Lo scroscio della cascata all’orizzonte sembrava disegnare un arco elegante puntato verso la sommità della montagna, perfettamente accentuato dalla geometria ornata delle colonne del portico costruito dall’uomo. Poche forze naturali costituiscono un pericolo maggiore della folla inferocita, spinta da un obiettivo comune configurato sulla distruzione di un luogo, tutto ciò che rappresenta e quello che potrebbe diventare in futuro. Soprattutto quando ci si trova, come sperimentato da Marìa Blanco e Carlos Cuervo della Fondazione Granja El Porvenir in un drammatico momento risalente all’inizio degli anni 2000, presso una dimora isolata a strapiombo su un baratro, il cui unico, tenue contatto con la civiltà veniva mantenuto attraverso al serpeggiante strada asfaltata che si estende tra la capitale della Colombia e l’antico sito archeologico di Tequendama, tra le più importanti testimonianze della civiltà precolombiana dei Muisca, che qui costruirono villaggi e santuari scavati nella pietra viva della montagna. Della vecchia Casa del Salto (nota: salto significa cascata) che era stata residenza lussuosa, hotel e infine ristorante, ormai nessuno faceva un uso attivo dalla fine degli anni ’90, quando l’inquinamento del grande fiume sottostante aveva raggiunto un punto tale da emanare un odore putrido e pressoché costante, mentre la gente dimenticava, in assenza d’alternative, uno dei luoghi più affascinanti dell’intera regione. Almeno finché un programma radiofonico in cerca d’ascolti, fin troppo popolare tra i giovani, non iniziò a elencare gli “strani fenomeni” che avevano avuto luogo tra queste insostituibili mura: voci di bambina udibili a tarda sera. L’immagine di una suora che compariva occasionalmente sul balcone. Testimonianze di persone che, dopo essersi avventurate all’interno dell’edificio abbandonato in una sessione di urbex, avevano dimenticato chi erano e dove si trovavano, vagando per molte ore tra le tenebre del piano seminterrato. E con tale vivido coinvolgimento, una tale narrazione era stata proposta al pubblico mediatico dai conduttori dello show, che un gruppo di “coraggiosi” in cerca di svago e avventura si era organizzato per presentarsi alla porta dell’infernale edificio, ignorando che quest’ultimo era stato acquistato, nel frattempo, da un ente non a scopo di lucro che stava cercando finanziamenti per il restauro e trasformarlo in un museo. Ora, nella maniera in cui i due responsabili hanno raccontato l’episodio, non è chiaro il modo in cui sia stata effettivamente disinnescata la situazione. Poiché pare che assieme a coloro che intendevano compiere una seduta spiritica, una parte degli assaltatori avesse il volto parzialmente coperto con un cappuccio nero e minacciasse a chiare lettere di bruciare l’abitazione, se soltanto qualcuno non si fosse affrettato ad aprire immediatamente l’uscio e lasciargli esorcizzare gli spiriti dell’oscura magione. La polizia, se pure chiamata immediatamente, sarebbe giunta soltanto dopo parecchio tempo, in funzione della località isolata della casona mentre sembrava che soltanto un Deus Ex Machina di natura sovrannaturale avrebbe potuto, in qualche modo, salvare la situazione dal degenerare ulteriormente. E forse, chi può negarlo? Che in quel particolare momento, da una fessura comparsa tra le nubi soprastanti il grande Salto, sia comparso lo spirito barbuto dello stesso eroe sovrannaturale il quale, secondo le leggende dei nativi, aveva deviato il corso delle acque per evitare il compiersi di una seconda Atlantide degli altopiani. Soltanto per ordinare con voce imperiosa “Ora basta!” e cambiare, ancora una volta, l’immediato destino di una delle più importanti testimonianze nella storia dei suoi discendenti.
