Il pesce che credeva di aver messo i piccoli nel luogo più sicuro

Gli antichi laghi africani, profondi e incontaminati, rappresentano un’occasione eccezionale per osservare le dinamiche evolutive di numerose specie sulla base delle caratteristiche del loro habitat, sia questo di tipo roccioso, abissale, pelagico o situato in prossimità delle rive rocciose. Victoria, Malawi e Tanganica non sono che tre nomi distinti, corrispondenti ad altrettanti vasti ammassi d’acqua dove prosperano, rispettivamente: ciclidi, ciclidi e ciclidi. La sterminata famiglia di vertebrati, estremamente varia ed adattabile, il cui sistema di sopravvivenza presuppone l’intera gamma di soluzioni alimentari, di autodifesa e riproduzione possibili tra le creature dotate di tre pinne e una coda. Ma c’è un approccio in particolare alla tutela genitoriale, comune a specie non direttamente interconnesse e addirittura alcune tipologie di rane, che sembra ricorrere tra le schiere di questo speciale ramo dell’evoluzione: l’incubazione orale. È un metodo privo di vulnerabilità evidenti: le madri o i padri (nel caso del primo continente, soprattutto le prime) che si avvicinano alle uova appena deposte, quindi spalancando l’apertura frontale che dovrebbe convenzionalmente consentire loro di nutrirsi, le risucchiano diligentemente l’una dopo l’altra per tenerle fuori dalla portata dei predatori. Si crede che i pesci dalle dimensioni ridotte non siano particolarmente intelligenti, ma detto questo il loro istinto materno deve essere davvero straordinario. Altrimenti, come sarebbe possibile giustificare il digiuno totale di 15-20 giorni successivo a un simile fondamentale momento, da cui il pesce esce generalmente indebolito fin quasi allo stremo? Portata a termine una simile ordalìa, quindi, la vicenda non è affatto giunta alla sua risoluzione finale. Entrando, piuttosto, nel suo momento più notevole a vedersi: molte specie di ciclidi, tra cui questo Tyrannochromis macrostoma dalla livrea striata (anche detto big-mouth hap) perseverano nell’importante mansione anche dopo la schiusa, continuando ad agire come baluardo per i piccoli appena nati, che resteranno vicino alla madre fino al raggiungimento della più totale indipendenza. Esiste una serie di segnali, configurati su particolari movimenti a scatti o certi modi di nuotare, che lei può inviare quindi all’avvicinamento di una creatura ritenuta pericolosa. Alla ricezione dei quali, senza un attimo di esitazione, i pesciolini tornano rapidamente al luogo da cui sono venuti, ovvero l’interno della sua cavità orale.
Questo sistema per garantirsi un seguito generazionale costituisce un tratto di distinzione molto importante per un pesce appartenente a una simile nicchia ecologica, dove la convenzione prevede come salvaguardia della prole il più semplice approccio di produrre una grande quantità di figli, perché almeno “qualcuno sopravviverà”. Portando l’intero insieme di pesci possessori di quel segreto nello stesso spazio concettuale dei mammiferi di terra, all’estremo opposto dello spettro dinamico riproduttivo. Pensate che in alcune specie i figli possono addirittura nutrirsi di un muco che viene emesso appositamente dalla loro guardiana e genitrice, nell’attività più simile all’allattamento che abbia modo di verificarsi tra i pesci. Il che accresce le probabilità di sopravvivenza, con un inerente vantaggio: le femmine costrette ad impiegare una quantità minore di risorse al momento della riproduzione per le poche decine di piccoli, sono pronte quasi subito ad accoppiarsi di nuovo. Benché debbano necessariamente attendere la loro maturazione e il raggiungimento dell’indipendenza, che in questo modo diventa il fattore di limitazione temporale principale. In un singolo caso, quello della specie dell’Africa Occidentale Sarotherodon melanotheron, sono addirittura i maschi ad incubare e proteggere i piccoli, lasciando le femmine libere di accoppiarsi con più partner, mentre ciascuno di essi resta impegnato a proteggere il prodotto del loro incontro. Il che viene definito dalla biologia come il fenomeno, estremamente raro in natura, della poliginandria (sia maschi che femmine cambiano partner più volte nel corso di una singola stagione riproduttiva).
Ma sono i ciclidi monogami e solitari, con la loro solenne fedeltà al compito, di un sesso che tutto sembra tranne che debole, a colpire maggiormente la fantasia dei documentaristi, che amano dedicare lunghi segmenti alla loro vicenda individuale e la maniera in cui sembrano sacrificare ogni cosa, pur di proteggere quello a cui tengono più di ogni altra cosa. Con un successo… QUASI totale. Già perché se il nostro mondo di superficie può apparire talvolta crudele, esso è praticamente un paradiso, rispetto agli abissi di perversione e malvagità raggiungibili dalle creature che agiscono sott’acqua, nascoste allo sguardo e ai sentimenti di coloro che avrebbero la mansione di giudicare. E se vi dicessi che per i poveri ciclidi nessun luogo, neppure la bocca della propria madre, è sicuro?

L’apparente bellezza di alcune creature nasconde talvolta un segreto terribile ed inquietante. Possibile che ogni puntino rappresenti una vittima innocente delle loro malefiche attività future?

