L’allarme viene dato verso metà mattina, quando appare evidente che la perdita di sangue di una partoriente, a causa di problemi di salute preesistenti, non sarebbe stata arrestata in tempo. Il dottore incaricato di guidare la squadra del pronto soccorso, quindi, impugna rapidamente il suo telefono cellulare, inviando un messaggio tramite WhatsApp verso il primo numero della sua rubrica. All’interno di un capannone a molti chilometri di distanza, la calma si trasforma istantaneamente in attività frenetica, mentre una mezza dozzina d’incaricati tira fuori la busta di plasma dal frigorifero, la inserisce in un apposito contenitore dotato di paracadute ed assicura al piccolo velivolo a guida GPS, che di lì a poco, verrà lanciato verso l’obiettivo mediante l’impiego di una catapulta. Soltanto venti minuti dopo, il dottore sul tetto dell’ospedale osserva il puntino che appare al di sopra dell’orizzonte, aspettando il rilascio del prezioso carico di salvezza che sta per essere raggiungerlo, permettendogli di portare a termine la sua importante missione.
Uno dei più grandi problemi logistici nello stoccaggio e la gestione del sangue donato per chi necessita trasfusioni, è trovare un punto di equilibrio tra disponibilità e spreco. La vita massima dei globuli rossi, una volta estratti da un organismo e immagazzinati all’interno di un contenitore allo stato dell’arte, non supera nel migliore dei casi le due settimane, ragione per cui l’immagazzinamento di tale sostanza non può prescindere da un sistema ineccepibile di distribuzione. Eppure, prendendo in esame alcune delle nazioni più popolose a avanzate al mondo, ogni anno migliaia e migliaia di litri distribuiti in anticipo negli ospedali diventano inutilizzabili, per la semplice ragione che altrimenti, non sarebbe stato possibile disporne immediatamente in caso d’emergenza. Aggiungete a questo il problema dei quattro gruppi sanguigni differenti, ciascuno dei quali necessita di essere rappresentato all’interno di innumerevoli strutture ospedaliere in ogni momento, e capirete come l’errore sia sempre dietro l’angolo, rendendo vano il sacrificio di coloro che si erano dimostrati tanto generosi da riuscire a donarlo. Per non parlare delle potenziali vittime dovute all’assenza della variante necessaria, nel momento della più estrema necessità. Ecco dunque lo scenario in cui, verso la fine del 2017, una particolare statistica fece notizia all’interno del settore medico, generando onde capaci di modificare radicalmente quello che fosse possibile aspettarsi in merito all’annosa questione: per la prima volta all’interno di un’area di 70 Km, un centro di stoccaggio sangue era riuscito a gestire le richieste di sangue di svariate dozzine di ospedali, con una rapidità tale da ridurre gli sprechi all’assoluto zero. Volete sapere dove si era realizzato un simile risultato leggendario? Non nei ricchi Stati Uniti. Né presso l’avveniristico Giappone. E neppure all’interno dell’efficiente Germania. Ma all’interno di uno dei territori in via di sviluppo del Sud del mondo, l’Africa Orientale, proprio tra i confini di un paese in cui le carenze infrastrutturali, e la difficoltà negli spostamenti via terra, sono una semplice realtà della vita: il Ruanda.
Chiunque abbia preso visione su una cartina geografica dello scenario in cui venne compiuti negli anni ’90 il drammatico genocidio ai danni dell’etnia Tutsi, conosce la difficile dislocazione demografica di questo paese. Con vaste aree rurali composte da una moltitudine di piccoli villaggi completamente disconnessi dal sistema di strade e trasporti pubblici, ciascuno dei quali abitato da poche dozzine di persone per cui la morte a causa di mancanza di cure mediche basilari è sempre stata un’eventualità tristemente frequente. Almeno finché, nel raggio di questi particolari 70 Km, le cose non hanno semplicemente iniziato a cambiare, ma sono bensì radicalmente mutate capovolgendo completamente le aspettative di tutti. E ciò grazie all’implementazione di uno specifico, quanto avveniristico sistema di consegne. Sto parlando dell’ennesima startup californiana, che piuttosto che investire i propri capitali d’idee nel proprio stesso paese d’appartenenza, ha scelto di farlo in questo luogo, trovandosi alla testa di una rivoluzione delle consegne urgenti che forse, un giorno, potrebbe cambiare anche il volto medico di molti altri paesi.
Si tratta di una scelta chiaramente altruistica che tuttavia, ci tiene a specificarlo il fondatore della compagnia Zipline, Keller Rinaudo, nasce da ben più che una semplice impresa filantropica a vantaggio di un popolo che aveva bisogno d’aiuto. Essendo stata bensì effettuata sulle specifiche necessità burocratiche e concessioni governative, nonché la fiducia da parte di un ministero importante come quello della salute, che era stato semplicemente impossibile trovare in altre regioni del mondo. Fu infatti lo stesso presidente del Ruanda Paul Kagame assieme al membro rilevante del suo gabinetto, agli inizi del 2016, a tagliare il nastro del primo sistema di lancio di droni medici che fosse mai stato realizzato da mano umana, dimostrando la capacità di credere in qualcosa che, nel bene o nel male, appariva del tutto privo di precedenti. Qualcosa di semplicemente impossibile nel paese in cui era stato progettato, dove le severe norme imposte dalla FAA (Federal Aviation Administration) limitano grandemente l’impiego dei droni anche soltanto a scopo documentaristico e ricreativo. Il che dimostra, ancora una volta, quello che in molti scelgono, spesso intenzionalmente, d’ignorare: che definire un paese come “in via di sviluppo” non è un semplice eufemismo per evidenziare la sua povertà, bensì il riconoscimento di come, data l’assenza di strutture economiche e sociali pre-esistenti, esso si stia dimostrando più dinamico e pronto a investire nel campo delle nuove tecnologie. Proprio in Ruanda ad esempio, dove le linee telefoniche di terra restano ancora un sogno per molte regioni a densità abitativa medio-alta, esiste un sistema di ripetitori per la rete cellulare con una copertura prossima al 100%, capace di veicolare comunicazioni e Internet alle più alte velocità previste dagli standard internazionali. Il che, incidentalmente, era un requisito primario per raggiungere l’operatività del sistema Zipline.
