La curiosa origine dei gioielli-spazzatura di Detroit

Per quanto riuscissimo a ricordare, la città era sempre esistita: estesa, variegata, rumorosa, parzialmente in rovina. Interi quartieri lasciati a loro stessi, popolati da persone poco raccomandabili, in cui persino gli incaricati di far rispettare l’ordine, le forze nazionali in divisa, raramente osavano avventurarsi a bordo delle proprie auto di pattuglia. Con le periferie un tempo rese verdeggianti dalla pletora di villette a schiera, oggi largamente abbandonate, covi di pipistrelli, roditori e spacciatori di droga. Dai tempi del declino subìto a partire dagli anni ’70, con la migrazione degli interessi economici e manifatturieri di un’intera industria a Oriente e Meridione, giù, verso il Messico distante, della “vecchia” Detroit resta ormai soltanto un ricordo. Eppure, fasce di popolazione particolarmente avventurose, anche tra coloro che  sceglievano una vita sotto il Sole, all’ombra dei palazzi sopravvive un fascino particolare, simbolo di una rinascita possibile dalle macerie del post-industrialismo. E poi, ci siamo noi: gli artisti. A vantaggio dei quali, una tale contrapposizione genera un attrito fervido e fecondo, scintilla mistica di quella forza che possiede il nome di creatività. Creare-una-attività: che può voler dire guadagnarsi da vivere, ma anche offrire al mondo un’angolo di analisi del tutto inesplorato, letterale spunto di salvezza per l’immagine di un luogo che persino adesso, può veicolare l’immaginazione dell’intero popolo statunitense e con esso, quella di coloro che vorrebbero conoscere la sua cultura.
La scoperta da parte del mondo sembrerebbe avere origine tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, quando un giro di demolizioni particolarmente esteso venne portato a termine nella zone delle fabbriche automobilistiche, vecchio polmone intossicato dell’unico stato formato da due penisole, incapsulate tra tre dei laghi più vasti al mondo. Così oltre le acque dell’Huron, del Saint Claire e del Michigan, le squadre di operai specializzati ebbero a scoprire qualche cosa d’inaspettato: il fatto che un po’ ovunque, dentro i capannoni un tempo appartenuti a dei titani dell’industria, figurasse quello che poteva essere soltanto un dono concesso cielo. Agata, la pietra dura microcristallina, formata dal quarzo che si è mescolato con silice, formando sfumature variopinte particolarmente amate dai fabbricanti di orecchini, pendenti e spille. Agata attaccata ai nastri trasportatori. Agata sui pavimenti, in mille pezzettini dai bordi sfrangiati. Agata che ricopriva i principali pilastri architettonici, come un ulteriore strato di cemento, strano metodo decorativo ormai dimenticato. E il punto è proprio che probabilmente, se queste maestranze fossero state le stesse che un tempo lavoravano qui dentro, i loro occhi non sarebbero semplicemente riusciti a vederla. Questo perché, la particolare “pietra”, piuttosto che venire dai processi millenari della geologia, era il prodotto collaterale di un mestiere molto umano e assai pragmatico per concezione: ricoprire di vernice le scocche, o carrozzerie che dir si voglia, della principale esportazione veicolare di un tempo. Nient’altro che spazzatura. Ma la spazzatura di qualcuno, si sa…
L’agata di Detroit è anche celebre su Internet col nome di fordite. A partire da quando, nel 2007, tale termine venne usato per la prima volta sul sito omonimo, oggi conservato unicamente dall’archivio Wayback Machine, opera della fabbricante di gioielli “di recupero” Cindy Irwin. La quale ricorda, nella preistoria di questa particolare corrente di collezionismo creativo, una genesi remota negli anni ’70, quando i figli degli operai della città ricevevano talvolta in dono dai genitori gli strani grumi di vernice simili a sassi, da usare come soprammobili o fermacarte. A quei tempi, tuttavia, possiamo presumere si trattasse di pietruzze dalle dimensioni trascurabili, difficilmente lavorabili con il grado di finezza ed attenzione che oggi è possibile aspettarsi dai migliori artisti del settore. Fautori del riciclo sopra ogni altra cosa, coltivatori di un giardino senza tempo. Né compromessi…

Osservando i molti brevi segmenti televisivi e documentaristici sull’argomento, è possibile desumere la fortuna del materiale: abbastanza raro da essere desiderato, ma non così prezioso da generare imitazioni. Stiamo parlando di un vero, inaspettato simbolo dell’antica città di Detroit.