Si tratta di un incubo che trae le origini da quattro parole apparentemente sconnesse tra loro: pesce gatto cuculo killer. Nel nome dell’unica creatura che sembra contenere termini riferiti a creature acquatiche, di terra di cielo e un mestiere convenzionalmente umano (perché, ehm… “Gli animali sono migliori delle persone”) è contenuto in effetti la sua stessa ragione d’esistenza, ovvero il metodo che gli permette di sopravvivere a discapito di altri esseri, più benevoli ed operosi. È un dramma continuo attraverso i secoli, che sembra configurarsi come una continua corsa ai migliori armamenti. Tanto che non può semplicemente sussistere, da un punto di vista funzionale, qualcuno che sembra aver trovato la chiave del proprio benessere, senza che altri, spietati, cerchino di trarne un qualche tipo di subdolo giovamento. E che guadagno straordinario di risorse, tutto questo costituisce, per un genitore che potrà abbandonare i propri figli, confidando che questi possano giovare delle cure amorevoli di qualcuno che non può, o non vuole, comprendere quanto tragica sia improvvisamente diventata la sua esistenza. Chi non conosce, d’altra parte, la crudele vicenda del cuculo? Uccello che lascia le proprie uova nel nido di altre specie innocenti, ben sapendo che alla schiusa il sangue delle sue penne spingerà fuori i pulcini più piccoli e deboli, monopolizzando il cibo ricevuto dagli inconsapevoli e altrui genitori. Ma la stessa cosa, tradotta in termini acquatici, è se vogliamo almeno tre, o quattro volte peggiore.
Senza ulteriori preamboli, ecco che cosa fa il Synodontis multipunctatus del lago Tanganica: per prima cosa osserva da lontano una coppia di ciclidi, aspettando che lei deponga le uova in attesa di fecondazione. Quindi, mentre i due futuri genitori sono intenti in tale delicata mansione, piomba sul piccolo tesoro ed inizia spietatamente a fagocitarlo, affrettandosi nel contempo a deporre la propria futura prole, già fecondata. Ciò che succede, a questo punto, è che le vittime del suo attacco scacciano con facilità la madre snaturata ed ormai ben nutrita, ma seguendo l’istinto frutto d’incalcolabili generazioni, procedono nel prendere in bocca il frutto di quello che pensano essere i loro amore. Quello che segue, sembra uscito da un vero e proprio film dell’orrore, un po’ come l’abitudine di alcune vespe a tenere in vita i bruchi catturati, facendoli divorare dalle loro fameliche larve. Le uova di pesce gatto, tenute in bocca dai ciclidi si schiudono puntualmente, lasciando fuoriuscire il piccolo carnivoro affamato. All’interno dell’ambiente protetto, questo inizia quindi a fagocitare i fratelli adottivi l’uno dopo l’altro, a totale insaputa di colei che lo sta involontariamente tenendo nascosto al mondo. Trascorsi i 15-20 giorni come da programma, quindi, lei spalanca la bocca, restando sorpresa di veder uscire un solo pesciolino. Puntinato, baffuto e dal ventre rigonfio, per la notevole quantità di sostanze nutritive assunte nel corso della sua prigionia dorata. Seguendo la sua programmazione acquisita, dunque, madame ciclide non può che considerare una simile creatura come se fosse parte della sua prole, continuando a proteggerla, nutrirla e guardarla crescere con evidente orgoglio pinnuto. È un po’ come la storia del piccolo anatroccolo, se soltanto al posto del cigno, ci fosse stato un serpente divoratore di uova.
“Sicuro”, quindi, non esiste. “Tranquillo” non ha spazio nel mondo tangibile delle cose. E il pesce gatto cuculo killer non è neppure il solo predatore specializzato nel fagocitare le uova o i neonati oggetto della “inviolabile” incubazione orale. C’è infatti un particolare ciclide del lago Malawi, il Cyrtocara moorii o fronte gobbuta, che si è specializzato nel colpire all’improvviso con il suo appariscente bulbo situato in capo le madri della sua stessa famiglia biologica ma appartenenti a specie diverse, costringendole ad aprire la bocca e lasciar fuoriuscire temporaneamente i pesciolini, per un periodo sufficientemente lungo a mangiarne una ragionevole quantità. Ma non tutti: perché lui sa bene che un giorno, non molto lontano, i suoi stessi figli dovranno fare lo stesso, ai danni dei fortunati superstiti di questa spietata attività. E in questo modo, il ciclo di violenza reciproca non avrà mai fine…

Molte specie di ciclidi, come il Cyrtocara moorii, sono apprezzate come pesci ornamentali negli acquari, benché sia importante scegliere le giuste specie da mettere a stretto contatto tra loro. Alcuni di queste creature risultano essere ferocemente territoriali.

Moltissime volte, gli studiosi sono rimasti sorpresi dalla complessità dei comportamenti sociali, l’abilità comunicativa e le attività complesse di ricerca del cibo intraprese dai ciclidi dei laghi africani, mettendo in dubbio la stessa correlazione inerente tra massa celebrale e quella che può definirsi, in qualche maniera, una funzionale espressione del concetto di intelligenza. È in effetti una tentazione diffusa, e molto attraente, l’associazione di un simile stile di vita a quel concetto aleatorio e trasversale dell’istinto, una sorta di codice iscritto nel DNA che porta le “creature inferiori” a compiere quella serie di gesti i quali, attraverso gli eoni, le ha condotte sane e salve fino all’epoca presente e/o futura.
Ma chi può dire realmente, quanta della nostra insostituibile arte, creatività e letteratura sia effettivamente il frutto della capacità di elaborazione individuale…. E quale parte provenga invece dall’interazione tra i fattori di contesto con le situazioni specifiche… Il che sostanzialmente ci metterebbe al livello del pesce materno, che ha trovato una nicchia in cui fare ciò che gli riesce meglio: proteggere la sua prole. Il che, a mio parere, non dovrebbe privare di merito il nostro umano agire. Bensì nobilitare quello di lei, primo ed ultimo, purtroppo fallimentare baluardo contro i gatti cuculi killer. E con essi, ogni forma d’imprescindibile crudeltà ed egoismo.

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