Dalle pagine del mio diario russo mai scritto, cronistoria di un possibile universo parallelo: “Sono…Ovunque. Sotto l’ombra delle siepi in giardino, dentro l’acqua dei canali di scolo, dietro l’ombra dei maestosi cedri. Qualche volta, nella mia cantina. Odio quel rumore, eppure in qualche modo, amo quel rumore. Lo strisciare di un fruscio sibilante, singolo e sottile come il passaggio del vento, ma situato nell’intercapedine tra il pavimento e il sottosuolo, come se colui che lo produce (o in questo caso, coloro) volesse sottrarsi all’occhio scrutatore dei legittimi signori della Terra. Secondo i miei calcoli retroattivi, l’intera famigliola dalla lunghezza media di 30-40 cm deve essersi trasferita da queste parti verso la metà dell’anno scorso. In fuga dalle bisce predatrici, loro acerrimi nemici, lui coperto dalle cicatrici di un’acerrima battaglia, con la coda tronca tipica della sua specie; lei già gravida e pronta a deporre le circa otto uova, destinate a schiudersi entro 45-55 giorni. Così allo sbocciare della primavera, oltre le graziose aiuole di begonie, ovvero sotto le radici delle stesse, i rettili si sono riprodotti. Ed ora sono coinquilini della casa di famiglia. La prima volta che li ho visti ho pensato: diamine, colubridi! Molto presto sarò morso, certamente morirò! Mentre loro mi guardavano con gli occhi stranamente umani, pazienti e carichi di tutte le esperienze di chi ne ha vissute molte, forse troppe, senza neanche entrare nei particolari. Un poco alla volta, ho poi compreso la ragione di una simile impressione: queste serpi hanno le palpebre. Addirittura potrebbero, volendo, farmi l’occhiolino. Poi le varie differenze sono diventate eveidenti, poco a poco: un buco sul finire della grossa bocca, funzionale al senso dell’udito. Non che cobra, pitoni e i loro prossimi parenti, possano vantare simili risorse sensoriali. E lingua biforcuta che saetta per tastare l’aria, non particolarmente lunga, né sottile. Quasi come mi trovassi innanzi ad un’iguana, tegu o altro piccolo draghetto delle umane circostanze. Ma la certezza è giunta solo successivamente, quando ho visto il topolino di campagna che veniva catturato innanzi all’uscio di casa. E il capo dei famigli longilinei che iniziava lentamente a MASTICARE…”
Certo, in molti sono propensi a scambiare gli esponenti attualmente viventi della famiglia Anguidae con il classico strisciante del giardino dell’Eden, colui che usa la zanne per ghermire la sua preda, per poi trangugiarla tutta intera, a costo di slogare temporaneamente l’articolazione della sua mascella. Del resto ciò non ha totalmente ragione neppure chi, per semplicità procedurale, sceglie di chiamarle “lucertole senza zampe”. Non è forse vero che anche i serpenti sono formalmente delle “lucertole senza zampe” in funzione della loro discendenza da un antenato comune? Che in un momento imprecisato della Preistoria ha avuto modo di acquisire l’evidenza secondo cui dopo tutto, gli arti sono totalmente sopravvalutati. Ed ha iniziato a perdere le quattro zampe un poco alla volta, nel corso di generazioni inusitate. Chi non ha visto nell’epoca di Internet e gli show televisivi di sopravvivenza, almeno un coccodrillo senza una zampa. Evenienza tutt’altro che rara in funzione delle feroci lotte territoriali tra maschi dominanti. Ebbene simili creature menomate, ben lontane dal farsene un problema, incedono tranquillamente con un moto ondulatorio e sinuoso, catturando i pesci dentro al fiume con l’identica, soddisfacente facilità. Immaginate ora per un attimo, la stessa creatura totalmente, e simmetricamente, priva di appendici da sfruttare per il movimento. Congratulazioni: avete appena immaginato una versione ipertrofica di quella che convenzionalmente prende il nome di lucertola di vetro, in funzione dell’incredibile facilità con cui, se minacciata, sembra pronta a perdere anche la sua lunga coda. Il che ha un effetto alquanto memorabile, quando si considera che in simili animali, la parte sacrificabile corrisponde generalmente a un terzo o più della lunghezza complessiva, inclusivo di muscoli capaci di farla muovere e agitarsi proprio come se si trattasse di una cosa viva. In altri termini, più che una distrazione, il vero dono offerto agli eventuali predatori. Più che sufficiente per cogliere l’opportunità di scivolare via, sensibilmente alleggeriti, verso l’umido ingresso della propria tana di appartenenza. Ciò che avviene nel corso dei mesi successivi, quindi, potrebbe fare invidia a molti esseri umani. Noncurante della perdita, la serpe-lucertola mangia e inizia gradualmente ad allungarsi di nuovo. Come il serpente geometrico del primo vero videogioco per cellulari (di successo): Sss-snake!
