Verso l’inizio del 24° secolo a. C, in una grotta buia in prossimità del picco più alto della montagne del Kongtong, nella provincia del Gansu, viveva probabilmente l’uomo più formidabile del mondo. Guangchengzi, manifestazione terrena di uno dei Tre Supremi Esseri, che aveva scelto una vita di solitudine per meditare sull’origine e il significato del Tao, possedeva tre armi capaci di vincere qualsiasi battaglia: il grande sigillo di bronzo Fantian Yin, che poteva uccidere chiunque se lo trovasse appoggiato con forza sulla propria fronte; la campana di Luohun, il cui suono poteva annientare le anime dei suoi nemici e le due spade Yin e Yang, infuse dei principi contrapposti, maschile e femminile, che sostengono ed accrescono il significato della Via. Quando costui aveva circa 1600 anni (non per niente, lo chiamavano immortale) l’Imperatore Giallo Huangdi in persona ascese le centinaia di scalini, e i molti metri di strade scoscese, necessari per giungere al suo cospetto. E fu lì che il grande governante, riconosciuto come il creatore stesso del concetto di Cina unificata, ricevette in dono i testi sacri del Taoismo, potendo trasmettere ai suoi eredi il senso di questa fondamentale filosofia. Ma sarebbe assurdo non pensare che in un simile colloquio, iscritto a pagine di fuoco nella storia, egli non avesse ricevuto altri consigli di natura più marziale, validi a garantirgli il successo nelle sue future imprese militari. Oggi, presso il sito in cui si svolse tale intramontabile conversazione, sorge un tempio. Dentro il quale, fin da tempo immemore, vengono praticate le arti marziali del kung fu.
La percezione occidentale degli stili di combattimento cinesi, contrariamente a quelli di epoca moderna provenienti dal Giappone (Karate, Judo, Aikido…) è stranamente uniforme e sembra fare capo unicamente a una singola interpretazione: quella coltivata tra i nebbiosi picchi dove trova posto il tempio di Shaolin. Ma la Cina è un paese vasto, e ancor più vaste sono i contributi che esso seppe dare alla cultura, alla tecnologia e all’intento combattivo dell’umanità. Tra i quali figura il cosiddetto stile del Kongtong, famoso per le sei “Porte” che lo caratterizzano e l’ampio ventaglio di armi inusuali, letteralmente sconosciute altrove, che vengono impiegate con maestria invidiabile dai possessori dei suoi segreti. Tutto viene fatto risalire, convenzionalmente, alla figura di Feihongzi, famoso spadaccino della dinastia Tang (618-907) che viaggiò per il paese assumendo su di se la sacra missione dello youxia (游侠) il difensore itinerante della giustizia e del bene. Così dopo aver corretto una quantità notevole di torti, e sconfitto i malvagi fino ai più remoti confini del regno, egli decise di aver raggiunto un’età sufficientemente avanzata da iniziare a trasmettere le proprie conoscenze. E per fare questo, fondò una scuola: la Kongtong Pai. Ora è difficile, sulla base del video offerto sul canale della New China Tv, comprendere l’effettiva funzione del complesso di edifici verso cui si apre questo scorcio digitale di un tale mondo misterioso: lui lo chiama semplicemente “il luogo di studio dello stile Kongtong” benché basti una semplice ricerca su Google, per scoprire che un simile edificio esiste, ma si trova ai piedi della montagna, non troppo distante dalla città di Pingliang. È facile desumere di conseguenza, che lo scenario scelto per il video sia uno dei numerosi templi (oltre 20) situati su questo massiccio altrettanto sacro per i cultori di taoismo, buddhismo e confucianesimo, facile da attribuire ai primi, in funzione della grande piazzola sospesa sopra il baratro con sopra raffigurata la figura del Tao.
Ma prima che l’azione si sposti in tale luogo suggestivo (il video è in realtà il montaggio di una serie di puntate trasmesse originariamente in diretta) il reporter ci offre l’opportunità d’incontrare due figure venerabili di questo luogo, combattenti ottuagenari le cui doti atletiche, per molti versi, non hanno nulla da invidiare a quelle di chi potrebbe essergli il nipote. I due vengono presentati come Yue Chi Zhou e Hua Wu Ying, ovvero quelli che dovrebbero essere rispettivamente lo studente e la moglie rimasta vedova del decimo Maestro, nonché lei stessa undicesima Maestra, dell’antico stile praticato nella scuola di Kongtong. La nostra prospettiva viene subito allargata verso alcune delle “strane armi” strettamente interconnesse con la cognizione nazionale di questo approccio al combattimento, con lui che impugna una pipa di bronzo, non dissimile da quella che tanti film di arti marziali hanno messo spesse volte in mano ai ninja, maestri giapponesi nell’impiego d’implementi d’offesa apparentemente innocui, nondimeno validi a sopraffare i più blasonati guerrieri. Lei appare dotata, invece, di una spada flessibile e una frusta in crine di cavallo, che secondo la traduzione del reporter in un reale combattimento sarebbe stata cosparsa di veleno, dagli effetti che possiamo soltanto presumere letali. In una serie di taolu (套路 – dimostrazioni delle forme) i due mettono quindi in atto le movenze apprese ormai da tanti anni, con una grazia e una prontezza davvero invidiabili. La signora Hua, in particolare, dimostra una fluidità delle movenze disegnate col suo abito altamente formale, capace di trasportarci con la mente ad epoche ormai trascorse e dimenticate. La colonna sonora di sottofondo riprodotta da un altoparlante non eccelso, straziante canzone proveniente da un qualche film del wuxia, accresce ulteriormente il senso stranamente surreale della scena…
