Esiste una leggenda tra le microscopiche creature della foresta, a proposito di un uomo vestito di rosso e con la lunga barba che intona con voce discendente “Ho, ho, ho.” Individuo il quale, grazie al suo imperscrutabile raggio per il controllo della mente umana, costringe i boscaioli a prelevare un grande numero di giovani abeti, con pochi attenti colpi d’ascia, e metterli sui mezzi di trasporto per fargli iniziare un lungo viaggio fino a “casa”. Il che la maggior parte delle volte, non costituisce affatto un bene per gli alberi in questione… Ma può esserlo per chi c’è sopra… Nei mesi più gelidi dell’inverno… Quando chi è del tutto privo di un cuore (non gli serve) di un cervello (qué es?) o del coraggio di svegliarti da un lungo letargo, d’improvviso si ritrova nel bel mezzo di un’impossibile primavera! E al fuoco scoppiettante del camino, sotto la luce artificiale delle lampade, inizia nuovamente a deambulare.
Elfi, piccoli elfi. Piccoli giocattoli. Insignificanti minuscoli dolcetti, lasciati sotto l’aghifoglie arbusto, confidando che il panciuto “tu sai chi” possa giungere per prelevarli, dopo la consegna dei regali provenienti dai laboratori del distante Polo Nord. Ma se soltanto si dovesse scegliere di prendere in analisi una scala ancor più dettagliata della scena, per quello che si trova, letteralmente, al di sotto del millimetro osservabile a occhio nudo, avremmo modo di conoscere la dura ed innegabile realtà: c’è vita, sulla ruvida corteccia. Molta vita sopra i rami. E ancor più vita, nel sottile strato di torba usato per salvare le apparenze in merito all’orpello vegetale ornato e al tempo stesso, condannato. Migliaia, ma che dico, decine di milioni di creature nate ben lontano da questo contesto domestico, che s’inseguono, si mangiano a vicenda, fanno figli e si moltiplicano, regalando al mondo l’infinita reiterazione di loro stessi. A cominciare, come dimostrato in questo video realizzato dallo YouTuber armato di alti ingrandimenti “My Microscopic World” da quel mostro che conosci, per le troppe volte in cui ti ha fatto starnutire (o persino far venire l’asma, sua lodevole prerogativa): acaro/acarina, l’aracnide chelicerato che non è mai cresciuto quanto un ragno, perché preferisce trarre nutrimento dagli onnipresenti rimasugli della vita macroscopica animale, come scaglie di pelle, peli e altri biologici rottami. Per non parlare di quell’altra “sua” passione, la sostanza vegetale che si abbarbica agli abeti di Natale. Come si usa dire in determinati ambienti, d’altra parte: muschio e licheni, ristorante per alieni.
Ma lo spietato truther dicembrino (colui che rifiuta il benevolo messaggio stagionale) a questo punto sceglie di allargare il campo inquadrato dalle lenti del suo stumento, a quelli che potremmo definire esseri decisamente più familiari ai nostri occhi, che si annidano tra i rami prima di discenderne, per visitare la camera da letto e la cucina. Essi appartengono, essenzialmente, a tre classi: aracnidi di scala superiore, entognati e qualche volta, anche gli insetti….
