Granitico, magmatico conglomerato di feldspati, antico solido macigno dentro il quale, con un gesto carico di pathos, l’ignoto combattente fece penetrare il rigido metallo della spada “Excalibur”. Caledfwlch in gaelico, Caladbolg in Irlandese, Caliburnus per le genti del britannico meridione, influenzate dalla chiesa e dalla lingua dei Latini. Ma una volta che il futuro re di tutte le isole britanniche, dopo aver compiuto l’ardua impresa, impugna l’invincibile strumento nelle sue battaglie contro le ingiustizie, dove credete che permanga ciò che resta del potere primordiale, l’energia sacrale dei rituali druidici dei Celti, ovvero il nesso al centro della ragnatela disegnata dalle linee della prateria (ley lines)? Nell’oggetto creato dalla mano artificiale degli umani, oppure dentro l’approssimazione naturale dello stesso meteorite a partire dal quale, secondo la leggenda, poté trarre l’origine la spada di una quantità finita di generazioni? Basta rivolgere una simile domanda al popolo che viene da Braveheart, per avere una risposta presumibilmente chiara, e molto più sicura di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. Poiché nella tradizione di Scozia, esiste una roccia che non ebbe mai ragione di accogliere alcun tipo di lama. Eppure detta “Pietra del Destino” per la sua funzione imprescindibile nella nuova nomina di un re o regina di quelle terre e in epoca meno remota, dell’intero regno stesso d’Inghilterra. Il suo nome è Stane o Scuin, ma in epoca moderna trova la semplice definizione di Scone, dal toponimo dell’abbazia in prossimità di Perth, dove venne custodita per molti secoli prima di essere portata nel 1296 a Westminster, come bottino di guerra catturato da re Edoardo Plantageneto I. Con conseguenti grandi e irrimediabili sventure, di lì a seguire: sanguinose rivolte da parte dei precedenti proprietari e lo stesso popolo di Londra, che non voleva dover sopportare la maledizione degli antichi Dei. Eppure da quel fatidico giorno, l’oggetto venne non soltanto custodito gelosamente, bensì addirittura collocato all’interno di una sedia speciale, l’unica che fosse ritenuta degna di sorreggere il futuro sovrano al momento fatidico dell’incoronazione. Dando inizio a un treno d’acrimonia che ancora nel 1950, avrebbe portato al furto da parte di un gruppo di nazionalisti dell’oggetto sacro, accidentalmente spezzato in due parti e sepolto per qualche tempo in un campo, prima che le autorità riuscissero a recuperarlo e portarlo nuovamente nel luogo designato. Ma secondo alcuni, ancora adesso, si tratterebbe solamente di una copia…
Alla sottrazione dell’antico simbolo in epoca medievale, tuttavia, gli scozzesi non si erano certo persi d’animo. Ed avevano iniziato a designare, con prontezza lodevole, una vasta gamma di sostituti. È del resto ancora usato, in taluni circoli, l’appellativo per quella landa di Terra delle Pietre poiché ogni singola città, paese o villaggio sembrava trarre giovamento della protezione di un antico menhir, monolite o altra inamovibile presenza, testimonianza degli antichi repertori di leggende mai davvero sovrascritti dalla “mano salvifica” della trasformazione clericale. Tutt’ora inamovibili, davvero? Fino a un certo punto, ovvero dove cessano le arcane storie di antichi personaggi, come i cavalieri degli ordini che usavano determinare il proprio grado sulla base della forza fisica dimostrata nel sollevarle, e inizia la reale vicenda ottocentesca di Donald Dinnie (1837-1916) colui che poté fregiarsi per l’intera durata della sua carriera del titolo invidiabile di “Più grande atleta del mondo”. Lottatore, sollevatore di pesi, lanciatore di tronchi, corridore e saltatore di ostacoli, che dopo aver girato l’Inghilterra e gli Stati Uniti con l’equivalente di quello che oggi potremmo definire uno spettacolo di strongmen, ancora alla veneranda età di 70 anni si esibiva a Londra tenendo sollevato un tavolo su cui ballavano due boscaioli del Nord. Eppure come tutti i personaggi di un simile tenore, la vita pubblica di quest’uomo ebbe inizio all’epoca della sua gioventù, quando aiutando il padre muratore presso il ponte di Potarch sul fiume Dee, Donald sollevò senza pensarci due pietroni dotati di anelli d’acciaio, usati all’epoca come contrappesi per le passerelle degli addetti alla manutenzione locale, trasportandoli per l’intera lunghezza del cavalcavia. Soltanto successivamente, facendo seguito all’espressione basìta dei presenti, egli avrebbe saputo che gli oggetti in questione pesavano, rispettivamente, 144 e 188 Kg.
