Non ci credo. Non è possibile. Gli uccelli, nelle loro migrazioni, seguono un copione estremamente preciso e ripetitivo. Molte sono le conferme di un tale comportamento, intere famiglie e gruppi di specie molto diverse tra loro che attraverso una bussola e un calendario biologico, seguono itinerari straordinariamente precisi attraverso i confini del globo, incontrando regolarmente le stesse bolle climatiche, ecologiche e situazionali. Eppure ieri l’alto albero di ginepro del mio giardino appena fuori Milano, da un giorno all’altro, si è ritrovato del tutto spoglio delle splendenti bacche, con cui volevo preparare una gustosa marmellata color cobalto. Andando quindi ad interrogare il vicino, quello mi ha detto: “Si, si, robba de ciod! Non l’hai visto? Probabilmente eri al lavoro. C’è stata una calata d’uccelli invasori: grossi passeri marroni con maschera da ladro e la pancia grigiastra, la coda arancione, la lunga cresta aerodinamica, la punta delle ali di un rosso intenso. Non avevo mai visto nulla di simile in vita mia… Dolsa l’uga, eh?” Voglio dire: come no! Un uccello lungo all’incirca una quindicina di centimetri, noto per l’apprezzamento dei lombrichi e gli insetti di terra, qualche manciata di semi e un bocciolo o due, che spoglia completamente un albero di 25 metri di altezza… Credi che sia nato ieri o abbia preso una dose del medicinale che altera le percezioni noto in america come crazy pills, Fam? È stato allora più o meno, che ho deciso di confermare o smentire la strana storia mettendo una telecamera sul davanzale della finestra. Fregato una volta, la colpa e tua. Fregato due…
E non è facile, invero è in effetti persino difficile, che nel Nord Italia si conosca l’aspetto di questi uccelli stranieri tipici della zona olartica, che durante le loro migrazioni compaiono e scompaiono a piacimento in diverse zone d’Europa, inclusa la parte settentrionale d’Italia. Linneo aveva coniato per loro il nome di Bombycilla garrulus, dall’unione di Bombyx (il baco da seta) per via delle macchie rosse simile al materiale fuso usato come tipico sigillo delle missive di epoca pre-moderna con il termine latino per “ciarliero” o “rumoroso”, ma per i non scienziati furono fin da subito waxwing (ali-di-cera) o in alternativa, beccofrusoni di Bohemia: forse perché si riteneva, erroneamente, che provenissero da quel paese, o ancor più probabilmente a causa di un’associazione col popolo dei girovaghi, la cui patria era il luogo in cui piantavano le proprie tende fino alla prossima luna nuova. In Olanda in particolare, l’associazione fu di tipo decisamente più nefasto, attribuendogli il nome di Pestvogel (uccello della peste) in quanto si riteneva che la sua venuta preannunciasse l’imminente manifestarsi di una drammatica epidemia. Mere superstizioni, ovviamente, benché sia necessario ammettere che il ritorno di simili volatori potesse risultare un’esperienza strana, inaspettata e visivamente stupefacente. I beccofrusoni non sono particolarmente comuni da nessuna parte in cui se ne verifichi l’occorrenza, fatta forse eccezione per alcune regioni del Canada (sp. B. cedrorum) e l’estremo Nord-Est dell’Asia (sp. B. japonica) mentre la variante associata comunemente col territorio europeo, che trova diffusione anche negli areali dei propri più prossimi parente, è nota per scomparire e ricomparire improvvisamente, spesso con l’arrivo di letterali stormi da molte centinaia di esemplari, che si diffondono a macchia d’olio tra boschi, foreste o dovunque gli capiti di trovare il loro cibo preferito.
Ora, è naturalmente difficile trovare una specie di uccelli che possa effettivamente definirsi “vegetariana” laddove si scopre in genere, prima o poi, che essa è solita integrare la propria dieta con un artropode o due, ogni qualvolta se ne presenti l’opportunità. Ed in effetti, anche nel presente caso è così. Ma non c’è probabilmente alcun essere dei cieli che ami le bacche, o la frutta più di costoro…
C’è una storia più volte ripetuta che, ritengo, può sintetizzare in maniera straordinariamente vivida la storia evolutiva e biologica di questi uccelli. Quella del cuculo comune (Cuculus Linnaeus) o altre specie parassitarie, che sono solite invadere i nidi altrui deponendovi le proprie uova, confidando che gli stolti o troppo benevoli uccelli, non riconoscendo istintivamente la differenza, finiscano per nutrire la propria malefica prole (che alla prima occasione, butterà i veri figli giù dal nido). Orbene gli studi scientifici hanno dimostrato come, nonostante l’opportunità si presenti spesso, questi crudeli genitori non compiano mai tale gesto nel nido dei beccofrusoni. La ragione è presto detta: essi sanno per l’esperienza pregressa, iscritta nel proprio codice genetico, che se l’uovo di cuculo dovesse schiudersi a casa loro, l’occupante verrà tirato su quasi unicamente con bacche e pezzettini di frutta, andando incontro a carenze vitaminiche che ben presto, ne causerebbero la morte. Mentre soltanto i legittimi occupanti del nido posseggono un fegato sufficientemente sovradimensionato, in proporzione, da trarre le sostanze nutritive richieste a crescere forti e in orario. Ed è così che la dieta particolare del migratore di Bohemia, nelle sue lande d’appartenenza e riproduzione settentrionali, diventa anche uno strumento d’autodifesa di altissima caratura, vero e proprio scudo contro le avversità del fato.
