Il paragone con il ben più celebre Giorno della Marmotta celebrato negli Stati Uniti e il Canada è inevitabile, benché ci troviamo innanzi ad un metodo di previsione maggiormente sofisticato e per certi versi, molto più “preciso”. Come ogni anno, ma dopo un’edizione della festa particolarmente travagliata per le temperature già bassissime di questo inizio ottobre, il consorzio di circa 15.000-20.000 persone accorse in un luogo circondato da montagne e foreste ha potuto assistere alla fondamentale “lettura” giungendo alla conclusione che sebbene abbia avuto un inizio gelido, questo inverno subirà una rapida ripresa, con poche nevicate nella parte mediana e un finire in cui sarà nuovamente opportuno indossare i propri abiti più pesanti.
Determinare la vera essenza di una creatura naturale non è sempre semplice, come viene da pensare osservando la larva nera e marrone della Pyrrharctia isabella, comunemente detta falena tigre gialla o direttamente orsetto peloso, per la fitta coltre di peli che la ricopre sia prima che dopo la metamorfosi compiuta all’interno del fatidico bozzolo che corona la sua esistenza. Poiché da un punto di vista europeo, piuttosto che di un abitante degli Stati Uniti, appare immediatamente probabile che debba trattarsi di una qualche versione locale di quelle che in Italia siamo soliti chiamare processionaria, il bruco le cui setole risultano ricoperte di un potente veleno urticante, capace di causare un dolore persino superiore a quello di una puntura di vespa. Difficilmente, dunque, potrebbe venirci in mente di prenderne in mano uno, per porlo dinnanzi all’obiettivo di una telecamera, accarezzarlo e sopratutto renderlo protagonista di una vera e propria festa con tanto di difficili gare, al termine delle quali riceverà il compito di enunciare un’importantissima profezia. Importantissima, sopratutto, per la cittadina americana di Banner Elk, NC, circondata da resort sciistici destinati ad accogliere un vasto pubblico proveniente dall’intero territorio della Costa Est. A patto, s’intende, che cada una quantità sufficiente di neve. Fortuna che un tale essere, almeno secondo il folklore popolare, risulta in grado di fornire agli abitanti il valido accenno di un’idea.
Per l’origine di una tradizione che si perde nella nebbia dei tempi, risultando probabilmente associata alla curiosa variabilità di questi bruchi, la cui presenza o estensione della caratteristica banda marrone può a seconda dei casi estendersi per una variabile quantità dei 13 segmenti che compongono l’animale, tanto che a qualcuno dev’essere apparso chiaro, durante un subitaneo momento d’illuminazione, che questi dovessero costituire un messaggio elaborato dalla Natura stessa, appositamente per chi fosse riuscito a farne tesoro. Ecco dunque svelato il metodo: ad ogni segmento corrispondono due settimane, per un totale di 26. Maggiormente ciascuno di essi risulterà distante dal nero assoluto, tanto più nel periodo corrispondente la luce del sole tornerà a splendere, sciogliendo i ghiaccioli e prevenendo il principio d’assideramento per chiunque dovesse essere tanto coraggioso da uscire di casa. Ciò rende assolutamente necessaria la selezione dell’esemplare “migliore” o “più giusto” data l’effettiva natura di tale livrea, che sembra estremamente variabile anche tra i singoli esemplari ritrovati sulla stessa pianta, per non parlare di uno specifico anno corrente. Ragione per cui le molte versioni di questa festa, di cui quella di Banner Elk è la più famosa ma certamente non l’unica, sono solite includere nel proprio programma un vero e proprio torneo ad eliminazione, basato sulla velocità con cui i diversi bruchi riescono a percorrere l’intera estensione di un filo perpendicolare al suolo. È inutile a questo punto affermare che, per scienziati e meteorologi, l’opinione possibile in merito all’attendibilità di tutto questo sia soltanto una…
Fece certamente notizia, nel 1948, la ricerca scientifica del professore prossimo al pensionamento Howard Curran, allora curatore del dipartimento di entomologia del Museo Americano di Storia Naturale di New York, che con il tipico eclettismo concesso agli accademici veterani, pubblicò i risultati conseguenti da un’approfondita osservazione di qualche decina di bruchi pelosi, raccolti nel corso di un’escursione nel parco di Bear Mountain, importante riserva zoologica a settentrione della principale metropoli statunitense. Un gesto secondo molti profondamente frainteso dai giornali, poiché lo scienziato intendeva dimostrare l’inadeguatezza di un tale metodo come previsione del tempo atmosferico a venire, realizzando una sorta di parodia di certi studi para-scientifici pubblicati con eccessivo entusiasmo dalle riviste specializzate. Nell’opinione di altri, invece, l’intera faccenda costituiva più che altro una scusa per visitare annualmente questo luogo immerso nella natura, godendosi le sue meraviglie anche durante un periodo in cui, normalmente, sarebbe rimasto a lavorare al museo. Fatto sta che in funzione di quello che dev’essere stato certamente uno scherzo del destino, le conclusioni da lui scritte sulla base del “consenso cromatico” della maggioranza dei bruchi raccolti puntarono chiaramente a un’inverno mite, eventualità che finì pienamente per realizzarsi. E di nuovo, ancor più mite l’anno successivo, tanto che si riporta egli abbia detto in un’occasione “Se i bruchi diventano ancora più marroni entro i prossimi mesi, ben presto vedremo crescere le palme entro i confini della città di New York.” Ed anche questo, nel giro di qualche anno, sarebbe effettivamente capitato. In un certo senso si potrebbe affermare che il professore, in un modo certamente poco scientifico eppur formalmente corretto, stesse evidenziando il progressivo avanzamento del riscaldamento terrestre.
