Ogni anno in primavera sulle distese erbose degli altopiani dell’Himalaya, nella regione al confine con la Cina di Dolpo, le femmine delle falene cosiddette fantasma si alzano in volo dopo il loro lungo stato larvale, iniziando un fine bombardamento a tappeto. Si tratta di uno dei processi riproduttivi più ad ampio spettro dell’intero regno animale, durante il quale un singolo esemplare può arrivare a disseminare fino a 29.000 capsule, ciascuna contenente il principio generativo di un futuro figlio della prateria. Alla schiusa della prossima generazione, quindi, i piccoli bruchi di Hepialidae strisciano per qualche minuto, prima che il loro istinto li conduca senza falla verso il basso, l’unica direzione che possono considerare sicura. Con mandibole specializzate smuovono la terra, nella piccola quantità necessaria ad eguagliare l’ingombro del proprio corpo. E laboriosamente, iniziano a nutrirsi della fitta rete di radici delle stesse piante sopra cui, in quel giorno fatidico, i loro genitori ebbero la fortuna di trovarsi l’un l’altro. Eppure nonostante i lunghi secoli d’evoluzione, che hanno garantito a un così furbo insetto di scavarsi (a tutti gli effetti) una nicchia lontano dai pericoli del proprio ambiente, su 500 di questi bruchi, almeno i 4/5 andranno incontro a una fine particolarmente atroce. Non per l’opera di uccelli affamati, e neppure l’intervento di una qualche vespa predatrice. E neppure in forza degli artigli scavatori di un mammifero affamato, come topo, mustelide o felino. Bensì a causa, questa volta, del più inaspettato dei colpevoli del mondo naturale: quella creatura che non è un animale, minerale o vegetale; benché condivida, con questi ultimi, una significativa parte del suo ciclo vitale. Sto parlando di un fungo, chiaramente, cos’altro? L’Ophiocordyceps sinensis, parassita che negli anni a partire dal 1993, si è trasformato in una sorta di leggenda.
Tutto ebbe inizio con la serie di vittorie estremamente significative di tre ragazze provenienti dal Nord-Ovest della Cina ai campionati di atletica di Stuttgart, tenutosi ad agosto in Germania, dove la loro straordinaria performance nella corsa ebbe il risultato di lasciare nella polvere una nutrita schiera di favorite. Evento a seguito del quale, approfonditi test cautelativi per il doping non diedero alcun tipo di risultato positivo. Il loro coach, quindi, rispondendo con orgoglio alle numerose interviste, diventò famoso per una specifica frase: “Non c’è alcun segreto. Le mie ragazze sono più veloci delle altre solamente perché assumono ogni giorno una speciale zuppa energetica, composta di sangue di tartaruga e dōng chóng xià cǎo” (冬蟲夏草) un composto lessicale che significa, letteralmente, “verme d’inverno, erba d’estate” eppure nessuno poté inizialmente credere, che dovesse trattarsi davvero di un ingrediente tanto insolito e particolare. Ovvero quello che nel suo paese viene chiamato yartsa gunbu o yarsagumba (due diverse traslitterazioni, stesso significato) ed è costituito in egual misura dai resti mummificati del bruco di falena fantasma e un’escrescenza vegetativa appartenente al succitato fungo, che attraverso un procedimento spietato l’ha infettato con le proprie spore, trasformando ciascun organo interno in nutrimento per il suo micelio. Qualcosa di orribile a descriversi, eppure proprio per questo, straordinariamente prezioso per quel mondo letteralmente impossibile da definire che è la medicina tradizionale d’Asia. Fin dagli scritti del dottore e lama tibetano Zurkhar Nyamnyi Dorje, che nel XV secolo descrisse il mistico rimedio nel suo testo “Un oceano di qualità afrodisiache” anticipando già di molti secoli l’espressione destinata a diventare una parola chiave contemporanea di “super-viagra tibetano”.
Tornando dunque all’ultimo decennio del XX secolo, nell’affermazione dell’allenatore di atletica è possibile scorgere la verità di questo strano frutto della terra, considerato preziosissimo dalla filosofia cinese del taoismo, proprio perché contenente allo stesso tempo il principio di piante ed animali, ovvero lo Yin e lo Yang. Il quale, attraverso innumerevoli generazioni di tradizione locale, aveva costituito una risorsa dai molti effetti positivi, primo tra i quali la costituzione di una fonte di nutrimento proteica facilmente accessibile per i pastori e gli altri abitanti delle impervie zone montuose himalayane. Ma questo concetto stesso, che potesse aiutare gli uomini a letto, trattato quasi incidentalmente negli articoli internazionali sui successi della squadra cinese di atletica, colpì immediatamente la fantasia di molti, causando un aumento esponenziale del mercato dello yarsagumba e conseguente crescita spropositata dei prezzi d’acquisto. Questo perché, effettivamente, riuscire a procurarsi una quantità utile di questo ingrediente è cosa tutt’altro che semplice, data la natura remota della regione di Dolpo, unico luogo di provenienza, per di più sconvolta da una situazione socio-politica non proprio semplice da decodificare.
