Mentre ci si avvia verso la parte meridionale del caratteristico paese di Llangollen nel Denbighshire, nella parte nord-orientale del Galles, le rustiche casette lasciano gradualmente il posto a un’ombrosa foresta di frassini verdeggianti. Il che non significa che la mano dell’uomo cessi di avere un ruolo preciso nel paesaggio, con la sottile striscia d’acqua, racchiusa tra storiche pareti di metallo, che scorrendo con estrema sicurezza verso il centro prospettico della scena sembra procedere verso la gloria stessa dell’infinito. Quindi colui che dovesse percorrerla con gli occhi, oppure con il corpo, a un certo punto noterà qualcosa d’inaspettato: le chiome dei suddetti alberi che iniziano a farsi più basse, finché ad un certo punto si trovano al di sotto dei propri stessi piedi. Per poi scomparire, d’un tratto, lasciando lo spazio a un grande vuoto. Sottolineato dal suono distante di un vero e proprio fiume perpendicolare, che scorre a una distanza notevole sotto quello che si rivela essere, a tutti gli effetti, un acquedotto costruito secondo la scuola tecnica degli antichi Romani. Se non fosse per una singolare differenza: qui ci passano le barche. E che scena surreale, che riescono a costituire!
Tra tutte le propensioni della storia dell’ingegneria britannica, la più raramente menzionata è probabilmente quella della costruzione di canali. Un sistema efficace per spostare cose o persone, come ampiamente dimostrato in epoca rinascimentale dai vicini geografici e culturali dei Paesi Bassi, dove tuttavia, assieme ai mulini, questo tipo d’infrastrutture sono diventata una ragione d’orgoglio nazionale. Laddove comparativamente, nell’intero resto d’Europa, ben pochi hanno avuto modo di conoscere la fitta e complessa ragnatela di corsi d’acqua artificiali che furono scavati, particolarmente nel ventennio tra il 1790 e il 1810 tra la parte occidentale d’Inghilterra e il Galles meridionale. Ed ancor meno, in effetti, sono mai saliti sulla tipica narrowboat inglese, che non è una reinterpretazione del drakkar vichingo come potrebbe dare ad intendere il nome, bensì la perfetta interpretazione pratica del modo in cui una barca possa avere una larghezza massima di 2,13 metri per 17,37 di lunghezza, secondo quanto imposto da precisi standard governativi. Capite quindi, essenzialmente, ciò di cui stiamo parlando? I canali inglesi affiancarono la ferrovia, nel consentire la propagazione di merci e materie prime in un momento cruciale per la storia di questo paese e il mondo intero, comunemente definito come la (prima) Rivoluzione Industriale. Non pensate tuttavia per questo che un simile approccio funzionale al movimento prevedesse fin da subito sistemi da propulsione ultramoderni: poiché un’intera caldaia a vapore, e il relativo combustibile, sarebbero stati piuttosto difficili da stipare a poppa di queste capsule idrodinamiche, per non parlare del problema sempre presente dei costi operativi. Così che, fino alla metà del XIX secolo almeno, il “motore” preferito delle narrowboat sarebbe stato un tiro di cavalli o muli, per i quali la convenzione prevedeva che venisse riservato uno spazio a lato dell’argine destro di ciascun passaggio idrico, da dove avrebbero potuto compiere questa mansione di primaria importanza.
E in effetti tale passerella figura chiaramente, sullo spazio ristretto del ponte idrico di Pontcysyllte, il cui nome è stato ritenuto per lungo tempo una storpiatura della parola gaelica cysylltiadau (unire, collegare) laddove rappresentava in effetti una mera contrazione dell’espressione ponte di Cysyllte, nome di un sobborgo periferico facente parte del distretto di Llangollen. A lato della quale, nella loro encomiabile magnanimità, gli ingegneri furono abbastanza magnanimi da prevedere, nel 1795 in cui furono iniziati i lunghi e complessi lavori di costruzione, una ringhiera finalizzata a bloccare gli eventuali equini imbizzarriti. Mentre dal lato delle barche mancò del tutto una simile sensibilità, arrivando casualmente a costituire un’anticipazione dello stesso concetto contemporaneo di infinity pool: con l’acqua che sembra sconfinare nel nulla, mentre ai bagnanti (o in questo caso, naviganti) viene concessa l’illusione di trovarsi a galleggiare beatamente nel bel mezzo dell’azzurro cielo. Vertigini permettendo…