È significativo osservare come oggi, i migliori pezzi di fordite grezza siano reperibili soltanto nelle fabbriche che un tempo avevano i più bassi standard di manutenzione e pulitura delle proprie catene di montaggio. Questo in funzione del fatto che, fondamentalmente, stiamo parlando di strati e strati, e strati di smalto vetroso, proiettato dagli aerografi automatizzati che inerentemente, tendevano a depositare del materiale in eccesso. Il quale, per estrema cura dei progettisti del macchinario, non andava certo a finire sul pezzo oggetto dello sforzo produttivo, bensì tutto attorno e al di sotto dello stesso, formando uno strato-semisolido di un singolo colore. Pochi minuti, ore o giorni dopo quindi, la tonalità dell’ordine cambiava, portando a un successivo strato di vernice in eccesso che andava a ricoprire quella della volta prima. Il trascorrere del tempo e il sopraggiungere della stagione calda, quindi, garantiva l’indurimento di una tale superficie anche senza il processo finale di “cottura”. Ma ci volevano anni, se non generazioni, affinché fosse possibile raggiungere uno spessore paragonabile a quello di una pietra, verso quel falso minerale destinato ad essere apprezzato dai posteri in attesa.
Ciò che rende preziosa la fordite, essenzialmente, è la sua natura non riproducibile se non a fronte di un processo assai costoso, e la conseguente rarità sempre maggiore man mano che il tempo si allontana dagli anni d’oro di Detroit. Questo perché nella moderna industria automobilistica, nel 99% dei casi, non c’è nessuno spreco e conseguente accumulo di vernice, grazie al sistema dell’aerografo elettrostatico. Consistente essenzialmente nell’impiego di un leggero campo elettrico, fatto passare attraverso la carrozzeria sottoposta al processo, soltanto a seguito del quale i pigmenti aderiscono alla superficie in maniera quanto mai uniforme. Mentre la polvere in eccesso, prima di essere trasportata via dal vento, viene recuperata attraverso l’impiego di appositi aspiratori, ritornando all’interno del ciclo produttivo. Il che garantisce una diminuzione notevole di costi ed impatto ambientale. Privando il mondo, tuttavia, dei frutti collaterali del più variopinto fra tutti gli errori.
Dal punto di vista delle caratteristiche strutturali, lo smalto indurito presenta numerose attrattive: resistente alle sollecitazioni eppure facile da lavorare, mediante l’impiego di frese o strumenti da taglio,  una volta montato su un gioiello tende a mantenere la sua forma a tempo indeterminato, sopratutto quando ricoperti da ulteriori strati protettivi di smalto trasparente. Ed è proprio attraverso un attento processo di preparazione, che l’artista doverebbe riuscire a massimizzare la visibilità dei molti colori presenti all’interno della pseudo-agata, ragione per cui le forme considerate ideali per questa gemma includono quella del cabochon (semi-cupola con fondo piatto) del taglio a goccia, dell’ovale e del trilliant (triangolo a rilievo) mentre forme più rigide e prevedibili, come quelle tipiche degli smeraldi o diamanti, mancherebbero di attraversare la linea tangente dei molti strati multicolori. Spesso ancora sottovalutato in funzione del suo valore inerente, il gioiello di fordite acquisisce in genere valore sopratutto in funzione dell’abilità di colui che l’ha tagliato. Costituendo, in funzione di questo, un mezzo espressivo ideale, nonché favolosamente puro, per quest’arte antica quanto il concetto stesso della gioielleria.

Oggigiorno, la verniciatura delle automobili non ammette sprechi. E mentre le sofisticate braccia robotiche assolvono ai loro compiti, aprendo e chiudendo mostruosamente i diversi sportelli della futura automobile, è impossibile non chiedersi se l’ammissione di un margine d’errore non fosse un fondamentale limite, ma anche merito circostanziale dell’umanità.

Reperire un pezzo di fordite in Italia non è semplicissimo, vista la distanza dal suo principale luogo di cultura ed appartenenza, benché sia facile presumere che in tutte le antiche capitali dell’industria pesante, come è stato per lungo tempo il nostro paese, qualcuno debba aver notato il potenziale valore dei vecchi e polverosi grumi dello smalto per aerografi solidificato. E forse qualcuno, nel corso della sua carriera in campo metalmeccanico, deve anche averne portato a casa svariati esempi, come avvenuto alle origini di questa corrente all’altro lato dell’Oceano e tra i Grandi Laghi del Nord. È tuttavia facile immaginare come la nostra cultura abituata ad attribuire il valore alle cose sulla base dell’antichità e il prestigio del suo stesso processo generativo, abbia immediatamente relegato l’intera faccenda a poco più che un semplice passatempo per bambini. La cultura del riciclo artistico è innata nella gente di frontiera, costretta ad accontentarsi di quel poco che aveva. Ed “averlo” di nuovo (sia materialmente parlando, che non). Mentre in Europa, coi nostri letterali millenni di storia, non esiste una singola nazione che possa affermare di aver vissuto recentemente una simile necessità.
Proprio per questo, per chi volesse possedere un esempio della pietra che prende il nome dal solo ed unico inventore dell’automobile per famiglie Henry Ford, la migliore opportunità sarebbe cercare presso uno dei molti fornitori o artisti operativi online, largamente rappresentati sui nuovi portali social come Etsy, Instagram e YouTube. Sarà, tuttavia, opportuno affrettarsi: l’agata di Detroit non esiste in quantità infinita. Ed è molto probabile che, una volta esaurita, nessuno si preoccupi di produrne dell’altra. Dopo tutto, non stiamo parlando d’altro che “spazzatura”…

Un pezzo di fordite tagliato con la forma di uno pneumatico da trattore: ecco un regalo interessante per chi ha appena conseguito il diploma agrario. O sta iniziando una carriera come operaio in fabbrica, magari a tempo indeterminato. Che al giorno d’oggi, non è affatto un traguardo da poco. Anzi!

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