Forse ne avrete conoscenza grazie a un qualche blog di design, oppure la pagina Instagram di un grande viaggiatore. O ancora il breve segmento mandato in onda, imitando i reportage stranieri, da almeno un paio di telegiornali delle Tv italiane. Il ponte di Cau Vang, inaugurato all’inizio del mese presso la costa centro-meridionale del Vietnam, non lontano dalla grande città di Da Nang, costituisce di certo una visione capace d’impressionare gli spettatori, non importa quanto distanti nello spazio: una sottile striscia, presumibilmente d’acciaio, ricoperta da ordinati listelli in legno e sospesa grazie a due mani gigantesche e ricoperte di muschio sopra una valle erbosa che si estende fino a perdita d’occhio, con pochissime strutture visibili fino al profilo disegnato dalle montagne distanti. Fatta eccezione per i fili appena visibili di un’importante funivia, nei fatti la più lunga del mondo intero, ultimata nel 2007 per 5,8 Km di estensione, terminanti all’altezza di 1489 metri sul livello del mare. Verso una meta che forse, alcuni tra i più attenti ai dettagli, saranno riusciti a scorgere soltanto per pochi secondi ai margini dell’inquadratura promozionale, restando, possiamo presumerlo, immediatamente basiti. Già, perché chi mai si aspetterebbe, nelle profondità del Sud-Est Asiatico le cime appuntite di quelle che possono essere soltanto le torri di un vero e proprio castello europeo, affiancate da un campanile che non apparirebbe particolarmente fuori luogo neppure sopra la grande cattedrale di Notre-Dame? È una domanda altamente situazionale questa, che tra tutti i possibili luoghi a disposizione, si può essere indotti a porsi soltanto tra le cosiddette montagne di marmo, presso la cima che prende il nome di Ba Na. Un luogo legato, nella sua storia e nella fantasia delle persone, a stretto giro di corda con un paese estremamente lontano: la sola ed unica Francia, ambasciatrice ad ampio spettro del gusto e lo stile europeo.
La remota ragione di ciò può essere fatta risalire agli inizi del ‘900, quando l’imperatore Napoleone III, avendo ricevuto notizia che alcuni preti missionari erano stati ferocemente assassinati presso i territori coloniali della Cocincina, inviò alcune navi e un potente corpo di spedizione a “punire” (nei fatti, conquistare) uno dei principali porti strategici dell’intero Mar Cinese Meridionale. Ma quando il fumo dei cannoni ebbe modo di diradarsi, e i burocrati tra i soldati fondarono le prime ambasciate e i posti di guardia tutto attorno al centro di Da Nang, scoprirono quanto fosse calda, umida e piena d’insetti l’aria a queste latitudini tropicali, cercando immediatamente refrigerio alle più elevate altitudini dei picchi montani circostanti. Secondo una curiosa leggenda, sarebbe dunque così che la montagna del ponte avrebbe ricevuto il suo attuale nome: perché quando i manovali e altri membri del presidio occidentale presero a salire l’irto pendio, con la missione di costruire delle lussuose ville per i loro superiori, non poterono fare a meno di evidenziare tra loro la presenza di un alto numero di alberi di banane. Al che le guide locali, sentendo ripetere la parola ignota, capirono invece “Ba Na, Ba Na” che significa “La mia montagna”. In altre versioni, il nome sarebbe invece una storpiatura di quello della moglie del governatore, chiamata dai locali la signora Ya Na. Trascorso ormai oltre un secolo, quindi, delle opulenti residenze non restano segni evidenti, forse per l’opera di frange nazionaliste nel corso dei lunghi conflitti che hanno attraversato la regione, benché il ricordo della loro esistenza sopravviva nitido nella memoria delle persone.