Nella seconda scena, quindi, l’inviato della Tv si sposta sul caratteristico spiazzo del tempio adibito al ruolo di vero e proprio ring di combattimento, dove Chang Wu, l’attuale insegnante della Kongtong e forse anche dodicesimo Maestro (purché sia ancora usata la numerazione tradizionale del caso) ci presenta alcuni dei suoi studenti migliori, ciascuno armato di un diverso strumento d’offesa facente parte del curriculum della scuola. Ce n’è davvero per tutti i gusti: a partire dal sanjiegun (三節棍 – bastone a tre segmenti) passando per vari tipi di spade e sciabole, senza dimenticare il bizzarro attrezzo che il reporter chiama “pugno di fuoco” configurato come un tirapugni dalla forma stravagante nonché il filo evidentemente tagliente o il ventaglio tradizionale con anima di metallo, sempre più pericoloso di quanto si potrebbe essere portati a pensare. Per concludere in bellezza, grazie al paio di pesanti teste metalliche acuminate che non sfigurerebbero in cima a un ponderoso mazzafrusto medievale. Ma che in questo caso, senza apparente sforzo, vengono maneggiate come fossero maracas da un ragazzo con la tunica color giallo canarino. E c’è una sorta di schema narrativo, in tutto questo, coi diversi atleti e il loro istruttore che diventano, grazie a un abile montaggio tratto dal video originale in diretta, i letterali membri di un variegato gruppo di supereroi, ruolo che del resto potrebbe anche capitargli d’interpretare, presto o tardi, nella tipica carriera intrapresa dai praticanti cinesi di alcune delle arti marziali più celebrate dal folklore popolare. Lo spadaccino in azzurro, a un certo punto, viene anche brevemente intervistato, raccontando del suo impiego occasionale come attore e stuntman, capace di fruttargli circa 3.000 yuan al mese (l’equivalente di 377 euro). Soltanto un inizio, è facile capirlo, di quello che potrebbe ottenere continuando a percorrere la strada che appartenne al grande Bruce Lee.
Per quanto concerne gli effettivi precetti di questa storica scuola di arti marziali tutt’ora praticata con evidente fervore, possiamo desumerne alcuni grazie ai resoconti reperibili online. Un detto relativo alla scuola di Kongtong affermava che “tutti i fiumi conducono al mare” in riferimento alla capacità di questo luogo di attirare guerrieri da ogni angolo dell’Impero della Cina, desiderosi di apprendere le tecniche apprese dal fondatore Feihongzi durante le sue lunghe, nonché eroiche peregrinazioni. Esse includevano dottrine di utilizzo delle 18 armi ortodosse del kung fu, oltre a una quantità imprecisata d’implementi misteriosi e sorprendenti, molti dei quali destinati a costituire un segreto per moltissime generazioni, offrendo metodi alternativi per perseguire le necessità della Via. Una volta fondato il suo luogo d’insegnamento, il maestro suddivise il percorso da compiere in una serie di “porte”, denominate in ordine crescente: Supremo Definitivo (Tai Chi); Drago Volante; Ricerca dell’Anima; Annientamento della Vita; Combattimento Ubriaco. Una volta raggiunto l’apice, quindi, lo studente avrebbe avuto accesso alla Shen Quan Men (神拳門 – Porta del Combattimento Divino) le cui forme taolu, si diceva, erano ispirate direttamente a quelle degli Dei volanti raffigurati negli affreschi della grotta dei Mille Buddha di Mogao, nella parte più occidentale della provincia del Gansu. A tal punto, aveva viaggiato l’eroico fondatore della Scuola, dispensando la giustizia del taoismo lungo il tragitto della leggendaria Via della Seta.
Osservare i reportage prodotti dalle agenzie cinesi per il web, spesso, ricorda il panorama visto una finestra meno che ideale, perché posta troppo in alto, oppure con il vetro notevolmente appannato. Eppure qualche volta, al di là della traduzione parziale o assente, la mancanza d’informazioni contestuali date sfortunatamente per scontate o l’eloquio internazionale di difficile comprensione, può costituire una via d’accesso privilegiata a informazioni per lo più inaccessibili dalla nostra remota terra d’Occidente. Il kung fu è un universo di nozioni spesso in conflitto tra loro, dal cui scontro tempestoso nasce il cuore di una dottrina, oggi percepita come unica e indivisa, pur costituendo un’amalgama più complesso e ricco d’interpretazioni. Sebbene sia difficile, dunque, trovare nel testo di un annuncio di lavoro per guerrieri di Hollywood la richiesta d’esperienza in un particolare stile piuttosto che un altro, non è detto che avvenga lo stesso in Cina. E forse, in un futuro non troppo remoto, anche altrove nel mondo.
Ecco perché oggi, l’accrescimento del proprio spirito guerriero non è soltanto un modo per accrescere l’introspezione e avvicinarsi in qualche modo alla Via. Ma un’effettiva scelta di carriera, capace di sostenere chi la sceglie attraverso le alterne necessità della vita. E non è affatto detto che all’epoca di Yue Chi Zhou e Hua Wu Ying, molto prima della rivoluzione digitale, fosse già così.