Un’altra ricerca spesso citata dagli appassionati dell’annuale festa dei bruchi, che comunque comporta anche una considerevole fonte di guadagno per ciascuna cittadina che ne abbia fatto un’importante momento del suo calendario, è quella pubblicata nel 1975 sul giornale degli studenti dell’Università degli Appalachi, i quali con probabile intento goliardico dimostrarono matematicamente che le previsioni del bruco risultano essere precise l’85% delle volte. Una statistica che, non considerando la possibile ambiguità ed interpretazione libera di ciascuna annuale profezia, sembrerebbe escludere nettamente l’eventualità di una serie di fortuite coincidenze. Giustificando, almeno in parte, l’evidente passione del vasto pubblico per questo irsuto beniamino.
I cui peli, come già evidenziato poco sopra, non hanno alcuna funzione urticante risultando piuttosto utili a facilitare il congelamento invernale della larva grazie all’umidità contenuta al loro interno, permettendogli in questo modo di superare agevolmente gli inverni più duri. Ciò anche grazie alla produzione biologica di un cosiddetto liquido crioprotettore, capace di mantenere fluida l’emolinfa (versione artropode del sangue) anche a temperature ben al di sotto dello zero. Non sarebbe quindi del tutto errato affermare che il bruco peloso va in letargo (nei fatti, si tratta di uno stato di quiescenza) un po’ come la celebre marmotta del Vermont.
Come molte tradizioni del folklore moderno, la festa dei bruchi sembra voler mescolare un certo tipo di sapienza popolare con quella che un tempo sarebbe stata la religione cristiana, ed oggi risulta essere piuttosto il culto principale dei nostri tempi, ovvero la scienza applicata sulla base delle alterne necessità umane. Così che è bello, per quanto privo di una base logica effettiva, pensare che un animale possa custodire in se stesso un metodo per determinare gli incassi della stagione sciistica in arrivo. E può far comodo utilizzare le sue previsioni allo scopo di prendere decisioni difficili, per le quali altrimenti l’unica scelta sarebbe lanciare una moneta, ovvero affidarsi alle mere ragioni del caso.
Difficile capire, in ultima analisi, quanti dei partecipanti alla festa credano effettivamente alla veridicità del suo momento culmine, quanti scelgano di farlo per convenienza e chi si trovi lì, invece, soltanto per far divertire i bambini. Certo è che una simile ricorrenza finisce per modificare in maniera trasversale l’ecosistema locale, con una quantità di bruchi prelevata di svariate migliaia ogni anno, tanto che alcuni studiosi sono giunti ad elaborare una teoria secondo la quale gli insetti stiano diventando progressivamente “più graziosi” affinché i loro temporanei proprietari si sentano obbligati ad andare a liberarli nella foresta alla conclusione della rinomata kermesse. Una dimostrazione, indiscutibile, dell’insistente testardaggine degli umani, capaci di mettere in atto la selezione artificiale su un’intera specie soltanto in funzione di una diceria locale. Il che, d’altra parte, conviene anche ai bruchi. Poiché a nessuno verrebbe in mente, da queste parti, di usare pesticidi ad ampio spettro, nella regione che trae un significativo vantaggio dalla loro esistenza strisciante. Forse un maggior numero di feste come queste non sarebbe poi tanto male, nello schema di difficile sussistenza di una coscienza ecologica davvero internazionale.