Dopo aver familiarizzato con il terzo pianeta della stella Sol-1, ci rendemmo ben presto conto di qualcosa d’inaspettato. Contrariamente a quanto ci aspettavamo sulla base del nostro luogo di provenienza, in questo luogo la vita riusciva a prosperare praticamente ovunque. Esiste un luogo estremamente rappresentativo di tutto questo, che i nostri scienziati scelsero di chiamare piano mesolitorale, in cui la più impressionante massa d’acqua che voi possiate riuscire a immaginare (“oceano o “mare” che dir si voglia) incontra un territorio granulare generato dall’erosione dei minerali a base di silicati (“spiaggia”). Questo habitat surreale viene alternativamente colpito direttamente dalle radiazioni stellari, oppure inondato per l’effetto gravitazionale del grande satellite in cielo (“Luna”) creando l’equivalente di un tormento invivibile dove nessuno di noi potrebbe resistere per più di pochi minuti. Eppure, proprio qui riesce non soltanto a esistere, bensì prosperare la più impressionante collezione di mostruose creature. Vermi oblunghi dalla forma appiattita, dotati di una pletora di minuscoli peli locomotori (“turbellaria“); letterali sacche tentacolari composte da uno stomaco sovradimensionato, capaci di estrarre il nutrimento dal fluido che le circonda (“cnidaria“); esseri a otto zampe in grado di saltare e afferrare le proprie vittime con gli appuntiti cheliceri (“acari”); quadrupedi corazzati dall’espressione perennemente accigliata, capaci di resistere a qualsiasi tipo di radiazione spaziale o impatto accidentale (“tardigradi”). E che cosa direste a questo punto, miei cari amici Centauriani, se vi dicessi che c’è una creatura talmente grande e potente da riuscire a dominare su tutto questo, facendone il proprio cibo prediletto?
Di certo, è tutta una questione di dimensioni. Se la “Terra” fosse ancora abitata, nella maniera in cui abbiamo avuto modo di desumere, da esseri intelligenti alti all’incirca 160-210 cm, talmente grandi da poter ospitare una delle nostre astronavi sul palmo di una singola mano, tutto questo sarebbe sembrato loro poco più di un interesse passeggero, approfondito unicamente dagli studiosi che crearono l’arcana terminologia fin qui utilizzata. Ma questo “granchio” ai nostri occhi, non può che apparire come l’espressione più terribile di una belva completamente spietata. Il nostro primo contatto con la creatura avvenne all’incirca attorno alla seconda settimana dall’arrivo, dopo aver stabilito una base operativa e inviato gli esploratori a creare un perimetro difensivo. La capsula gravitazionale, in quel momento fatidico, scorse qualcosa d’inaspettato: nella cosiddetta “spiaggia” compariva un pertugio tenebroso dalla forma perfettamente circolare, evidente creazione artificiale di qualcuno… O qualcosa. Eccitati per la scoperta, i militari decisero quindi di sostare per qualche tempo a mezz’aria, puntando i loro cannocchiali verso la strana caratteristica del terreno. E fu allora che sotto i loro occhi spalancati, una pinza colossale, seguita dal carapace indistruttibile del terrore di queste terre, cominciò ad emergere con un movimento lievemente rotatorio. Estratte i rimanenti nove arti, tra cui l’altro simmetricamente conformato come un’arma d’offesa invincibile, la bestia ricadde pesantemente sulla sua schiena. A quel punto venne percorsa da una sorta di tremore, prima di voltarsi con un rapido volteggio e iniziare una lunga camminata. Ciò che apparve chiaro, a quel punto, agli osservatori, era che lo scopo di tale essere consisteva nel fagocitare cambiarla “sabbia”, cambiarla e sputarla fuori. Cambiarla profondamente nel suo modo di presentarsi al mondo…
Dallo studio filologico delle leggende dei precedenti “umani” i nostri decodificatori di lingue perdute hanno trovato narrazioni relative alla figura di Sisifo. Un peccatore condannato alla punizione postuma del locale Inferno, trasportando faticosamente una pietra sulla cima di un ripido pendìo nel corso della giornata, per poi ritrovarsi pungolato da un demonio ad opera compiuta, affinché l’oggetto possa tornare al punto di partenza e lui possa ricominciare da capo. L’opera di questi “granchi appallottolatori” ricorda in un certo senso tale leggenda. Poiché le creature in questione, inserite in famiglie tassonomiche come scopimera e dotilla, per riuscire a nutrirsi delle molte forme di vita del piano mesolitorale necessitano di fagocitare letteralmente quantità spropositate di sabbia (proprio così: questi mostri inimmaginabili mangiano i silicati) risucchiandone via il contenuto, per poi risputare fuori la materia che non sono in grado di digerire. Il risultato è, per ciascun boccone, una sfera ragionevolmente regolare.