Tutti gli Anguidae sono famosi per l’indole pacifica e curiosa, che li porta a vivere a stretto contatto con gli umani. Del resto, il loro habitat principalmente situato nell’Europa orientale e l’Asia occidentale, tra foreste e pianure verdeggianti, è inerentemente prossimo agli insediamenti della gente che abita da quelle parti. La loro somiglianza non è, però, assoluta: la specie che abbiamo usato fin qui come antonomasia, poiché la più diffusa e comune, è il cosiddetto Желтопузик (sheltopusik) o Pseudopus apodus la cui predisposizione riproduttiva è quella di deporre, come dicevamo, le uova. Altre varanti del concetto di lucertola di vetro, nel frattempo, sono ovovivipare, ovvero custodiscono le capsule coi piccoli nel sacco vitellino, senza interazioni nutritive dirette, prima di partorirli già completamente operativi e formati in ogni loro parte. Il che nel caso specifico, sottintende una quantità piuttosto limitata di parti. Rispetto ai serpenti propriamente detti, intesi come rettili che hanno seguito la strada della semplificazione con qualche millennio o eone di anticipo, le differenze anatomiche iniziano quindi ad apparire progressivamente più chiare: a parte la conformazione e la dotazione sensoriale della testa, che appare molto più aerodinamica e priva dell’ingrossamento di quella dei loro cugini, gli Anguidae possono vantare una particolare scanalatura lungo entrambi i lati del corpo, il cui scopo è quello di permettere alla forma dell’animale di ingrossarsi e piegarsi maggiormente durante i movimenti. Questo perché le lucertole in questione presentano la caratteristica fisica di placche note con il termine di osteordermi, la cui rigidità gli impedirebbe, altrimenti, di strisciare. Ma c’è anche un’altra, non meno fondamentale ragione: la disposizione dei loro organi. Attraverso le molte iterazioni progressive, infatti, i serpenti hanno visto i propri apparati fisiologici spostarsi in colonna, arrivando addirittura a perdere alcune funzionalità duplicate (vedi il polmone sinistro, piccolissimo e vestigiale). Mentre la lucertola di vetro possiede caratteristiche non dissimili da quelle di un comune rettile dal corpo più largo, ragione per cui non può piegarsi allo stesso modo. Ma riesce molto bene a scavare, sua principale risorsa per difendersi dai predatori. Altre differenze includono l’aspetto della pelle, la quale presenta scaglie non sovrapposte bensì affiancate, nonché del tutto uniformi con l’area ventrale scura dell’animale, dove invece il serpente ne presenta una variante più larga ed estesa, generalmente dello stesso colore del dorso. Al momento della muta poi, questa guaina viene dismessa a pezzi, come fanno le lucertole, piuttosto che in unico sacco tendenzialmente del tutto integro, come avviene nel caso dei rettili tubiformi per antonomasia.
Le lucertole di vetro, per fortuna, non presentano alcun tipo di veleno data l’assenza totale di organi preposti alla creazione e distribuzione di simili sostanze. I loro stessi denti, piccoli e appuntiti, non presentano scanalature che lascino intendere l’esistenza pregressa di simili meccanismi, dimostrandosi piuttosto ideali per strappare e fagocitare, nella maniera normalmente utilizzata da tutti i piccoli coccodrilli di questo mondo. Una dote naturalmente utile, quando parte della dieta sono grossi grilli dall’esoscheletro resistente, creature il cui diametro sfida talvolta quello dell’intero strisciante catturatore.
In Italia queste creature sono piuttosto rare, benché esistano a settentrione alcune colonie della specie ovovivipara Anguis fragilis, riclassificate all’inizio del XIX secolo come A. Veronensis, grazie all’opera dell’esimio Sig. Dott. Ciro Pollini, medico e naturalista della città costruita sull’ansa dell’Adige, scenario della più famosa storia d’amore dell’intero mondo occidentale. Questi rettili, lunghi mediamente 50 cm e di un colore tendente al grigio, prendono quindi il nome comune di orbettini, poiché si riteneva in origine che ci vedessero molto poco. Una nozione soltanto parzialmente vera, soprattutto una volta effettuate le debite proporzioni con altre creature d’indole prevalentemente fossoriale. Mentre per quanto concerne il senso dell’udito, non c’è proprio nessuna storia: benché le vipere et similia possano percepire le vibrazioni dell’aria con notevole precisione, avere un vero paio d’orecchie, con tanto di buchi, è tutt’altra cosa.
Come nel mito della mostruosa coccatrice, creatura con il corpo di drago e la testa di gallo in grado di pietrificare gli inconsapevoli con lo sguardo, le lucertole senza zampe sembrano un amalgama alchemico d’influenze biologiche differenti. Nella mia interpretazione di un possibile universo quantistico alternativo, Shakespeare ne ha fatto poesia: “Romeo perché sei tu, Romeo, piccolo rospo che sale sui muri? Perché sei tu sul balcone oh Giulietta, strisciante serpe dei prati?” È fin dall’era Giurassica, come narrato mediante l’impiego di effetti speciali al cinema, che la natura alla fine trova immancabilmente un modo. Tutto quello che serve è una quantità sufficiente di tempo. E il solo vero, impossibile, intramontabile amore.
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