Sospesa nel centro esatto dell’Oceano Atlantico, Madre Natura tratteggia figure appena visibili mediante pochi tratti del suo fine pennello. E ciò facendo, riesce a creare una giustapposizione del tipo più inaspettato: poiché non succede, generalmente, che entro il giorno di Ognissanti si posi già la neve su questa Terra. Halloween, tempo di mostri, vampiri e notte infestata, più di ogni altra cosa, dagli spiriti e i resti ectoplasmici di chi ha vissuto. Ed invece adesso non abita più… In questo mondo. Ma come potrete facilmente immaginare, gli spettri che permeano il mondo abissale appaiono fondamentalmente diversi da quelli che tendono ad aggirarsi nella brughiera, nascondendosi dietro o all’ombra dei vecchi alberi rimasti privi di fronde. Trasparenti, questo può dirsi ampiamente scontato, in ogni loro parte tranne il sottile tubo che costituisce l’apparato digerente, e la scatola cranica situata nell’estremità anteriore del loro corpo allungato lungo fino a 30 cm, piatto quanto il nastro di un’antica videocassetta. Usato, ancor più che allo scopo di proteggere un cervello, per sostenere una serie di lunghi e fragili denti acuminati, sulla cui funzione la scienza ha intrapreso un lungo dibattito privo di conclusioni; questo perché non serve saper masticare, per fagocitare, un poco alla volta, le candide particelle sospese tra l’onde. Neve marina, come accennato, ovvero la soluzione colloidale di residui biologici e vegetali, prodotti da creature più grandi, alla base dell’alimentazione pelagica di esseri ancor più semplici e primitivi, dei predatori di plankton, pirati di minuscoli gamberetti e larve di vario tipo. Del resto, esiste la solidarietà, persino tra i dannati.
Per la cronaca non si tratta ancora di “pesci” benché potreste essere perdonati nel definirli tali. Dopo tutto, cos’è un Leptocefalo, se non la forma giovanile di quegli esseri talvolta definiti serpenti del mare profondo! Tra le cui specie costituenti, ve ne sono alcune da tempo a rischio critico d’estinzione, esattamente come il panda gigante o la tigre di Amur. E potrebbe anche lasciare stupiti, l’idea che una creature simili, capaci di produrre a ogni stagione riproduttiva migliaia e migliaia di eredi possano trovarsi in pericolo, finché non si considera come il complesso svolgersi del loro ciclo vitale, assolutamente unico nel mondo degli animali, porti alla sopravvivenza in media di un solo esemplare su 500. Una volta presa quindi ad esempio la specie Anguilla anguilla, comunemente detta anguilla europea, ci si trova di fronte a un essere la cui vita raggiunge il culmine nell’entroterra del Vecchio Continente, all’interno di fiumi o laghi dove ha trascorso gran parte dell’età adulta. Percepito quindi il segnale biologico più importante della propria esistenza, il pesce nuota fino alla distante foce che soltanto una volta, oltre 40 o 50 anni prima, aveva visto quando era ancora un tenero ed argenteo virgulto. Lasciatosi alle spalle ogni terra emersa per sempre, l’animale comincia quindi a nuotare con tutta la forza concessa dalla sua forma sinuosa, per un’epica trasferta fino ai luoghi del suo accoppiamento finale: i verdeggianti pascoli di quella particolare zona settentrionale dell’Atlantico, situata tra le Azzorre e le Grandi Antille, dove deporranno le loro uova. Uova di spettri che non hanno scaglie, apparizioni stranamente mostruose dei mari…
Non tutte le specie dell’ordine degli anguilliformi compiono una migrazione altrettanto difficile o lunga (si stima che un tale viaggio possa richiedere, talvolta, fino ai tre anni ad una singola generazione d’esemplari) eppure ciascuna di loro condivide, per sommi capi, la progressione altamente caratteristica di un simile ciclo vitale. Tanto che, tra i pesci che si riproducono mediante la produzione di larve, esse vengono generalmente considerate un caso a parte, meritorio di ricevere la più estesa trattazione all’interno dei libri di biologia. A partire dalla loro placida esistenza nell’uovo, durante la quale a differenza dei distanti cugini non si nutrono affatto delle sostanze nutritive contenute in esse, bensì da una particolare riserva situata in corrispondenza della loro testa, chiamata globulo d’olio. Alla consumazione totale del quale, l’anguilla neonata è già aumentata di dimensioni fino ai 5 cm circa, risultando perfettamente pronta a nuotare, con un’agilità invidiabile per il suo ambiente d’appartenenza. Ed è in tale modo, soprattutto, che il leptocefalo riesce a sopravvivere di primi difficili mesi della sua esistenza, sfuggendo ai predatori anche grazie al suo perfetto mimetismo trasparente.
