racconta in effetti della sua eccezionale agilità quando non è a pieno carico, paragonabile alla sensazione di trovarsi al volante di una potente auto sportiva, proprio in funzione della dotazione motoristica in grado di garantirgli una velocità di crociera di 278 Km/h e l’impressionante autonomia di 1.000 Km. Apparirà dunque chiaro come ci troviamo di fronte a una macchina da guerra dalle priorità assai diverse rispetto all’originario Sea Stallion, concepita per la durevolezza e la capacità di spingersi molto al di là della linea di demarcazione di un ipotetico conflitto, allo scopo di prestare soccorso o assistenza a chiunque ne presenti l’assoluta quanto imminente necessità. Celebre fu ad esempio la loro partecipazione, durante le ultime fasi del conflitto vietnamita, all’operazione Frequent Wind, per l’evacuazione del personale sensibile dalla città ormai assediata di Saigon, mentre in epoca più recente molti record di autonomia per il volo elicotteristico furono superati dalle sortite di questi apparecchi alle operazioni del conflitto iracheno del 2003. Risulta certamente chiaro come, a tal proposito, un vantaggio significativo sia stato offerto dal fatto di essere uno dei pochi elicotteri al mondo attrezzati per il rifornimento in volo, un’operazione che risulta essere, anche nella migliore delle ipotesi, estremamente complessa per entrambi i piloti direttamente appesantiti da una simile responsabilità.

Un CH-53 Sea Stallion, in circostanze ed un’epoca imprecisate, dimostra cosa può succedere quando una folata di vento o momentanea distrazione disturba la delicata formazione con l’aerocisterna posta di fronte a lui: rottura immediata della sonda d’ingresso, finita contro il rotore principale. E per fortuna non c’era nessun pendolo automobilistico a peggiorare ulteriormente la situazione.

Come potrete tuttavia immaginare per un mezzo risalente a tante generazioni fa, l’accumulo di problemi con l’intera serie dei CH-53E e loro derivati si sta ormai facendo parecchio significativo. Al punto che, per quanto riguarda i 150 esemplari attualmente in servizio con il corpo dei Marines, è stato calcolato un costo di volo per ora trascorsa di circa 20.000 dollari e 44 ore di manutenzione, dovuto principalmente all’usura della componentistica di bordo e l’ormai estrema difficoltà nel procurarsi ricambi, che devono spesso essere costruiti su misura. Ecco dunque la ragione per cui, a partire dal 2014, la Sikorsky sta lavorando su commissione di questo corpo delle forze armate nella costituzione della nuova versione CH-53K King Stallion, un elicottero molto più potente, sofisticato e ancor più facile da pilotare grazie a un rivoluzionario sistema di fly-by-wire. Come spesso capita nella storia della tecnologia dirompente, tuttavia, tra il dire e il fare si è profilata una muraglia pressoché invalicabile per varie problematiche di tipo tecnologico, portando a una serie di costosi e reiterati ritardi, l’ultimo dei quali corrispondente essenzialmente all’inizio del 2019. Entro il quale, ancora una volta, era stata promessa l’irrealizzabile consegna di un’apparecchio pronto al servizio operativo.
Nel frattempo, dunque, la storia del Fabbricante di Uragani continua ad estendersi e arricchirsi di nuovi appassionanti capitoli. Perché c’è sempre un elicottero precipitato o un fuoristrada che necessita di essere sollevato di peso nel vasto e imprevedibile mondo delle esercitazioni militari. E chi ben conosce il valore del tempo, sa bene l’importanza del multi-tasking mentre ci si applica nel fare benzina, magari mentre usa la mano sinistra per rispondere a un SMS o leggere le ultime notizie premendo a caso sullo smartphone. Dopo tutto credete davvero che, per un pilota lungamente addestrato, risulti maggiormente complesso mantenere il bestione il volo?

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