La storia dei fari inizia generalmente con un celebre naufragio e quello di Point Reyes, nel punto più ventoso della California, non fa certo eccezione a questa regola. La sua storia remota può in effetti essere ricondotta, attraverso gli alterni percorsi dei secoli, alla sfortunata vicenda di Sebastian Cermeño, capitano del galeone spagnolo San Agustin di ritorno da Manila nelle Filippine, con un carico di porcellana, seta e altri oggetti tipici del remoto Oriente. Il quale all’avvicinarsi di una minacciosa tempesta in prossimità della costa statunitense del Pacifico, nei primi giorni del 1595 ebbe l’ottima idea di cercare riparo lungo le coste di quella che, ne era del tutto certo, doveva essere un’isola a largo del continente. Peccato si trattasse, nei fatti, di una baia ancora non tracciata sulle mappe, parte inscindibile di quello che lui stesso avrebbe denominato, in seguito, Point Reyes, o Capo dei Re (Magi) in onore dell’Epifania. Così che l’orgogliosa prua del vascello, incontrando una sabbiosa spiaggia, finì per spezzarsi e restare arenata, senza lasciare alcun’altra possibilità all’equipaggio che costruire una zattera, per intraprendere un avventuroso viaggio fino al Messico settentrionale, durante il quale avrebbero tracciato la più precisa mappa della regione disponibile fino a quel momento. La storia di questo luogo non troppo distante dall’odierna San Francisco, quindi, avrebbe attraversato una serie di fasi a partire da quando, prima ancora della venuta di Cristoforo Colombo, qui abitavano in pace le tribù dei Miwok, fino all’arrivo del loro “scopritore” soltanto 16 anni prima del succitato evento: niente meno che il celebre Sir Francis Drake. Seguì, naturalmente, un lungo tentativo d’evangelizzazione con la costruzione di presidi e missioni, destinato ad estendersi fino al conflitto tra Messico e Stati Uniti del 1846. Fu certamente un paradosso tuttavia il fatto che, dopo l’espansione territoriale verso meridione dei vincitori confederati, queste terre dovessero andare in concessione a un caporale dell’esercito messicano, quel Rafael Garcia che le avrebbe trasformate, senza perdere neanche un minuto, in uno dei ranch più vasti dell’intera regione. Mentre tutto attorno iniziavano però a sorgere i piccoli centri abitati che esistono ancora oggi, trasformando la rotta del vecchio galeone spagnolo in un’importante arteria commerciale americana, un “piccolo” problema tornò a presentarsi: il numero in costante aumento di disastrosi naufragi.
Nel 1855 quindi la commissione rilevante degli Stati Uniti decretò che qui fosse installato un qualche tipo di segnale per i naviganti, possibilmente costruito sulla sommità della scogliera più alta del Capo. Peccato che gli eredi indiretti del primo ranchero, i famosi fratelli Shafter che nel frattempo lo avevano rilevato a caro prezzo, costituendo un vero e proprio impero per la produzione della carne bovina e del burro, fossero fermamente intenzionati a trasformare la particolare contingenza in un’ulteriore opportunità di guadagno, vendendo allo stato il terreno da occupare ad un prezzo “ragionevole ed equo”. Tanto che le trattative, e relative lungaggini amministrative, riuscirono ad estendersi fino al 1869, lungo un periodo durante il quale naufragarono secondo le cronache ben 14 navi. Finché la commissione fari americana, stanca di discutere per un tratto di costa che assai evidentemente, rimaneva del tutto inutilizzato e non poteva servire letteralmente ad alcun altro scopo, chiese ed ottenne un’ingiunzione legale di sequestro. A seguito della quale, piuttosto che affrontare le lungaggini di un processo legale, gli Shafter accettarono di venderlo per la cifra di relativamente equa di 6.000 dollari.
Ma alquanto paradossalmente, in quel preciso momento storico, ci si rese conto di un fatto imbarazzante. Nessuno disponeva, persino allora, del progetto di un faro realizzato ad-hoc: si scelse quindi di usare lo stesso di Capo Mendocino, 277 miglia più a nord sulla costa californiana.
