L’inquietante albero che sanguina come una persona

Difficile immaginare un’esperienza peggiore di trovarsi a fare una serena passeggiata nell’oscura selva degli Inferi quando la propria guida tramite intercessione Divina, in realtà un ex-poeta romano di una certa fama, vi dice con tono enfatico: “Perché non provi adesso a spezzare il rametto di questo arbusto contorto e straziato dalle arpie?” Il che dovrebbe, ragionevolmente parlando, suscitare in voi un certo senso di sospetto. Considerato il contesto, l’indole goliardica del soggetto e così via dicendo. Ma per amor di questa Commedia, diciamo che accettate di farlo; grosso errore! Perché allora sentirete un grido riecheggiare nella penombra chtonia; mentre linfa vitale vermiglia inizierà a colare dal moncone legnoso; e l’anima tormentata di quel defunto, trasformato in un vegetale per punizione del suo stesso suicidio vi chiederà con voce tremante: “Per quale ragione mi fai questo? Pier della Vigna non ha forse già sofferto… Abbastanza?”
Per lo meno, in quel particolare contesto storico/letterario. Poiché vi sono cose che la tecnologia migliora. Ed altre invece che ne vengono, per così dire, enfatizzate. Ovvero portate agli estremi: vedi l’esempio della classica sega elettrica a nastro. Usando la quale un ignoto boscaiolo deve pur aver fatto nel corso degli anni la sua shockante conoscenza del genus Corymbia, un tipo di albero della gomma di tipologia kino, strettamente imparentato con gli eucalipti, che possiede una caratteristica molto particolare. Quella linfa simile al sangue in grado di scaturire dalle sue ferite, ricoprendole e coagulandosi per protezione esattamente come succede agli esseri del regno animale. In merito a cui verrebbe da chiedere nell’impressionante frangente, rivolgendosi a Madre Natura stessa: “C’era davvero bisogno di farla… Rossa?”
Mani insanguinate. Scarpe insanguinate. Il volto contorto dal senso di colpa e lo stesso strumento a motore di taglio, macchiato senza apparente speranza di ritornare quello che era. Con quell’albero dannato che, alquanto incredibilmente, sembra emanare il torturato flusso a getti successivi, quasi fossero causati dal battito di un cuore nascosto. Vedere per credere, uno dei tanti video reperibili online. Ora io non saprei quale sia l’origine precisa di un tale fenomeno (benché si possa ipotizzare essere connesso alla viscosità della resina e l’accumulo di pressione in prossimità della corteccia esterna) ma non mi sorprenderebbe affatto se, nella storia pregressa della foresteria australiana siano effettivamente esistiti dei letterali obiettori di coscienza, disposti a fare il proprio lavoro in qualsiasi occasione, tranne quando relativo a un albero di questa disperata genìa. La storia c’insegna, del resto, come arbusti dalle caratteristiche molto simili furono sempre associati a un concetto mitologico di estrema rilevanza: quello del sangue dei draghi, di cui si riteneva che fossero la forma ormai defunta e incapace di nuocere, benché ancora dotata di un certo raziocinio inerente. Da lì all’esperienza di Dante, e prima di lui lo stesso pio Enea nell’opera più famosa del suo anfitrione Virgilio, ai danni del trasfigurato principe Polidoro di Troia, il passo è (relativamente) breve…

Terribili appaiono questi esempi fotografici del taglio parziale di arbusti della specie Pterocarpus angolensis, l’altro albero dalla linfa sanguigna normalmente mostrato su Internet, capaci di riportare alla mente vere e proprie scene di macelleria animale.

