Costituisce una verità ampiamente dimostrabile, la tendenza diffusa a generalizzare in materia d’insetti gialli e neri dotati di ali che producano il caratteristico ronzio. D’altra parte, ciò fa molto spesso il loro gioco, considerando il concetto stesso di colorazione aposematica, una pigmentazione del corpo finalizzata a suscitare l’immediato senso di diffidenza e un profondissimo timore, nel ricordarci la potenziale pericolosità della sostanza inoculata da questi animali: un cocktail di istamina, dopamina, norepinefrina e molte altre sostanze chimiche, combinate con modalità tali da causare uno shock sistemico nella creatura soggetta alla puntura del caso. Eppure esistono diversi gradi di pericolosità, non tanto dovuti alle dimensioni e conseguentemente la quantità che viene inoculata, quanto al comportamento e l’indole delle diverse specie, oltre alla quantità di membri appartenenti allo sciame con cui ci si ritrova, nostro malgrado, ad avere a che fare. Si dice che le api, in particolare, pungano soltanto per autodifesa, a causa del triste testino a cui vanno incontro successivamente all’uso del pungiglione. Mentre in effetti, un simile pericolo risulta largamente ignoto tra i loro semplici ricordi, sopratutto considerando come la puntura ai danni dei loro prototipici bersagli, principalmente altri insetti o aracnidi assalitori, possa permettere la facile estrazione dell’arma evitando quindi l’intrappolamento e conseguente morte dovuti alle qualità elastiche della pelle umana. Per quanto concerne le vespe propriamente dette poi, l’attacco ai creature comparabilmente gigantesche come noi siamo avviene soltanto in casi assolutamente disperati. La consegna nell’organismo della vittima, con conseguente necessità di rimpiazzare il contenuto delle ghiandole velenifere è del resto piuttosto dispendioso per l’animale, che ricorrerà a questo tipo di risposta soltanto quando ritiene a rischio la continuazione della sua vita o l’integrità del suo nido nell’immediato futuro. Ragione per cui l’indicazione dell’effettivo grado di pericolosità di un volatore venefico va individuata idealmente nel suo corredo genetico di comportamenti, ovvero quanto sia frequente in esso la cognizione di trovarsi all’ultimo stadio della propria disperazione esistenziale.
Tutto questo per dire che non è poi così terribile. Non tanto odioso. O sconvolgente. L’episodio di aprire la finestra, scostare le tende e vedersi entrare in casa un calabrone. Vespa Crabro, il più imponente imenottero europeo dopo la scolia dei giardini (in inglese detta mammoth wasp) nonché assai più frequente di essa, eppure dall’indole notoriamente pacifica persino quando si trova in prossimità del proprio nido. Forse proprio perché, vista la sua dimensione in grado di raggiungere facilmente i notevoli 2 centimetri e mezzo, non incontra spesso nel suo ecosistema miniaturizzato qualcuno che possa minacciarla in maniera diretta. Aggiungete a ciò il fatto che una simile creatura, a differenza del calabrone giapponese (Vespa Mandarinia) con cui viene talvolta confuso, non ha l’abitudine di prendere d’assalto gli alveari ricolmi di miele, ed avrete il quadro di una creatura piuttosto pacifica, nonostante le apparenze possano facilmente tranne in inganno. Assai diverso è invece il caso della tipica minaccia tedesca (Vespula germanica) riconoscibile per i due puntini equidistanti sulla parte frontale del clipeo (la sua insettile “faccia”) e l’abitudine a costruire i propri nidi sotto terra, all’interno di un buco nel terreno, per poi attaccare in massa chiunque sia tanto stolto da passare di lì. È in effetti ampiamente nota, per simili insetti eusociali capaci di costituire vaste colonie, l’abilità di secernere un particolare feromone, capace di trasmettere il segnale d’attacco in massa nei confronti del presunto assalitore. Causando spesso delle conseguenze anche piuttosto gravi. Forza e razionalità dell’individuo, contro l’odio collettivo del branco. Chi mai potrà vincere un simile confronto?
A porsi la domanda, fornendoci la ragionevole approssimazione di una risposta scientifica, ci pensa l’esperto di fotografia naturale Lothar Lenz, famoso per le sue molte inquadrature della regione tedesca dell’Eifel, dove negli ultimi tempi sembra aver messo in disparte la sua passione di lunga data per i cavalli, allo scopo di rivolgere il proprio obiettivo verso tutto ciò che perlustra, ronza e accudisce attentamente le proprie uova. Verso la realizzazione di video come questo d’inizio settembre, in cui si assiste al montaggio dei momenti migliori conseguiti dall’osservazione per qualche ora di apposite esche, composte da pezzetti di carne, piccole quantità di miele ed acqua zuccherina. Disposti ad arte presso i confini del bosco. Il cui paradisiaco effluvio, senza colpo ferire, si dimostra ampiamente in grado di attirare praticamente ogni cosa gialla e nera nel raggio di svariate centinaia di metri, creando ben presto, le inevitabili ragioni di un piccolo ma agguerrito conflitto.