Ora preparate la vostra immaginazione, poiché quanto sto per descrivere non ha pari nell’intero universo da noi visitato nei nostri viaggi millenari. Le spiagge terrestri possono estendersi per molti chilometri (unità di misura grossomodo corrispondente a 9.999 uptolarg) risultando abitate da migliaia, se non milioni di ognuna delle creature sin qui descritte. Inclusi i feroci granchi, che al ritirarsi dell’acqua, fuoriescono tutti assieme dalle loro buche. In termini Centauriani, potremmo definirli simili a un’armata che prepari barricate sul campo di una battaglia imminente, mentre accumulano le palline così attentamente prodotte tutto attorno all’ingresso del proprio rifugio sotterraneo. Considerate a tal proposito che la quantità di sabbia appallottolata da ciascun granchio è estremamente elevata, questo perché il contenuto di creature commestibili al loro interno è relativamente poco significativo. In funzione di tale aspetto col procedere di una giornata di lavoro, le spiagge dei loro luoghi di appartenenza vengono letteralmente ricoperte dalle arcane sfere, disposte dai granchi con un apparente ordine che pare suggestivo di cerchi, spirali o figure geometriche simili a quelle di una stella. Quindi, con il ritorno inevitabile dell’alta marea, tutto sparisce di nuovo, riportando la spiaggia allo stato originario. Ma i granchi a quel punto tornano al sicuro, dentro la tana. Pronti a riemergere e ricominciare da capo, non appena l’acqua provvederà a ritirarsi di nuovo.
Molti sono gli interrogativi sollevati dalla quantità apparentemente infinita di forme di vita appartenenti al patrimonio terrestre. Quale processo evolutivo ha potuto creare questi assurdi granchi? Come è stato possibile, per i primi esemplari riconoscibili come appartenenti a una tale specie, sopravvivere in un luogo che è talvolta coperto d’acqua, altre volte completamente esposto all’aria? Almeno a quest’ultima domanda, possiamo rispondere: i granchi delle famiglie Scopimera e Dotilla infatti, come dimostrato in uno studio del 1986 di David P. Maitland della South Wales University, possiedono delle particolari zone traspiranti sulle proprie zampe, utilizzate dall’organismo per ossigenare il sangue. Grazie alle quali, in aggiunta ai tipici accorgimenti dei granchi anfibi, tra cui mantenere le branchie umidificate grazie alle ciglia che le circondano, gli è possibile sopravvivere fuori dall’acqua per un tempo di molte ore, per non dire addirittura, giorni interi. Non che una simile esigenza si presenti, molto spesso, come possibile programma delle loro giornate.
E con questo, la trasmissione interstellare n. 769.236 è giunta alla sua conclusione. Se gli umani esistessero ancora su questa Terra, non ne conserviamo alcun dubbio, essi avrebbero molto da aggiungere sulle “minuscole” creature da noi descritte. La vita per loro doveva essere un paradiso, senza aver mai sperimentato il terrore di essere presi nella rete di un ragno, cercati dal becco di un passero o inseguiti da un famelico ratto peloso, più imponente di un carro armato. Forse i giganti avevano altri problemi, necessità per le quali scelsero, loro malgrado, di sterminarsi a vicenda con l’uso di esplosivi, armi di distruzione e veleni di vario tipo. Quali fossero, tuttavia, non l’abbiamo scoperto. Forse era destino che l’universo, ora e sempre, dovesse appartenere ai più piccoli. Capaci di funzionare in maniera sinergica con la natura. Piuttosto che dominarla col pugno di ferro di chi è portato, per nascita, a considerarsi un tiranno tra tutti gli esseri, uguale, o persino superiore al suo stesso Creatore.