Il concetto di resina del sangue di drago è particolarmente remoto e viene fatto risalire, convenzionalmente, fino al settimo secolo a.C, quando l’intraprendenza dei mercanti del Mondo Antico segnò per la prima sulle rudimentali mappe il tragitto destinato a diventare famoso come Via dell’Incenso. Un percorso d’interscambio utilizzato per portare in Europa la ricca collezione di spezie, essenze, stoffe e pietre preziose originarie dei paesi del misterioso Oriente, e in modo particolare dall’area geografica dei diversi regni confinanti col subcontintente indiano. Tra cui figurava, quasi a margine della questione, un’isola del Mar Arabico nota come Socotra, la cui flora e fauna erano a un tal punto diverse da quelle del resto del mondo, da farla quasi sembrare l’avamposto di un altro pianeta del Sistema Solare (vedi precedente articolo). Piante come la Dracaena cinnabari, il cui nome stesso costituisce un chiaro riferimento alla capacità di sostituire, con la propria linfa, il minerale tossico del cinabro, usato all’epoca per fabbricare tinture tessili e altre tipologie di vernici. Ma questa non era certo l’unica pianta dal “sangue di drago” nota agli antichi, facendo semplicemente parte di un catalogo in cui figuravano anche membri dei generi Croton, Daemonorops, Calamus e in modo particolare la pianta leguminosa Pterocarpus, il cui areale relativamente raggiungibile nella parte centro-meridionale d’Africa l’aveva reso, nei secoli, un letterale sinonimo di tale industria, per non parlare del pregio rinomato del legname di appartenenza, profumato quando arso e capace di resistere ai parassiti per lungo tempo quando usato per finalità architettoniche o di carpenteria.
Mentre i nativi di tali luoghi l’avevano sempre tenuto in alta considerazione per la rilevanza folkloristica del suo “miracolo” e il fatto stesso che la rossa sostanza emessa dall’albero a loro noto come Mokwa o Mukondo, forse per analogia magica con il sangue umano, potesse effettivamente disinfettare le ferite, accelerare la coagulazione e contrastare vari tipi d’infiammazione. Una caratteristica di pregio d’altra parte condivisa con la resina gommosa del suo lontanissimo parente d’Oceania, che gli aborigeni erano soliti chiamare Merne arrkirlpangkwerle, usandolo per la medicina tradizionale del Bush. Ed anche come fonte di cibo piuttosto atipica, grazie alle qualità nutritive dei suoi stranissimi “frutti”…

Il famoso documentarista Ray Mears assaggia il gusto leggendario del “cocco” o “mela” del Bush. Un’insolita unione delle capacità faconde del regno animale e vegetale, di cui esistono ben pochi altri esempi nello scenario gastronomico globale.

Un cocco del Bush, tipicamente colto dai rami più alti degli alberi delle specie Corymbia opaca e Corymbia terminalis, non è in realtà il prodotto spontaneo della pianta, bensì un’anomalia indotta da specifici insetti parrassiti non classificati appartenenti alla superfamiglia Coccoidea, comunemente detti cocciniglie, capaci di modificare geneticamente il legno in cui costruiscono la propria tana mediante l’induzione di una galla. In buona sostanza, un globo protettivo della dimensione approssimativa di una palla da tennis, dentro cui trascorrere a propria intera esistenza succhiando la linfa rossastra della pianta, accoppiandosi e deponendo le proprie uova attraverso le successive generazioni. Per tornare ora alla storia ipotetica del nostro boscaiolo australiano con sega elettrica insanguinata, possiamo per lo meno ipotizzare che costui fosse a conoscenza della saggezza indigena del proprio teatro operativo professionale, secondo cui tale galla risulterebbe piena di sostanze nutritive dal gusto dolciastro con tanto di letterale “ciliegina finale” proteica, offerta dal verme stesso.
Uno strano modo per raccogliere le forze, prima d’iniziare a risolvere il problema dell’assassino Jason della serie di film Venerdì 13: “Per togliere il sangue, meglio il lavaggio a caldo o a freddo?” O forse sarebbe meglio non sporcarsi proprio…. Lasciando alberi e insetti alle loro faccende, eternamente liberi di vegetare.

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