La Casa ebbe origine al principio degli anni ’20, quando la celebre figura del generale, ingegnere e politico Pedro Nel Ospina Vázquez, destinato a diventare nel giro di poco tempo capo di stato della Colombia, decise di aver bisogno di una residenza per le vacanze, dove ritirarsi tra un decreto e l’altro allo scopo di pianificare in santa pace la crescita economica della sua nazione. L’edificio, costruito in un prestigioso stile Repubblicano Francese, reca la firma ufficiale dell’architetto Carlos Arturo Tapias, anche se furono in molti a pensare che molte delle soluzioni impiegate, non ultima tra le quali l’assurda collocazione sul ciglio del vasto canyon di fronte allo spettacolo della cascata, fossero il chiaro frutto della stessa capacità visionaria di El Presidente. Furono gli anni formativi, per la lussuosa villa, durante i quali il ricco possessore vi trasferì la più fantastica collezione di arredi e decorazioni, tenendovi importanti ricevimenti con alcuni dei personaggi più importanti della politica e la cultura di Bogotà. Ma l’incertezza economica tra le due guerre, unita alla sempre difficile situazione amministrativa dei paesi sudamericani, avrebbe posto anticipatamente fine al mandato di quest’uomo nel 1926, portando a riconsiderare l’impiego di molti dei suoi palazzi e proprietà. Tra cui la celebre casona, che visto il posizionamento strategico al termine estremo delle Ferrocarriles Nacionales de Colombia, avrebbe finito per costituire un perfetto luogo di soggiorno dedicato a tutti quei viaggiatori avventurosi che, spinti dalle testimonianze dei primi letterati che avevano sperimentato le meraviglie di questi luoghi, si sentivano pronti a vertiginose escursioni nella valle incantata e l’infinita foresta sottostante. Dovete considerare come, prima che la popolazione di Bogotà aumentasse in maniera esponenziale e con essa il flusso degli scarichi fognari, il fiume ancora non emanava alcun odore sgradevole, lasciando questo luogo incontaminato come una sorta di punto di contatto privilegiato con la natura. L’atmosfera dell’hotel continuava a presentarsi, nonostante questo, come altamente ricca e formale, con camere dal costo elevato, mentre ci si aspettava un certo livello di abbigliamento e status sociale da parte dei visitatori. Con il progredire verso la metà del XX secolo, tuttavia, le cose iniziarono gradualmente a cambiare e l’hotel ad assumere un alone tenebroso di cui suo malgrado, non sarebbe mai più riuscito a liberarsi.
Del vecchio hotel, un poco alla volta, non rimase quasi più nulla, mentre la Casa del Salto veniva gradualmente trasformata in semplice luogo di ristoro per i viaggiatori, poi neanche più quello. La gente, tuttavia, continuava a recarvisi, con un obiettivo particolarmente drammatico e cupo: togliersi la vita. Pare infatti che per gli oltre 8 milioni di abitanti della capitale nazionale, non fosse semplicemente possibile concepire un luogo migliore da cui gettarsi nel vuoto che il baratro di 157 metri sopra un letto di pietre acuminate che costituiva la riva del fiume stesso, perfettamente visibili dall’area di parcheggio del celebre edificio. Con una curva di accrescimento che raggiunse l’apice attorno agli anni ’70 e ’80, periodo di più lungo abbandono dell’edificio, le autorità arrivarono ad istituire una ronda di sorveglianza lungo la strada di montagna, per prevenire o in qualche modo ridurre le vittime, mentre praticamente ogni settimana veniva rinvenuto nel fiume il corpo di una persona rimasto disoccupata, abbandonato dal suo amore o a cui era stata diagnosticato un qualche malattia incurabile. Nonostante questa precauzione, i salti nel vuoto continuarono ad essere effettuati, a partire dai promontori vicini o lo stesso dislivello della cascata, spesso accompagnati da elaborate note lasciate in versi sul ciglio dello strapiombo, oppure custodite nelle tasche del defunto stesso. Le quali, secondo alcune teorie locali, venivano tutte in realtà scritte da una figura di ex-giornalista dallo pseudonimo di Rodrigo Arce, successivamente fermato e interdetto dalla polizia. Ma era ormai troppo tardi, mentre l’hotel era diventato famoso con il nome di “casa della Morte” e lo specchio d’acqua situato in fondo all’antico bacino della cascata di Tequendama, con chiara continuità d’intenti, “lago della Morte”.