Dal punto di vista tecnologico, stiamo parlando di un approccio particolarmente semplice e risolutivo: i droni della compagnia, chiamati individualmente Zip, hanno l’aspetto di piccoli aerei radiocomandati, che necessitano di un lancio assistito tramite l’apposita rampa situata nel singolo centro operativo di partenza. Da lì, guidati a destinazione sfruttando i loro ricevitori del segnale GPS, compiono la propria missione di volo alla velocità massima di circa 100 Km/h, arrivando brevemente a sganciare mediante paracadute il sangue o medicinali richiesti presso l’istituto medico iscritto al programma. Quindi, senza fermarsi neppure un attimo, fanno ritorno alla base, dove vengono recuperati mediante un sistema di cavi estensibili non del tutto diverso da quello in uso per i velivoli militari delle portaerei statunitensi (inclusi, per l’appunto, i droni). Per quanto concerne l’effettiva gestione operativa, il centro dimostra un altro punto di pregio difficile da sottovalutare: ogni singola funzione inclusa la manutenzione degli aeromobili, l’impostazione dei piani di volo e la gestione del magazzino medico, è infatti gestita da personale locale, reclutato attraverso il sistema educativo ruandese. Ciò dimostra chiaramente l’intenzione di avere un sistema scalabile, capace di essere declinato nell’immediato futuro all’interno del territorio locale e potenzialmente in futuro, nell’intero continente africano. Tutt’altra storia che l’opera comunque utile di un gruppo di volontari, che avrebbero dovuto comunque, al termine del proprio tour d’impresa, fare ritorno al paese di provenienza. Qualunque sia il futuro della distribuzione del sangue nei dintorni dell’equatore, dunque, una cosa sembra certa: un paio d’ali prive di pilota, guidato a destinazione da un mero computer, dovrà assolvere a un ruolo di primaria importanza.
Nella sua conferenza del 2016 inoltre, Rinaudo parlava di un progetto d’ampliamento futuro: estendere i servizi della propria compagnia alla Tanzania, dove il governo locale stava curando i primi piani di fattibilità per adottare il sistema d’importazione, dati gli ottimi risultati ottenuti in Ruanda. Il problema della consegna cosiddetta “dell’ultimo miglio” costituisce del resto uno dei principali ostacoli al sevizio medico dell’intera parte orientale d’Africa, dove semplicemente non esistono le risorse finanziarie e infrastrutturali per condurre a destinazione un carico in tempi utili. Soprattutto a vantaggio di comunità particolarmente problematiche, come quella dell’isola di Ukerewe all’interno del Lago Tanzanica, abitata da oltre 150.000 persone. Per le quali dover attendere anche 4 o 6 ore (rispettivamente, via motoscafo o veicolo stradale) prima di ricevere un approvvigionamento medico stava iniziando a costare un numero eccessivo di vite umane.
Della specifica questione la stampa internazionale non ha quindi più parlato, almeno fino all’inizio di questo mese, quando un’operazione simile a quella di Zipline, ma gestita in maniera indipendente, è stata fatta l’oggetto di un video virale pubblicitario realizzato dalla compagnia del corriere DHL. Niente partecipazione da parte di una giovane startup questa volta, quindi, ma l’opera di concerto di una serie di multinazionali, che hanno collaborato nel creare un sistema di consegne basato su droni di tipo quadricottero a decollo e atterraggio verticale, dal costo unitario evidentemente superiore a quello di un singolo aeroplanino Zip. Ciononostante, data la densità di popolazione superiore di questo stato, l’investimento non può che apparire funzionale allo scopo, mostrando ancora una volta la strada che molti, nel mondo, dovrebbero aspirare a seguire.
Al termine del suo discorso quindi, Rinaudo mostrava orgogliosamente il campo di atterraggio e recupero dei droni presso la propria sede operativa, dove i bambini ruandesi si affollano ogni giorno per assistere alle operazioni di quelle che loro chiamano “ambulanze dei cieli”. È un momento emozionante, in cui le battute e risatine nervose che avevano punteggiato la sua difficile esposizione lasciano il posto a un’espressione seria, mentre il ragazzo poco più che ventenne espone il suo cruccio fondamentale: questi giovani africani, all’inizio di un percorso che condurrà molti di loro verso istituti di studi superiori, sono gli ingegneri e i creativi del futuro. Non esiste un’impegno caritatevole, per quanto ben intenzionato, che possa offrire impiego a 250 milioni di persone. Per questo l’Africa non è soltanto in grado di salvarsi da sola, e lo sta già facendo, ma costituisce un terreno fertile in cui le aziende occidentali possono già investire, con notevoli ritorni dei propri ingenti capitali. Soltanto quando si riuscirà a capire che ogni popolo costituisce una risorsa soprattutto economica, piuttosto che un problema da risolvere o rifiutare, sarà finalmente possibile risolvere alcuni dei più grandi problemi della società contemporanea.