L’aspetto che viene immancabilmente trattato negli articoli, in merito all’inizio dell’epoca dei bruchi mummificati, è la profonda serie di trasformazioni che si sono verificate nell’ultimo ventennio per gli abitanti di questi territori straordinariamente isolati, i quali per la prima volta possono permettersi di visitare le grandi città come Kathmandu, acquistare regolarmente vestiti nuovi per i loro figli e mandarli a scuola garantendogli un futuro. Ma poiché fin da subito il governo nepalese iniziò a regolamentare severamente l’esportazione del fungo, imponendo tra le altre cose un trattamento a vapore che ne rendeva del tutto impossibile la vendita, il commercio dello stesso diventò appannaggio pressoché esclusivo dei ribelli maoisti, destinati ad ottenere successivamente al cambio di millennio la lungamente sospirata fine della monarchia nepalese, assieme ad una lunga serie di diritti civili conformi alla logica di uno stato contemporaneo. In questo modo, l’alone di mistero e illegalità che circondava lo yarsagumba finì per renderlo ancor più desiderabile, sopratutto agli occhi della nuova aristocrazia finanziaria cinese, che ne acquistava enormi quantità al di là del confine, nella speranza di riuscire a estendere la propria gioventù. Un punto fondamentale della medicina di stampo taoista, in effetti, è il suo corrispondere in parte con la scienza odierna della nutrizione; ragione per cui, allo scopo di vedere i primi risultati dalla consumazione del fungo, sarebbe necessario mangiarne grandi quantità ogni giorno, come condimento di zuppe o altri piatti preparati ad-hoc (possibilmente, a quanto sembra, accompagnati dal sangue delle povere tartarughe). Aggiungete a questo l’alta quantità di lavoro necessario per ottenere un Kg di quest’ingrediente non facilissimo da ritrovare, generalmente fatto corrispondere ad un mese di lavoro da parte di cinque esperti raccoglitori, e comprenderete il nostro parallelo con l’epoca di frontiera dei cercatori d’oro americani.
Legalizzato a partire dal 2001, l’esportazione dello yarsagumba non avrebbe tuttavia perso la sua fama di preziosa e introvabile rarità, con prezzi in grado di raggiungere già dall’anno successivo i 1.435 dollari al Kg. E benché sia logico pensare che ai raccoglitori stessi venga concessa soltanto una minima percentuale di tale cifra, la loro opera sarebbe presto diventato il principale sostegno dell’intera economia locale. Ben presto, con tale proficuo sfruttamento del territorio arrivarono gli inevitabili problemi: un aumento della criminalità, particolarmente nei campi dell’estorsione, del furto e talvolta, persino dell’omicidio. Un nutrito racket di organizzazioni di varia natura iniziarono a chiedere una tassa (o “costo di protezione”) agli abitanti dei villaggi, rendendo decisamente più difficile il loro mestiere. Come se non lo fosse già stato a sufficienza, viste le ardue condizioni ambientali del loro teatro operativo, dove la carenza d’ossigeno costante incontra temperature particolarmente gelide, rocce acuminate su cui cadere e l’occasionale valanga. Un altro problema, destinato a diventare il maggiore entro poche generazioni, è l’effettiva sostenibilità di un tale business: nonostante la natura eccezionalmente prolifica delle falene fantasma, in effetti, il fungo Ophiocordyceps sinensis esiste solamente in una quantità finita. E il fatto che molti nepalesi, pensando ad un guadagno immediato, siano soliti raccogliere anche gli esemplari troppo giovani per aver già liberato le proprie spore, non fa proprio nulla per garantire la continuità di questa singolare forma di vita.
A distanza di tanti anni dal successo atletico delle cinesi ai campionati di Stuttgart, dunque la fama del “viagra tibetano” non accenna a diminuire. E questo nonostante il fatto che in competizioni successive, le stesse ragazze siano state effettivamente trovate positive a forme di doping decisamente più convenzionali, gettando chiari dubbi sugli stessi risultati atletici ottenuti in precedenza. Ma nessuno, persino oggi, può sottovalutare l’importanza di quel momento considerato fondamentale nella vita di un ricco praticante della medicina tradizionale cinese. Come sarebbe mai possibile, dopo tutto, assegnare un prezzo a un’erezione?