Destinata a cadere in rovina tra l’indifferenza e in taluni casi, l’attiva diffidenza degli abitanti della zona, la Casa del Salto vide invece cambiare radicalmente il suo futuro nel 2013, quando un’insperato stanziamento di fondi per l’ammontare di 400.000 dollari da parte dell’ambasciata di Francia, assieme all’investimento della Fondazione Granja El Porvenir e con la collaborazione dell’Università Nazionale della Colombia, non permise d’intraprendere un complesso progetto di recupero dell’edificio, allo scopo di ripristinare il suo antico ruolo di destinazione turistica di primo piano. La villa sarebbe diventata nell’immediato periodo a seguire, dunque, Casa Museo Salto de Tequendama Biodiversidad y Cultura, uno spazio espositivo mirato a far conoscere le molte meraviglie naturali e biologiche delle foreste colombiane, coadiuvate da un breve excursus sulle poche notizie di cui disponiamo a proposito della civiltà Muisca e dei suoi usi e costumi. Tra cui la storia richiamata poco sopra dell’eroe divino Bochica, talvolta paragonato a Mosé per la lunga barba di cui parlano i frammenti coévi, che secondo le narrazioni orali sarebbe intervenuto in un’imprecisata epoca preistorica, per creare con un solo colpo del suo bastone magico le cascate di Tequendama (in lingua Chibcha: “ciò che precipita verso il basso”) drenando l’acqua piovana che si stava accumulando nei territori abitati della sua stessa benamata civiltà. Detto questo, resta chiaro come l’interesse nei confronti di una storia remota e quasi dimenticata costituisca un aspetto minore del nuovo flusso turistico nei confronti dell’intera località, più celebre in funzione della sua magnifica vista, nonostante l’odore notoriamente sgradevole che aleggia non appena l’umidità supera una certa soglia di sicurezza. Questo perché, come afferma la rivista Arcadia nell’epoca dei selfie e dei social network, ciò che interessa principalmente alla gente della nostra epoca è fare foto da pubblicare online. E le foto, per definizione, non possiedono alcun odore.
Perciò, vi ricorda niente tutto questo? Un patrimonio storico non particolarmente antico ma certamente insostituibile, sopratutto in funzione delle sue caratteristiche implicite e inerenti. Tanto prezioso da non poter essere letteralmente toccato, lasciandolo quindi all’edera, alle formiche, alle rondini e ai pipistrelli. Persino noi italiani, che nella nostra assolata penisola non abbiamo mai dovuto sperimentare il costo di uno scambio di civiltà con conseguente cancellazione di tutto ciò che era venuto prima, di luoghi come questo ne abbiamo conosciute svariate migliaia. E non è sempre facile, nella regione o nell’epoca dell’abbondanza, ricordare quali siano i confini di quello che andrebbe, oppure dovrebbe essere preservato. Come nell’espressione: “natura splendida e incontaminata” che sembra relegare al mondo delle “contaminazioni indesiderate” praticamente ogni cosa sia fatta di calce, mattoni e possieda finestre di forma quadrangolare.
Non che al fiume Bogotà, successivamente usato come scarico fognario da un’intera metropoli, sia andata molto meglio. Ma appare chiaro che se l’augusta casa, ancora oggi, fosse stata una residenza estiva del presidente della Colombia, le cose avrebbero preso tutt’altra strada. Oppure, magari no. Dopo tutto, chi può realmente interpretare il vero scopo recondito dei grandi volti barbuti, che fanno la loro comparsa nel cielo terso di un tropicale mattino…