Osservare un’intero stormo di beccofrusoni, creature estremamente socievoli, mentre i suoi membri foraggiano il cibo è una visione straordinariamente surreale. Essi sono soliti arrivare sulla scena del delitto tutti contemporaneamente, occupando un ramo ciascuno. Quindi, in una notevole dimostrazione d’altruismo letteralmente ignota nei passeriformi nostrani, iniziano a passarsi la frutta l’un l’altro, assicurandosi che ciascuno di loro possa nutrirsi fino a sazietà. L’effetto e la rapida voracità che dimostrano, in certi ambienti, li ha fatti paragonare a dei veri e propri piranha dei cieli, capaci di lasciare rami completamente spogli nel giro di pochi minuti, mentre i secondi e terzi della fila continuano il loro trillo di scherno sottile e modulato. Che non diventa mai un grido d’avvertimento, poiché essi non presentano propensioni territoriali ed accolgono di buon grado qualsiasi altra famiglia di volatori, benché risultino per necessità di cose meno coordinati e collaborativi con loro. Giunta la stagione dell’accoppiamento, quindi, l’attività si trasforma in un vero e proprio rituale, con il maschio e la femmina che s’isolano dallo stormo e una volta scelto un piccolo pegno d’amore (una bacca o talvolta, persino un semplice sassolino) iniziano a passarselo a vicenda tra i rispettivi becchi, finché lei alla fine lo “accetta” mangiandolo o mettendolo da parte. A quel punto, i due costruiscono assieme un nido dalla forma conica con sterpaglia e rametti, nel quale verranno deposte tra le 3 e le 7 uova. Ciò avviene, in media, due volte l’anno. I piccoli, una volta nati sono del tutto privi di piume ed inermi, necessitando dell’aiuto genitoriale per circa due settimane, al termine delle quali spiccheranno il volo unendosi nei vagabondaggi tipici della loro specie. Popolando, ancora una volta, i sogni più colorati di chi se li trova a passare sopra la testa…
L’intera famiglia dei Bombycilla è estremamente prolifica e capace di sopravvivere nelle condizioni climatiche più diverse, ragione per cui nessuna delle tre specie citate, né le loro varianti regionali, è classificata come a rischio da parte dell’indice dello IUCN. Ciononostante, il ridursi degli ambienti naturali incontaminati ha causato non pochi problemi a questi uccelli, vista la loro sfortunata propensione a finire investiti dalle auto o ancor più di frequente, andare a sbattere contro i vetri delle finestre. Nessuno conosce la ragione per cui proprio loro, più di ogni altro uccello, abbiano la tendenza a schiantarsi contro le cose trasparenti, ma svariati commentatori, sopratutto americani, riportano la storia di una vetrata installata di recente che viene ritrovata, un giorno, circondata da dieci o più beccofrusoni che vi hanno impattato contro, passando purtroppo a miglior vita. Una problematica nota a tal punto che anche l’autore di Fuoco Pallido Vladimir Nabokov faceva scrivere a un suo personaggio nel 1962, come metafora per la tristezza: “Ero come l’ombra di un ali-di-cera ucciso / dal falso azzurro della finestra chiusa.”
Telecamera riportata a terra, memory card nel portatile sul tavolo della veranda. Uno sguardo soltanto per confermare l’avvenimento. Allora era vero, brutt demoni. Ginepro, il ginepro è mio… Fatevi avanti, procioni mascherati dei cieli! Le vostre ali gialle, arancioni e rosse non vi danno il diritto di accedere alla proprietà privata altrui. Mentre alzo il bastone da passeggio col grosso pomolo in legno di noce, arriva la stormo in un’ondata magnifica e variopinta. Trillando il trionfo, iniziano a fagocitare. Al secondo giro della lancetta dei secondi, l’armonia dei colori sta ancora girando vorticosamente tra le sinapsi prossime al sovraccarico. Mentre aspetto, pazientemente, che lo splendore della natura allenti la morsa che annienta la rabbia. Oppure si tratta, mio malgrado, di un senso latente di ammirazione?