Di lì a poco le ribattezzate “pietre di Dinnie” sarebbero state elette a parte irrinunciabile del folklore locale, con dozzine di persone ogni giorno che venivano per vedere con i propri occhi cosa, effettivamente, quest’uomo forzuto fosse stato in grado di spostare. Mentre alcuni, tra i più coraggiosi, tentavano di ripetere l’impresa, senza avere il benché minimo successo. Questo perché, come successo in certi altri casi nella storia dello sport, è nostra prerogativa ipotizzare che l’atleta originario potesse vantare conoscenze e doti in merito all’allenamento, l’alimentazione e la preparazione fisica che oggi diamo per scontate, ma che all’epoca lo ponevano molte generazioni avanti rispetto ai suoi connazionali. Una situazione destinata a durare per molti anni…
Nota: nella scena d’apertura, il bodybuilder James Crossley, famoso per lo show televisivo inglese degli anni ’90 Gladiators, stabilisce il nuovo record di 34 secondi di sollevamento delle pietre di Dinnie ad aprile di quest’anno. Un risultato raggiunto e superato all’inizio di giugno dallo strongman Mark Haydock (38 secondi)
La riscoperta del mito connesso allo spostamento delle pietre di Dinnie viene convenzionalmente attribuita all’autore, storico e promotore sportivo scozzese David Pirie Webster (insignito dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico) che scrisse un articolo su di esse nel 1953, portando nuovamente in primo piano i numerosi tentativi, più e più volte ripetuti, da parte degli abitanti dell’intera contea di Aberdeenshire. Ma le danze a quel punto, metaforicamente parlando, erano di nuovo aperte e la famosa impresa del più grande atleta sarebbe stata, di lì a qualche anno, finalmente eguagliata. Da Jack Shanks nel 1972, tanto per cominciare, che senza nessun tipo di aiuto riuscì a sollevare e spostare i pietroni lungo l’intero tragitto percorso all’epoca dal suo insigne predecessore, arrivando addirittura a caricarle sul retro di un furgoncino. Molti altri avrebbero seguito il suo esempio, con una cadenza grossomodo annuale, scandita dalla ricorrenza del raduno tenuto dagli abitanti del luogo, sorprendentemente celebre e prestigioso al punto da guadagnarsi articoli in numerose riviste di bodybuilding e fitness dei nostri giorni. Il punto è che già il semplice sollevamento delle pietre di Dinnie, da un punto di vista tecnico, costituisce una sfida particolarmente complessa, sopratutto in funzione dei 44 Kg di differenza che separano il peso di quella più grande dalla sua compagna. Il che tende a richiedere, da parte dell’atleta, un senso dell’equilibrio ed un approccio estremamente precisi, nella realizzazione a regola d’arte di quello che in gergo prende il nome di Jefferson Deadlift. Immaginando letteralmente un manubrio inesistente, che agisca come un’asta che collega i due pietroni tra le due gambe, mentre il forzuto di turno tenta di equalizzare per quanto possibile la loro pressione sui propri gruppi di muscoli prossimi all’esaurimento.
Molte sono le storie e le saghe connesse alle alterne vicende delle pietre di Dinnie, tra cui quella del figlio dello stesso Shanks, Stevie, che dopo esattamente 42 anni seppe replicare il sollevamento e lo spostamento di suo padre, entrando così a pieno titolo nell’albo immortale dei campioni supremi di Potarch. Soltanto altri quattro individui a parte il portatore del loro nome, nel corso della storia, condividono ufficialmente un simile onore, a cui dovrebbe idealmente aggiungersi il padre muratore dello stesso Donald, Robert, del quale lui disse notoriamente che “poteva sollevarle con facilità, avendolo fatto più volte”. Ma chi può dire, realmente, se questo fosse l’orgoglio di un figlio diventato famoso nei confronti del genitore, oppure la certificabile verità…. Almeno a partire dal 2017, d’altra parte, sono state create due fedeli copie delle pietre in granito, usate nel corso di competizioni internazionali come prova per i più famosi sportivi, senza dover necessariamente rimuovere due tali leggende dal luogo del loro culto centenario. Utilizzate fin’ora negli Arnold Games di Columbus Ohio, le pietre artificiali rappresentano una letterale chiusura del cerchio, ripristinando il filo ideale che collega le antiche leggende dei macigni di Scozia a quella moderna della forza applicata alla ricerca di fama mediatica, una missione non poi così distante da quella dei cavalieri e sovrani di un tempo. Non è forse vero, dopo tutto, che le interrelazioni tra i diversi regni dello scibile avvengono spesso attraverso il conflitto? Che può essere una sfida verso coloro che ti sono ostili (utilizzando la spada) oppure il nemico più grande che l’uomo abbia mai conosciuto: se stesso.
Mettendo tutto l’impegno possibile, nel sollevamento (davvero superfluo?) del più ponderoso macigno che si riesca a trovare lungo la propria strada.
Talune pulsioni non cambiano mai e certe vicende prossime al concetto di mitologia, non possono venire dimenticate. Così la coppia di pietre che attende, con serena immanenza, il prossimo detentore del record assoluto di resistenza nel mantenerle sollevate dal soffice suolo, finisce per rappresentare in un certo senso la profonda responsabilità di un sovrano, laddove forza e saggezza diventano la stessa inscindibile cosa: dimostrazione tangibile di probità.
Poiché soltanto il più sapiente tra gli uomini, una volta estratta Excalibur dalla sua eterna sede, può davvero comprendere ciò che sarebbe meglio fare: tenersi la pietra, gettando via la spada. E chissà quanti, persino oggi, riuscirebbero a farlo.