Sarebbe certamente irrispettoso paragonare il complesso sistema di processi chimici, biologici e termodinamici alla base della vita di un uccello allo scatto di una molla tra ingranaggi meccanici, cuore funzionale di un giocattolo alimentato coi metodi di un tempo. In un mondo in cui il divertimento, per grandi e piccini, è sempre maggiormente interconnesso a pixel digitali luminosi che s’inseguono da un lato all’altro del display del cellulare, mentre i neuroni del cervello umano tentano d’interpretarli come pesci ed astronavi, scegliere di far passare il tempo traendo svago da un curioso movimento, avanti e indietro, avanti e indietro avanti e… Questo ed altro, può succedere, a coloro che hanno la passione delle cose vere. Poiché sanno che il sincero senso della meraviglia non è sempre virtuale. Ma tangibile, come il soffio lieve delle penne trasportate via dal vento, assieme al loro aviario e avìto possessore. Picchio, sulla base della propria discendenza. Eppur non picchio, genetica a parte, perché vive in modo totalmente differente. Zampettando in terra, piuttosto che attaccato agli alberi, senza fare nessun buco ma cercando quello di altre specie. Ed infilando la sua lunga lingua appiccicosa nelle tane di formiche ed altri insetti. E quando tu dovessi scegliere di sollevarlo, prenderlo in mano e metterlo dinnanzi all’obiettivo della telecamera, trasformarsi nella bestia che più d’ogni altra è il segno del terrore degli uccelli; un sibilo strisciante, sempre semovente, subdolo serpente.
Certo, il suo metodo recitativo è largamente aperto a una pluralità d’interpretazioni. Così gli antichi, fin dall’epoca in cui i greci erano soliti chiamarlo iunx, piuttosto che l’astuto mimetismo in tutto questo erano soliti vedere il metodo mistico per fare un qualche tipo di stregoneria. Al punto che il termine in lingua inglese jynx (maleficio) ha una provenienza etimologica che permette di ricondurlo fino a questi volatili, il cui areale migratorio si estende per buona parte d’Europa, l’Asia Occidentale e la parte nord dell’Africa; in epoca medievale, quindi, diventò diffusa la credenza secondo cui legare una di queste creature a un lungo spago, lasciandola volteggiare sulla testa del bersaglio del nostro amore, avrebbe in lei o lui indotto sentimenti equivalenti e irresistibili, senza neppure far ricorso a costosi filtri o altri metodi da fattucchiera. Nome scientifico: Jynx Torcicollis. Ma voi chiamatelo, se preferite, semplicemente torcicollo. Questo è un uccello piuttosto comune in Italia, eppure non così noto tra il pubblico generalista. Poiché prima di conoscere il suo curioso atteggiamento difensivo, benché simpatico e aggraziato, non pare dimostrare alcuna caratteristica particolarmente distintiva. Uccello snello della lunghezza di 16 cm circa, con una cresta poco pronunciata e colorazione criptica marrone chiaro a macchie, restituisce un’impressione che lo fa assomigliare maggiormente a un tordo piuttosto che ai suoi cugini picchi, famosi per il piumaggio dai fantastici contrasti bianchi, neri e rossi. La coda è tonda e corta, senza le rigide piume concepite per bilanciarsi verticalmente mentre si scala la superficie ruvida di un tronco. Questo perché l’attività di foraggiamento tipica del simpatico volatile, nei fatti, si configura come quella di un comune passero e piccione, mentre percorre saltellando le verdeggianti radure dei boschi o i frutteti, alla ricerca dei piccoli artropodi o vermi di cui si nutre. Il becco è lungo e a forma di cono, ma non appuntito quanto quello di chi si organizza per sopravvivere scavando all’interno del legno degli alberi stessi. Per quanto concerne il nido, d’altra parte, il torcicollo è solito adottare un atteggiamento fortemente opportunista. Trattandosi di un uccello che non ha mai imparato, attraverso la sua lunga evoluzione, a raccogliere rametti ed intrecciarli in corrispondenza dei rami, la sua propensione è quella di trovare una cavità precedentemente abbandonata da altri picchi e deporvi all’interno le proprie 7-10 (fino a 12) uova. Eppur nel caso in cui una tale opportunità dovesse mancare di presentarsi, non perdendosi affatto d’animo, maschio e femmina saranno pronti a collaborare per prendere letteralmente d’assalto la tana arboricola di qualcuno di più piccolo, scacciando i genitori e scaraventando uova e pulcini oltre il baratro della non-esistenza. Per questo stiamo parlando di un uccello che fu sempre associato, nell’immaginario comune, allo spietato cuculo con i suoi metodi da parassita genitoriale, benché a voler essere pignoli, il crimine costituisca per lui soltanto l’ultima risorsa, piuttosto che l’abitudine. Perché non si può sempre interpretare il ruolo del serpente, senza scivolare, almeno una volta, nella rettiliana insensibilità dei processi cognitivi applicati alla convenienza…