Ciò perché in assenza di globuli rossi, persino il suo sangue appare del tutto incapace di assorbire la luce, così come la pelle, la coda e ogni altra parte della creatura, fatta eccezione per pochi minuscoli organi interni ed il grosso paio d’occhi, con prevalenza di cellule a bastoncelli capaci di rilevare il movimento. Essa non possiede ancora, tuttavia, la leggendaria resistenza della sua versione adulta, dovendo affidarsi soprattutto alle correnti marine per essere trasportata fino alle coste distanti, dove intraprenderà la fase successiva della propria mutazione. Ed è esattamente qui, dopo un periodo che può raggiungere anche i due anni nel caso dell’anguilla europea, che il suo corpo s’ispessisce assumendo una forma tubolare, giustificando il nome collettivamente attribuito di “anguilla di vetro”. La quale, spostandosi progressivamente fino alle foci dei fiumi, inizia a risalirne la corrente, mentre finalmente dopo una così lunga Odissea, inizia a diventare opaca. E dopo molti anni giallognola, prima di ricominciare a migrare. Perché esattamente, simili pesci serpentiformi devono compiere trasferte tanto remote? Nessuno può affermare davvero di saperlo. Soprattutto considerato come, a differenza dei salmoni, esse non si accoppiano nell’entroterra, vanificando ogni possibile teoria in parallelo. Per lungo tempo prima dell’epoca moderna, i naturalisti non erano neppure riusciti a conciliare la loro esistenza trasparente e piatta con quella dell’animale adulto, facendo classificare i leptocefali come rappresentanti di specie totalmente diverse. Anche perché, a causa della loro leggendaria agilità e relativa piccolezza (fatta eccezione per alcune specifiche varietà) le larve di anguilla risultano estremamente difficili da catturare nelle reti usate dalle navi oceanografiche, benché assai prevedibilmente, questo non le abbia salvate da un tutt’altro tipo di sfruttamento, assai più spietato e remunerativo.
Ci sono molti ostacoli creati dall’uomo alla riproduzione delle anguille, sopratutto quella europea, a partire dal mutamento climatico e l’inquinamento dei mari. Senza neppure considerare il tipo di barriere architettoniche che tendono ad essere disposte lungo i fiumi, come dighe, moli ed argini, che impediscono alla loro esistenza giovanile di raggiungere con successo i luoghi della tanto sospirata maturità. Ma il problema principale resta la pesca e la cattura di esemplari per l’allevamento intensivo praticato da una particolare industria, che trova il suo centro in determinati paesi europei ed il principale seguito in Estremo Oriente, finalizzato alla commercializzazione di un cibo considerato alla base di vere e proprie prelibatezze. Come l’unagi (うなぎ) giapponese, anguilla adulta grigliata, o il noresore (のれそれ) rarità gastronomica della prefettura di Kōchi, consistente di leptocefali trasparenti consumati crudi, intinti nell’aceto di riso e salsa di rafano (wasabi – 山葵).
Tali particolari propensioni culturali, unite a quelle estremamente varie della cucina e medicina tradizionale cinese, hanno ridotto in maniera esponenziale la popolazione un tempo vasta delle anguille migratrici, portandole fino al ciglio di un ripido baratro all’interno del quale, prima o poi, potrebbero anche precipitare. E qualcuno potrebbe dire: “A chi importa, alla fine, di simili pesci dimenticati dall’evoluzione, per cui l’efficienza riproduttiva è tutt’ora un miraggio lontano! Si sarebbero estinti da soli, prima o poi…” Senza considerare che nell’espressione pittorica degli artisti migliori, gli errori del disegno non vengono mai del tutto cancellati. Diventando, piuttosto, una parte inscindibile dal resto dell’opera nel suo complesso. Esattamente come noi, che a nostra frequente insaputa, viviamo all’interno della stessa tela.