Gli echi di Dunnottar, castello contro cui s’infrangono le onde della Storia

Navigare attraverso le gelide acque del Mare del Nord, saccheggiando villaggi e monasteri lungo l’intera costa dell’isola d’Inghilterra. Esplorare in lungo e in largo, attraverso una conoscenza delle stelle che possiamo soltanto iniziare ad ipotizzare. E sconfiggere le armate dei Sassoni, dei Danesi, persino del solo ed unico imperatore di Frankia. Tra tutte le imprese mitiche dei Vichinghi, tuttavia, c’è n’è una che pare esulare dal regno stesso del possibile, entrando nella più pura regione del mito: annientare, durante le loro campagne in Scozia del 900 d.C, le forze militari del rí Alban Domnall mac Causantín, quello che oggi potremmo definire il sovrano di quelle terre. Questo poiché egli, secondo le cronache coéve possedeva un castello, le cui mura imprendibili avrebbero potuto rivaleggiare con alcune delle invenzioni architettoniche più creative di George R. R. Martin, l’autore letterario de Il Trono di Spade. Costruito in cima a una scogliera a picco sul mare come Roccia del Drago, e accessibile lungo uno stretto sentiero di montagna, allo stesso modo del Nido dell’Aquila (con tanto di abisso in gettare i prigionieri!). Strategicamente rilevante quanto le Torri Gemelle, eppure oggi in rovina come Harrenal, il luogo in cui la giovane Arya Stark incontrerà, nel romanzo, il suo futuro insegnante nelle arti notturne dell’assassinio. Eppure all’epoca dell’alto Medioevo effettivamente esistito, la guarnigione di questo luogo doveva essere formidabile, se è vero che ancora 34 anni dopo, lo stesso grande sovrano Athelstan, primo unificatore delle genti d’Inghilterra, avrebbe fallito nel catturarlo di nuovo, dovendo a malincuore lasciarne il controllo alle feroci genti del Nord.
E sarebbero passati altri due secoli prima che un tale luogo, secondo alcune legende sacro per la presenza di una cappella sotterranea costruita da San Ninniano di Whithorn circa 300 anni dopo la nascita di Cristo, tornasse nuovamente in possesso delle genti di Britannia, attraverso le mire espansionistiche del re di Scozia Guglielmo I, detto non a caso il Leone, che proprio qui avrebbe costituito a partire dalla seconda metà del XII secolo il centro amministrativo dell’intera regione dei Mearns (oggi il Kincardineshire). Di nuovo conquistata pagando il prezzo col sangue degli uomini coraggiosi, nel 1297 la fortezza diventa quindi un obiettivo fondamentale delle guerre d’indipendenza scozzesi, famosamente attaccata, con successo, dall’eroe William Wallace, che una volta catturati gli ultimi strenui difensori li fa radunare tutti all’interno della cappella. E secondo alcuni storici dal punto di vista particolarmente cupo, gli da fuoco. Proprio mentre il barone di Roslin tornava per ricostituire le difese su ordine del re inglese Edoardo III, quindi, il reggente di Scozia Sir Andrew Murray assale nuovamente queste possenti mura. Restituendole, finalmente, al popolo che tanti secoli prima le aveva edificate. Dopo un breve incidente di percorso da parte del Maresciallo di Scozia William Keith, che riceve il controllo il castello e il titolo attraverso un’unione dinastica con la nipote di Roberto I detto the Bruce, finendo per costruire il suo torrione proprio sopra l’antico sito della cappella di San Ninniano, e una frettolosa lettera indirizzata a papa Benedetto XIII per far revocare la conseguente scomunica da parte delle autorità ecclesiastiche locali, inizia finalmente la fase di ammodernamento e fortificazione che avrebbe concesso a questo sito il bastione invincibile che avrebbe sempre dovuto essere. Una sorta di punto fermo, destinato a costituire lo scenario d’innumerevoli importanti episodi nella storia di Scozia e Inghilterra…

Benché ormai in rovina, le mura del castello di Dunnottar appaiono intrise di un fascino antico e incrollabile, pervasivo quanto il muschio che tenacemente si aggrappa all’intercapedine di quelle vecchie pietre.