Al genus Jynx appartengono, nei fatti, due specie chiaramente distinte. La seconda delle quali è detta torcicollo africano o dal collo rosso (J. ruficollis) in funzione del suo habitat, situato al di sotto dell’Africa sahariana. Uccello non migratore che resta per tutto il corso della vita nella sua savana, a differenza della controparte nostrana, il ruficollis condivide almeno con lui il caratteristico richiamo acuto e ripetitivo, vagamente simile a quello del picchio rosso minore. Un suono che può essere reso con l’espressione quee-quee-quee-quee e che tende a diventare progressivamente meno udibile mano a mano che l’uccello si sente in pericolo, lasciando il posto ad una sorta di sibilo utile ad accrescere l’illusione di trovarsi di fronte a un pericoloso serpente. Certo, difficilmente un essere umano potrà cadere in questo approssimativo inganno. Ma che dire di uccelli rapaci, mammiferi predatori e perché no, altri rettili? Le creature del mondo naturale tendono a basare le proprie impressioni sul movimento. E come tutti coloro che devono fare affidamento soltanto sulle loro forze per sopravvivere, tendono a diffidare delle cose che non risultano immediatamente chiare. Tutto quello che deve fare per sopravvivere il picchio, è indurre il legittimo (ss-serpeggiante) sospetto, piuttosto che l’assoluta certezza. E in questo, possiamo ben dirlo, è un maestro formatasi sulle alterne strade della vita.
Dal punto di vista della conservazione, nessuna delle due specie è attualmente considerata a rischio in funzione della capacità di proliferazione e nel caso del torcicollo eurasiatico migratore, l’enormità del suo areale. Alcuni studi condotti per conto dello IUCN (l’indice internazionale delle specie ha rischio) hanno tuttavia dimostrato una popolazione complessivamente in calo, per il progressivo ridursi degli ambienti idonei alla prosperità della specie. E questo nonostante stiamo parlando di un uccello che s’integra bene con lo stile di vita umano, pur continuando a necessitare di ampie zone boscose in cui trovare, o sottrarre l’altrui nido. In Svizzera, ad esempio, l’habitat ideale è stato individuato negli albereti di pere, preferibilmente con la presenza di vaste colonie di formiche. Un contesto nel quale la presenza di simili visitatori pennuti, che non danneggia in maniera significativa gli alberi, è vista come un’ottima contromisura naturale contro l’insorgere d’infestazioni d’insetti o ben più problematici parassiti. Un’altro dei cibi preferiti da questi uccelli sono infatti gli afidi delle piante, di cui fanno incetta rimuovendoli uno ad uno dalle fronde stesse del proprio “condominio” d’adozione. Una fame, questa, che gli ha insegnato anche a catturare insetti volatili nel corso delle proprie trasvolate alla maniera di un’agile rondine, attraverso una tecnica di manovra che viene generalmente definita come lenta ed ondulatoria, seguita da rapide picchiate verso il basso. Il tempo necessario perché i piccoli acquisiscano la capacità di volare e conseguente indipendenza si aggira sui 20 giorni appena, seguiti dall’immediato recupero dell’indipendenza da parte di padre e madre, che si separano immediatamente. Almeno fino all’arrivo della prossima stagione degli amori.
Nient’altro che un’ulteriore applicazione di quella tecnica universale che prende il nome di mimetismo batesiano, dunque: sembrare un organismo diverso per trarne immediato beneficio. Come gli occhi sulle ali delle farfalle, i ragni con l’addome a strisce ispirato alle vespe o il cuculo-falco (Hierococcyx varius) la cui linea aerodinamica è concepita per ricordare quella del rapace shikra (Accipiter badius) diffuso in Africa ed Asia. Per incutere nei propri oppositori una ragionevole dose di sano e scaglioso terrore. Non è forse vero che tutti gli uccelli, dopo tutto, discendono dai dinosauri?
Secondo la cognizione chiaramente definita dal naturalista inglese Henry Walter Bates (1825-1892) il quale senz’altro conosceva, dagli scritti di Linneo e le proprie probabili osservazioni personali, l’approccio particolare alla recitazione messo in pratica dalle due varianti dell’uccello jynx, simili tratti comportamentali diventano ereditari attraverso le generazioni, venendo quindi trasmessi assieme ai geni alla successiva nidiata dei formidabili ladri di spazio vitale al di là della corteccia. Eppure sarebbe difficile non cedere, almeno per un attimo, all’idea molto umana secondo cui l’uccello imita la serpe, perché “sa” o “capisce” che gli conviene. Il che lascerebbe presumere almeno un lieve intento di prenderci in giro, in quegli occhietti scintillanti e carichi di sottintesi. Mentre con la testa rovesciata al contrario, l’espressione gioconda ma indecifrabile, osservano attentamente l’enorme massa tremula dei propri temporanei catturatori.