Per quanto riguarda i primi ed i secondi, possiamo serenamente affermare che lo spirito festivo non abbia influenzato in alcun modo il reciproco rapporto di sopravvivenza, fondato sulla necessità costante di cercare possibili fonti di nutrimento. Il che significa, per l’amichevole e prolifico otto-zampe del vicinato (Parasteatoda tepidariorum? Pholcus phalangioides? Chi può dirlo! Potrebbe persino trattarsi di una specie RARA) impostare la sua tela e mettersi in paziente attesa, del passaggio di un malcapitato rappresentante di quelli che vengono chiamati in lingua inglese springtails, mentre dalle nostre parti ancor si usa la definizione scientifica di “collemboli”. Ora io non saprei dire, nello specifico, per quale strana contingenza l’escursione natalizia di “My Microscopic World” l’abbia portato a contatto diretto con una vera e propria colonia di queste brulicanti creature non più lunghe di 5 mm, dotati di sei zampe ed un tenacolo (arto posteriore simile a una pinza) capace di scattare come una molla, permettendogli di saltare per l’equivalente di fino a quattro volte la lunghezza del loro flessibile corpo. Simili creature raramente discusse, benché variabilmente onnipresenti, compaiono tuttavia più volte nel suo breve segmento, impegnate nei passatempi più diversi. Incluso quello di difendere la loro posizione nella catena alimentare, catturando per se un esemplare o due di rotifero, il verme strisciante di varie grandezze capace di riprodursi per partenogenesi, dotato di un organo in corrispondenza bocca che si muove in alternanza, ricordando in apparenza il movimento di una coppia di ruote di un mulino semovente. Ma mentre ci spostiamo innanzi per un’ordine logico discendente nelle dimensioni osservabili nello stagionale contesto (che non è quello cronologico del video) perché non menzionare, a questo punto, un altro dei suoi più riconoscibili personaggi? Ecco il tardigrado, anche detto orsetto d’acqua, l’adorabile microbo da 0,5/1 mm al massimo la cui forma e le zampette tozze dovrebbero ricordare, idealmente, il tipico plantigrado proverbialmente affamato di miele, purché si sia coperto il muso con un’inquietante maschera anti-gas. Creatura notoriamente estremofila, ovvero capace di sopravvivere a temperature impressionati, il gelo più assoluto e addirittura il vuoto cosmico, essendo secondo talune ipotesi giunta su quest’azzurra Terra a bordo di asteroidi o comete provenienti chissà da dove. E figuratevi quanto sia una comoda e piacevole scoperta, per lui, svegliarsi trasportato tra le tiepide mura di un’abitazione umana!
D’altra parte ha un ruolo decisamente più conforme all’orgoglio patrio planetario, il verme tubolare che compare nella scena immediatamente successiva, il cui nome, nematode, suggerisce alla memoria un’immagine scientificamente ipotetica, molto adatta al nostro argomento in oggetto di discussione…
Ad evocarla fu nello specifico Nathan Cobb, nematologo vissuto tra il 1859 e il 1932, considerato il padre di questa scienza nell’ambiente accademico degli Stati Uniti. Il quale disse: “In poche parole, se dovessimo rimuovere tutta la materia dell’universo tranne i nematodi, il nostro mondo si presenterebbe in maniera ancora perfettamente riconoscibile ai nostri occhi. Tutte le sue montagne, valli, fiumi e laghi apparirebbero infatti rappresentate da un sottile strato di questi vermi…” E non è infatti questo, il cruccio e il nesso dell’intera questione? Portare un albero di Natale in casa, significa non soltanto trasformare in nostri coinquilini gli innumerevoli piccoli organismi che ci abitano sopra, ma aumentare in senso verticale la superficie abitabile a disposizione. Il che, per esseri presenti pressoché ovunque con una densità di fino a un milione di individui per metro quadro, capaci di rappresentare letteralmente l’80% numerico di tutti gli animali sulla Terra, non può che essere un’occasione di trarre qualche boccata d’aria.
Dopo una rapida carrellata di vari protisti non meglio identificati o identificabili, tra cui uno che gira vorticosamente alla ricerca delle sinapsi mai possedute, “My Microscopic World” conclude il catalogo con una nota vagamente malinconica: purtroppo, la maggior parte degli insetti volanti (tra cui le mosche) sono migrati altrove durante lo spostamento dell’albero. Ma niente paura… Incuneate tra gli strati esterni della corteccia, potrebbero ancora essere presenti le loro uova. Le quali, indotte dal tiepido tepore domestico, saranno pronte a schiudersi schiudersi esattamente a mezzanotte del giorno fatidico tanto atteso. Affiancando le sorprese dei pacchi più variopinti, alla consapevolezza ancor più piacevole di una biologica scoperta: un qualcosa di piccolo si aggira tra le insensibili mura. Ronzando, gioiosamente, tutto il suo entusiasmo per la nuova esistenza agiata. Evviva! Natale vuol dire accoglienza! Amore per tutti gli esseri, persino i più rumorosi.