Prima di rispondere alla domanda contenuta nel titolo, dunque, permettetemi di porre un quesito accessorio. Le vespe e i calabroni capiscono l’altruismo? In un sistema collaborativo in cui ciascun esemplare ha un ruolo perfettamente definito, dal procacciare il cibo a selezionare le larve, fino al fondamentale scopo di accoppiarsi con la regina, la risposta più ovvia sembrerebbe essere del tutto affermativa. Mentre il problema, chiaramente, non può che verificarsi all’incontro tra esponenti di diversi alveari, oppure come nel caso in questione, addirittura specie completamente distinte. Casistica in cui viene meno la programmazione genetica dell’ideale comunismo artropode, lasciando il posto al comportamento di letterali cani rabbiosi, disposti a qualsiasi forma di violenza pur di accaparrarsi fino all’ultimo scampolo di cibo. Questo è ciò che poteva anche farci prevedere l’intuito, e questo è quello che Lenz riesce chiaramente a dimostrare, con la sua ripresa macrofotografica delle invitate al luculliano banchetto. Ecco come finirà per presentarsi la scena, dunque, nel giro di pochi minuti: il calabrone solitario, al centro del turbinio volante, che sugge o mastica il prezioso dono da parte dell’umano, mentre successive ondate di vespe germaniche tentano d’insinuarsi ai margini del suo campo visivo. Andando incontro, l’una dopo l’altra, allo stesso spiacevole destino di essere agguantate, morse, punte o gettate da una parte, causa l’intervento della loro nerboruta oppositrice.
Ed è allora che emerge, evidente, una delle principali differenze tra api e vespe: l’incapacità, da parte di quest’ultime, di collaborare in maniera istintiva, almeno senza fare ricorso all’impiego del sopracitato sistema dei feromoni “di uccisione” rilasciati nel momento in cui sussiste una minaccia nei confronti del nido. Forse a causa dell’efficacia del loro veleno nella maggior parte dei casi, oppure per il fatto che non dovendo fare la guardia a copiose quantità miele, capita raramente di trovarsi di fronte a un avversario realmente degno della loro virulenza e aggressività, le vespe attaccano ordinatamente sotto l’occhio della telecamera soltanto una alla volta, un po’ come fossero le creature fantastiche di un videogioco delle serie Final Fantasy o Dragon Quest. Il che permette, ad un oppositore come la possente V. crabro, di sconfiggerle e metterle facilmente da parte, riuscendo così ad ottenere il predominio assoluto su fonti tanto limitate, e all’apparenza transitorie, di cibo. Ciò che ne risulta è un susseguirsi di scene altamente spettacolari, in cui le piccole vespula cercano a più riprese di acquisire un posto a tavola, mentre la bulla color giallo paglierino continua a spodestarle una dopo l’altra, senza far economia di mosse degne di un incontro di wrestling televisivo. Soltanto al secondo 0:47 è possibile rinvigorire la nostra fiducia nella potenziale pace inter-specie, quando vediamo entrare dalla parte destra dell’inquadratura una singola rappresentante della specie Polistes dominula, anche detta vespa della carta per la sua abilità nel costruire piccoli nidi sospesi composti nella massima parte di cellulosa. La quale, nonostante le dimensioni maggiori e l’effetto inevitabile di timore che incute nei confronti delle bistrattate cugine, non sembra presentare la stessa aggressività del rabbioso calabrone. Soltanto verso la fine del primo video, dunque, è possibile vedere la poderosa guerriera reagire a quella che può soltanto essere una puntura andata a segno, a causa delle evidenti difficoltà motorie. Pochi istanti dopo, ad ogni modo, la tiranna ricomincia a mangiare. Chissà quanto veleno servirebbe, per porre fine al suo incommensurabile appetito…
C’è un momento, soltanto un fugace attimo in cui le vespe germaniche sembrano aver messo in opera la soluzione tipica delle api giapponesi (Apis cerana japonica) per annientare il loro nemico sovradimensionato di quelle terre: sovrastarlo letteralmente coi loro corpi, agitando le ali per surriscaldarlo e stritolarlo quindi senza un briciolo di pietà. Ma al diradarsi del capannello striato, appare fin troppo evidente che il calabrone si era in realtà spostato da tempo, mentre le vibrazioni degli addomi erano prodotte semplicemente dal movimento continuo delle mandibole, usate per fagocitare fino all’ultima goccia di miele. Finché l’imponente vessatrice, senza colpo ferire, potrà tornare sul luogo del buffet, facendosi nuovamente il vuoto attorno.
Il problema di animali dotati di funzioni del ragionamento tanto limitate, è che essi risultano essere straordinariamente abitudinari. E questo nei confronti non soltanto della loro routine quotidiana, bensì addirittura quella dei loro genitori, dei nonni e dell’intero cursus genetico, fino alla remota esistenza dell’antenato comune. Tutte le vespe, in funzione di questo, sono programmate per una serie di situazioni. Che non prevedono, normalmente, il confronto con altre appartenenti alla loro stessa famiglia. È per questo che a vincere per acquisire il predominio in una situazione artificiale di questo tipo, sarà sempre la più grande e forte a trionfare sul popolo, guadagnandosi l’accesso esclusivo al cibo. Chiamiamola, se vogliamo, la dura legge delle metaforiche giungle che ricoprono la regione dell’Eifel. Anch’esse popolate da una diversa, ed assai più agguerrita, varietà di zebra.