La costruzione dell’acquedotto/ponte di Pontcysyllte va contestualizzata nella vasta serie di opere pubbliche, sanzionate in larga parte dal governo britannico ma non solo, che avrebbero preso il nome di canale di Ellesmere, una vera e propria autostrada per narrowboat, che avrebbe avuto il compito primario di collegare il porto di Liverpool ai ricchi centri d’estrazione mineraria situati nei dintorni dei fiumi Mersey e Severn, fino a raggiungere, idealmente, i centri manufatturieri nell’entroterra delle West Midlands, oltre i confini gallesi e nell’Inghilterra antistante, favorendo una crescita economica degli stessi e un miglioramento dei commerci internazionali. Si trattava di un progetto lungamente ipotizzato, a partire dal 1791, destinato a raggiungere il suo culmine proprio con la soluzione di un problema che sarebbe stato, incidentalmente, anche l’ultimo capitolo di una storia destinata a restare incompleta. Una volta raggiunta infatti la cittadina di Llangollen, apparve evidente che la specifica conformazione del paesaggio, e in particolare gli alti argini del ruggente fiume Dee, avrebbero impedito all’acqua dei canali di continuare a scorrere indisturbata, permettendo ai futuri treni galleggianti di raggiungere la loro ultima destinazione. A meno che, e sia chiaro che si trattava di un “almeno che” dal peso molto significativo, non si riuscisse a costruire il più ingegneristicamente complesso tra tutti i ponti idrici della storia, capace di sostenere il peso e l’utilizzo continuativo di una buona parte dei traghettatori di merci delle isole inglesi. Per una simile missione, quindi, venne immediatamente chiamato il veterano del settore William Jessop, già direttore della prima parte dei lavori per il Gran Canale d’Irlanda iniziati nel 1753, e destinati a concludersi per vari problemi organizzativi soltanto nel 1805, in contemporanea con l’ancor più impegnativo ponte idrico gallese. Forse anche grazie a chi egli avrebbe scelto, per una fortunata sinergia, come “assistente” (nonché direttore sul campo) per lo svolgimento di una tale mansione: quel Thomas Telford destinato a diventare, proprio negli anni successivi a questa importante esperienza, uno dei maggiori simboli della spinta di modernizzazione inglese, contribuendo a innumerevoli miglioramenti infrastrutturali di un paese che stava costruendo, un pilone alla volta, il suo ruolo sempre più preponderante nel campo dell’economia dei commerci della sua era. Per quanto concerne dunque l’acquedotto di Pontcysyllte, quindi, proprio a lui viene attribuita l’idea innovativa di assemblarlo a partire da una serie di troughs, ovvero approssimazioni tecniche del tipico recipiente metallico lungo e stretto usato per far bere gli animali da fattoria, saldati tra loro e sostenute da una struttura di grossi mattoni in pietra, tenuti assieme da una calce mescolata ad acqua e sangue di bue. I piloni dell’altezza di fino a 38 metri, ben 18 di numero, appaiono quindi collegati da una serie di archi metallici, nei fatti la parte inferiore dei troughs, con la forma di archi aggraziati, la cui funzione è in realtà soltanto estetica non presentando alcun vantaggio di tipo strutturale. Questo perché, nei fatti, un così insolito “ponte” presenta almeno un significativo vantaggio rispetto all’alternativa tradizionale: l’assoluta uniformità dei carichi strutturali ridistribuiti, secondo le norme del principio di Archimede, al passaggio di ciascuna barca, grazie al dislocamento contro l’intera lunghezza degli argini di una corrispondente quantità d’acqua.
A causa di un’incombente mancanza di fondi, ma anche per la sempre maggiore rilevanza acquisita dai nascenti veicoli stradali a motore, il grande progetto del canale di Ellesmere venne abbandonato, in una data che viene convenzionalmente fatta corrispondere allo stesso anno di completamento dell’acquedotto, nel 1805. Più volte passato di mano tra diverse compagnie, con partecipazioni pubbliche sempre meno rilevanti, la sofisticata via di collegamento venne mantenuta in funzione, a causa del suo ruolo primario nel fornire acqua ad altri tratti della rete idrica artificiale del sud del Galles. Senza la verifica e l’utilizzo quotidiano da parte dei naviganti, tuttavia, il resto del tratto di Llangollen cadde in disuso e iniziò a disgregarsi, fino allo storico incidente del 6 settembre 1945, quando un’intera sezione ad est della città vide franare i propri argini, lasciando precipitare a valle un’impressionante quantità d’acqua e causando il catastrofico deragliamento di un treno postale, evento costato la vita a tre persone. Dopo questo evento e forse anche a causa di esso, i fondi stanziati per il mantenimento del canale riportarono un incremento, accrescendo in maniera sensibile la sua rilevanza per un utilizzo di tipo turistico e ricreativo.
E non è d’altronde neppure inaudito, nell’Inghilterra in bilico per la Brexit, che chi manca di un lavoro stabile o esercita la sua professione da casa, decida d’un tratto di lasciarsi dietro le solide radici della famiglia, andando a trascorrere la propria esistenza nei confini stretti ma confortevoli di una narrowboat. Percorrendo la striscia splendente di una fitta rete di strade in cui l’asfalto, come concetto, non è mai stato preso neppure in considerazione. Ma l’eventuale presenza di ghiaccio può avere un effetto Titanico, nel rovinarti drasticamente la giornata.