Le aggiunte architettoniche da parte della famiglia Keith, continuate fino al XVIII secolo, avrebbero incorporato l’alto e invalicabile portale con saracinesca, posizionato in cima a un ripido sentiero lungo 800 metri sul fianco della scogliera, difeso da una grande quantità di feritoie ed una quantità minima, in ogni momento storico successivo, di almeno quattro cannoni di bronzo. Il passaggio murato che conduce all’ingresso compie quindi una stretta svolta a sinistra, che conduce i visitatori proprio sotto il torrione principale. Dal punto di vista architettonico, quest’ultimo mostra una pianta larga e solida, ben diversa dalle alte torri caratteristiche dei castelli scozzesi e apparentemente influenzato dalle fortezze del meridione britannico, concepite in quegli anni per resistere al fuoco della più formidabile artiglieria di epoca rinascimentale. Quest’ultimo edificio ha una pianta rettangolare di 12×11 metri e si sviluppa su tre piani, con un deposito sotterraneo scavato nella roccia capace di custodire le vivande utili in caso d’assedio. Una vasta apertura a strapiombo, profonda decina di metri, avrebbe offerto la via di fuga verso una letterale ultima spiaggia, situata a ridosso del mare.  Lungo la parte meridionale del promontorio, quasi a picco sulle onde tempestose, trovava invece posto l’edificio delle stalle, oggi privo dell’antico soffitto in legno, come del resto la maggior parte delle altre strutture rimaste in piedi. Un’aggiunta successiva risalente alla metà del XVII secolo sarebbe invece stato il palazzo voluto dal quinto Conte Maresciallo di Scozia, George Keith (1553–1623) una spaziosa struttura quadrangolare lunga 35 metri, fornita di cucine, magazzini e una grande sala da pranzo adibita ai ricevimenti ufficiali del signore. Per non parlare degli alloggi dove avrebbe soggiornato, durante una delle fasi più critiche nell’intera storia della monarchia inglese, il sovrano Carlo II, penultimo esponente della dinastia reale degli Stuart.
Era esattamente il 1639 quando William Keith, settimo Maresciallo di Scozia, dichiarò la propria fedeltà alla fazione episcopale dei Covenanti, nemica del potere centrale di Carlo I e per questo allineata con le forze del dittatore militare Oliver Cromwell, colui che aveva messo a morte il padre dell’attuale re, aspirando a fondare una nuova Repubblica illuminata. Ma il signore di questo possente castello, mentre marciava verso l’esercito inglese che si stava avvicinando alla vicina città di Stonehaven, commise l’errore di lasciare a difenderlo James Graham, primo marchese di Montrose, il quale ben presto cambiò bandiera passando ai sostenitori della monarchia. Così la fortezza venne bruciata, successivamente ricostruita e nel 1650, avrebbe costituito una delle ultime roccaforti rimaste al sovrano in esilio, prima che questi fuggisse a Scone, nei pressi di Perth, ricevendo formalmente gli Onori di  Scozia. Con la O maiuscola, niente meno: poiché stiamo parlando, formalmente, della spada, lo scettro e la corona di quel regno, i quali avrebbero finito per rappresentare, di lì a poco, oggetti del desiderio da parte dello stesso Oliver Cromwell, che avrebbe marciato con il suo esercito per bloccarne la restituzione alla città di Edinburgo. Ma poiché la protezione dei sacri oggetti era tradizionalmente la responsabilità del Maresciallo, la corte si affrettò a concedere un tale ruolo a Sir George Ogilvie di Barras, il quale presi i gioielli, si affrettò a rifugiarsi presso la fortezza da sempre associata ad esso, il castello costiero di Dunnottar.

Rivisto attraverso i secoli, questo è un luogo che cambia aspetto come il tenore politico del suo regno. Dimostrando che un castello realmente importante dal punto di vista strategico, non può semplicemente “esistere” senza essere circondato dal fuoco costante d’infinite battaglie.

Segue una delle storie più strane, e memorabili, di una così sanguinosa guerra: l’imbattuto Cromwell, con il suo poderoso Esercito di Nuovo Modello, che stringe l’assedio dinnanzi all’antica fortezza per un periodo di ben nove mesi a partire dal novembre del 1651, sottoponendola al fuoco continuo del più terribile sbarramento d’artiglieria immaginabile in quella specifica epoca militare. E il personaggio destinato a restare leggendario di Christian Fletcher, moglie del pastore della parrocchia di Kinneff, che passando attraverso le linee d’assedio nasconde i documenti e i tesori del re tra le proprie vesti, o in alcune versioni del racconto arriva a calarle con una corda giù dalla scogliera, per poi effettuarne il recupero in un momento successivo. Fatto sta che, secondo le cronache, tali importanti oggetti furono quindi sepolti nella vecchia chiesa (Kirk) di campagna del suo consorte, dove sarebbero rimasti a seguito dell’inevitabile caduta di Dunnottar e fino alla cerimonia della Restaurazione della monarchia nel 1660, ottenuta da Carlo II alla morte di Cromwell per cause naturali. Ma chi può dire che cosa sarebbe potuto succedere, in quel momento fondamentale di svolta del conflitto, se gli Onori fossero caduti subito nelle mani dei rivoltosi, permettendo la continuazione immediata di una campagna vittoriosa in quella terra, dove risuonavano le cornamuse dei loro avi!
Forse non sarebbe mai tornato uno Stuart a sedere sul trono britannico e dopo di lui Guglielmo d’Orange, Stadtholder d’Olanda e Paesi Bassi, colui che avrebbe consegnato, con gran cerimonia, la corona nelle mani di Giorgio Ludovico di Hannover, il capostipite di una nuova era. Dimostrando che non importa chi sia a governarli, o la sua nazione (sia pure tedesca) di provenienza prima di aver acquisito il controllo e l’egemonia di Britannia: molto spesso, sono i castelli che fanno la storia. E la natura che permette loro di esistere, sulla cima imprendibile di un’alta scogliera.

Lascia un commento