L’estate del 1870, all’inizio di questa nuova epoca per la navigazione californiana, venne dunque posizionata sulla scogliera più a strapiombo disponibile nei nuovi terreni di stato una possente sirena a vapore, alimentata con un lungo tubo di ferro che discendeva diagonalmente per l’equivalente di un palazzo di 30 piani, fino al punto più estremo del promontorio. Proprio lì venne trasportata con considerevole sforzo, inoltre, una torre di metallo alta esattamente 11 metri, accuratamente imbullonata alla roccia viva della scogliera, inclusiva nella sua parte inferiore della piccola abitazione che sarebbe diventata la residenza del guardiano del faro. Sulla sommità, invece, venne istallata una potente lente di tipo Fresnel del produttore francese Barbier & Fenestre, capace di proiettare la luce della lampada a un’altezza focale di 90 metri sul livello del mare. Non altrettanto valido, invece, si rivelò essere il segnale auditivo, necessitando di ulteriori due potenziamenti nel 1890 e infine nel 1915, quando trovò la valida soluzione di un diafono ad aria, udibile alla distanza considerevole di 7 miglia a partire dalla sua fonte sopraelevata. E ogni volta, al concludersi del miglioramento, il vecchio dispositivo veniva smontato e gettato in mare: semplicemente troppo costoso sarebbe stato,a conti fatti, agire diversamente.
La carica di guardiano di questo luogo isolato e difficile da raggiungere, al termine di un pericoloso sentiero battuto dai venti del Pacifico in bilico su una scogliera, non era certo considerato invidiabile e tale rimase anche a seguito del 1938, quando l’elettricità fu portata fino alle residenze ed il lungo sentiero di circa 300 scalini venne intagliato a partire dalla sommità della scogliera, completo di corrimano per non rischiare di essere scaraventati nel ruggente abisso sottostante. Della malinconia e del senso nostalgico ispirato da un tale luogo parlarono almeno due componimenti in versi. Il primo del guardiano Edwin G. Chamberlain, che all’inizio del secolo scrisse:
Solitudine, dov’è il fascino
che i Saggi videro nel tuo volto?
Meglio dormire tra il chiasso degli allarmi
che regnare in questo orribile luogo
Quindi città, amicizie, ed amore
doni di Dio agli uomini
se soltanto avessi le ali di una colomba
come vorrei assaggiarvi ancora.
Mentre un’interpretazione persino più pessimistica sarebbe giunta dalla penna del rinomato poeta e musicista newyorchese Weldon Kees, che prima di sparire senza lasciare traccia nel 1955 ebbe modo di conoscere personalmente il faro, girandovi un documentario per poi comporvi “La scogliera esposta” il sonetto sulla vicenda di un marinaio naufragato a Point Reyes, terminante con la doppia terzina:
“Sotto questo piedistallo di ferro forgiato
mentre la fredda luce bianca continua a bruciare”
sento la barca che infrangersi sulle rocce. I gabbiani
Gridano attraverso l’oscurità e lo spruzzo accecante.
Come ausili alla navigazione preserviamo noi stessi. Dopo la tempesta,
la lunga linea dell’acqua, che si agita verso Maratona.
L’opera creativa più valida a far conoscere su scala internazionale questa torre del faro esposta nel Novecento può essere certamente individuata nel film del genere horror sovrannaturale del 1980 di John Carpenter, The Fog (la nebbia) in cui proprio la nostra torre veniva impiegata dalla protagonista della vicenda come insolita piattaforma di trasmissione per una radio locale. Prima che la città immaginaria di Antonio Bay (assai probabilmente ispirata alla reale Inverness) venisse attaccata dai redivivi di un antico naufragio dovuto a un tradimento, della nave caritatevole destinata a portare in salvo una colonia di lebbrosi. Taluni fenomeni atmosferici, del resto, hanno sempre suscitato negli uomini un senso d’inquietudine esistenziale, accompagnato dalla paura per ciò che non può essere decifrato attraverso l’impiego di metodi convenzionali.
Oggi singola più importante attrazione turistica dell’intero parco nazionale di Point Reyes, il faro omonimo può costituire un’interessante finestra sulle alterne vicende di questo particolare segmento di costa americana, antico portale del Messico sottostante. A patto di giungervi con la giusta preparazione fisica (è una LUNGA scala) il tempo atmosferico a favore, e possibilmente, non durante un prolungato shutdown federale come quello in corso da svariate settimane nel momento in cui scrivo, per l’iniziativa certamente più problematica, e forse non altrettanto condivisibile, di un diverso tipo di opera pubblica presidenziale.