Come faccio a saperlo? Basta completare il giro del ponte delle mani giganti, in realtà niente più che una imponente passerella panoramica per turisti incorniciata tra coreografiche aiuole di crisantemi, per accedere ai giardini altamente decorativi di Thien Thai e al di là di quelli, il sito in cui si trovava l’insediamento straniero. Che oggi ospita un vero e proprio… Luna Park, con svariate attrazioni, tra cui un fantastico agglomerato di edifici apparentemente spostati fin qui da una sorta di varco dimensionale, visto quanto dovrebbero ipoteticamente assomigliare all’aspetto tipico di un villaggio medievale francese. C’è un po’ di tutto, in questo resort dall’alta percorrenza turistica (fino a 3,7 milioni di persone l’anno): la grossa torre a tamburo capace di resistere a qualsiasi assedio, con severe merlature e una cima appuntita; la fontana di marmo nella piazza principale con pavimentazione in cubetti a code di pavone, circondata da saltimbanchi, scimmiette ammaestrate e giocolieri; la chiesa pseudo-cristiana con una sorta di facciata neo-gotica, soltanto lievemente rovinata dall’aspetto un po’ troppo stereotipico della pietra vagamente anticata. E altri deliziosi segreti nel sottosuolo…
La città di Da Nang, che di ponti stravaganti ha una certa esperienza (vedi il famoso viadotto a forma di drago, che ogni settimana viene acceso almeno una volta per fargli sputare fuoco ed acqua sopra automobilisti di passaggio, tutti egualmente colpiti da una simile magnificenza) guarda al resort di Ba Na come un’importante risorsa turistica, ragione per cui all’inizio del 2018 sono stati stanziati l’equivalente di due miliardi di dollari per un ampio progetto di rinnovamento e potenziamento delle strutture turistiche annesse, proprio l’evento a seguito del quale, secondo alcune testimonianze pubblicate online, avrebbe avuto inizio la rapida e determinata costruzione del villaggio in stile “francese”. Contesto nel quale, il grande ponte/passerella non dovrebbe rappresentare altro che l’ennesima attrazione, capace di coinvolgere il pubblico con il suo aspetto misterioso ed antico, grazie all’opera dello studio di architetti di Ho Chi Min City noto come TA Corporation, sul cui sito Internet qualcuno ha trovato un rendering dell’affascinante struttura, anche in assenza di un’attribuzione ufficiale da parte degli enti governativi. Un qualcosa che non sembrerebbe legarsi in alcun modo particolare né con il contesto storico della regione, né tanto meno col resto del parco giochi a tema, benché prima di elaborare un giudizio risulti necessario considerare chi sia, esattamente, il target di una simile creazione: non tanto i turisti occidentali provenienti dall’altra parte del mondo, che costituiscono in percentuale una parte minore della totalità in visita presso questo resort montano, bensì quelli provenienti dal resto del Vietnam e regioni confinanti, tra cui per l’appunto la Cina. Ora come potreste forse sapere per conoscenze pregresse, la cognizione che sussiste in queste culture del riprodurre o traslare concetti per loro alieni è molto diversa dalla nostra: laddove una reinterpretazione, non importa quanto fantasiosa, viene comunque considerata un significativo gesto di rispetto nei confronti di chi ha prodotto l’originale e non importa quanti elementi fuori luogo vengano posizionati tutto attorno alla struttura principale: essa ne verrà, concettualmente, arricchita. Così queste mani giganti, che non sono in effetti quelle di Buddha, di un titano o di qualunque altro essere sovrumano, scaturiscono dalla montagna volendo comunicare un senso latente di mistero che fa pensare ad antiche civiltà dimenticate, quasi che il mistico Vietnam, in qualche maniera, voglia presentare al pubblico un lato precedentemente del tutto sconosciuto. E ben poco importa come, in effetti, i veri sostegni del ponte siano facilmente identificabili in degli assai meno emozionanti piloni di metallo: dopo tutto, a queste altitudini spesso c’è la nebbia. E più o meno tutti, ormai, hanno visto il Signore degli Anelli, no?
Una volta completato il percorso della passerella, che si estende non troppo lontano dalla stazione della lunghissima funivia di accesso principale (in realtà ce ne sono altre, con fermate intermedie e un minore costo operativo, finalizzate a coprire le ore mattutine) il visitatore viene quindi chiamato a sperimentare le altre attrazioni per così dire “operative” del parco, che includono un’antica (?) pagoda sotterranea, con immagini del Buddha e altri dei ancestrali, una montagna russa senza motore, con vetture che percorrono un arzigogolato binario tutto attorno al resort e soprattutto la rinomata cantina dei vini (e birre) a cui fanno riferimento un certo numero di ristoranti, bar e luoghi di ristoro, polo irrinunciabile di qualsiasi località turistica degna di questo nome.
Il Vietnam, tra tutti paesi d’Asia, è forse uno di quelli maggiormente fraintesi dall’ideale comune, che lo collega ancora alle miserie e alle sofferenze dell’epoca della guerra civile, principale momento di contatto con l’Occidente. Mentre l’intera città di Da Nang e dintorni, con la sua primaria importanza commerciale, non fu mai effettivamente fatta oggetto di bombardamenti e persino dopo la ritirata delle truppe americane nel 1975 fu conquistata dalle truppe comuniste senza sparare un singolo colpo. A tal punto, veniva considerata degna di essere preservata nel suo stato di piena operatività e completa dell’intero patrimonio storico, risalente all’epoca dell’antico regno di Champa (192 d.C.) Negli anni successivi della progressiva ripresa economica, che ha fatto oggi dell’intero paese una delle principali potenze emergenti della sua regione, il Vietnam si è quindi riscoperto come meta turistica elettiva di ampie fasce di popolazione asiatica, investendo copiosamente su questa industria dalle potenzialità letteralmente infinite. Una strategia che sta ampiamente pagando, direi, visto l’aumento riportato di circa il triplo per le tariffe degli hotel locali, a partire dal completamento del villaggio francese della montagna di Ba Na.
E poi chi può dirlo, un giorno, magari, anche a noi capiterà di fare una simile esperienza. Fluttuare magicamente sopra la valle dimenticata, sostenuti dalle mani gigantesche di una statua semi-sepolta dagli strati del tempo. Per chiederci… Che cosa, esattamente? Quanto fosse alto costui un tempo? A quale profondità trovino collocazione, volendo, i suoi ponderosi piedi? Coltivando, secondo la probabile idea dei costruttori, l’atroce sospetto all’improvviso, tanto per farci una sorpresa, l’inusitata creatura possa riprendere a camminare. Per farci rivivere, tra montagne nebbiose e castelli europei, alcune delle scene più drammatiche dell’Attacco dei Titani.