Quindi una volta ultimati i lavori per la costruzione del buco, tutto quello che rimaneva da fare era metterlo alla prova. Un po’ come fece Peregrino Tuc nelle miniere di Moria, quando lo stregone Gandalf, imprecando contro la sua stoltezza nel far precipitare una pietra, si ritrovò d’un tratto a dover gestire un’onda di 10.000 orchetti e persino la frusta di fiamme di un angelo passato alle schiere del male. Ma non c’è un Balrog, nelle profondità della Carinzia e all’interno dei terreni del Kraftwerksgruppe Fragant. Soltanto qualche dozzina di vecchi coboldi malefici e gobbuti, tranquillamente in attesa di divorare un minatore austriaco o turista dall’itinerario particolarmente imprudente. Non che alcunché di questo, d’altra parte, presenti una particolare rilevanza nel caso di questo Agente del fato, che tra le incitazioni generali e come in un solenne rito collettivo, prende una roccia e la scaglia nel buco verso destinazioni ignote. A noi che guardiamo, di certo, ma non a coloro che si trovano lì. Che un simile spazio l’hanno accudito, curato e visto crescere, fino all’attuale stato di circa tre metri di diametro, 457 di profondità. È impossibile non pensare, dunque, al capo cantiere che blocco note alla mano, contando attentamente i secondi, scrive i valori possibili dell’energia generata: 9,573 secondi caduta, per una velocità terminale attraverso l’aria (densità 1.225 Kg per metro cubico) di almeno 60 metri al secondo, presumendo una pietra dalla forma oblunga costituita da materiale granitico o simile. Per un totale, in fin dei conti, di circa 4300 Joules, ovvero 1,194 watt/ora. “Perfetto!” Ecco un possibile piano: la prima centrale elettrica a massi cadenti: “Basterà mettere qui uno scivolo e far venire continuamente dei camion carichi di pietra!” potrebbe esclamare qualcuno. Se non ci fosse un qualcosa di molto, MOLTO più pratico da utilizzare. E quella cosa, noialtri esseri umani, lo beviamo praticamente ogni giorno. Fatta eccezione per chi preferisce birra, vino, cola o sangue di fanciulla vergine transilvana.
Il lago Feldsee, che molti chiamano Brennsee per non confonderlo con l’omonimo bacino idrico tedesco della Foresta Nera, non ha origini, né un aspetto particolarmente naturale. Esso è in larga parte una creazione dell’uomo finalizzata ad uno scopo ben preciso: generare energia elettrica sfruttando la forza di gravità e l’acqua. I più attenti tra gli osservatori, tuttavia, scrutando verso il suo indirizzo non potranno fare a meno di notare l’assenza di tutti gli elementi cardine di un simile tipo d’installazione: non c’è diga, niente cascata, neppure l’ombra di un deposito delle turbine. Eppure, più a valle, è presente comunque una vasta piscina di raccolta dei fluidi, dalla forma grosso modo rettangolare ed il nome altamente programmatico di Wurtenspeicher. Saremmo di fronte quindi, ad un vero mistero. Se non fosse per il video qua sopra riportato! Che si svolge, per l’appunto, sul fondo del lago! Prima che esso tornasse nuovamente sommerso come il regno del dio Nettuno. È una storia di cofferdam, ed altri apparati temporanei per deviare forzosamente l’apporto degli affluenti montani, al fine per l’appunto di scavare uno (stretto) buco. Mentre i propri colleghi, più a valle, curano la costruzione di una galleria orizzontale. Affinché le aperture s’incontrino, creando un utile spazio vuoto. Ecco, dunque il segnale: sarà soltanto allora che, collegandola nel cantiere sovrastante alla trivella proveniente dall’alto, fu portata in scena una particolare macchina di trivellazione, conforme al concetto metallurgico di un alesatore (in terminologia internazionale: reaming drill). Che poi sarebbe una larga testa, in grado di macinare la pietra e farla cadere sul fondo, mentre risale con forza inarrestabile attraverso il pertugio che la porterà, senza falla, a riveder le stelle.
Sassi che cadono, dunque, e grosse macchine che tornano su. Tutto questo non vi ricorda…Qualcosa? Il tormento di quel tale di nome Sisifo, che per aver osato ingannare Zeus ed intrappolare Tanato (la Morte) venne punito da Ares, dio della guerra, trovandosi a dover spingere un masso in cima ad un monte ogni giorno. Per poi vederlo rotolare di nuovo sul fondo verso l’ora del vespro, senza alcuna speranza di risoluzione finale. Eppure sarebbe possibile affermare, in un certo senso, che un tale tormento avesse anche dei lati positivi: non è forse vero che noi tutti, nel corso delle vite, compiamo dei compiti noiosi e ripetitivi? Andare in palestra. Tenere di conto. Guidare l’automobile. Lavarsi i denti. Tutto può essere una ragione di accrescimento spirituale e sviluppo della forza di volontà, se soltanto si affronta con la giusta inclinazione individuale. Il che, nel caso della centrale idroelettrica del lago Brennsee, equivale a dire che il ritorno delle acque facenti vece del sasso magico causa un flusso proficuo d’elettricità. Oh, si, l’energia tangibile, fruibile, cibo per i nostri televisori, condizionatori, calcolatori, forni a microonde; qualcosa di cui l’uomo, al giorno d’oggi, non può più fare a meno. Il che in futuro, può anche costituire un problema. Vi spiego subito perché: è un fatto noto che le risorse energetiche del pianeta si stanno esaurendo. Niente più petrolio, carbone o gas naturale, nel giro di un numero imprecisato di generazioni che saranno comunque più di 5, e meno di 50. Ad ogni modo prima o poi, dovremo affidarci unicamente alle cosiddette fonti rinnovabili, alcune delle quali vengono definite in gergo come “intermittenti”. Mi sto riferendo, se non fosse ovvio, principalmente all’eolico e il solare, un tipo di centrali certamente efficaci, per lo meno quando c’è il vento, oppure il sole. E per il resto del tempo? Nisba. A meno che…
Questa particolare centrale elettrica della Carinzia, in effetti, funziona grosso modo come una forma di batteria gigante. Ma non basata su terre rare, ioni di litio o altre chimiche amenità. Bensì su qualcosa di persino più affidabile: il semplice peso dell’acqua. È un’invenzione che risale agli anni ’30 dello scorso secolo, quando Italia e Svizzera, in particolare, furono all’avanguardia in un nuovo eccitante campo dell’ingegneria. Quello delle turbine idroelettriche reversibili, ovvero capaci di trasformarsi, a seguito della semplice pressione di una leva, in pompe dall’alto grado di efficienza. Talmente alto che, si stima, l’energia perduta nel far tornare l’acqua nel bacino di provenienza costava, grosso modo, soltanto l’1 o il 2% in più dell’energia generata nell’altro senso. Un simile approccio all’idroelettrico non è mutualmente esclusivo. Impianti simili furono ad esempio aggiunti alla vecchia centrale di Carlo Esterle (1918) sulla riva destra dell’Adda, per permettere l’immagazzinamento a medio termine dell’energia. Ed è a questo che serve il buco, anche nel caso del progetto curato dalla Fragant, possiamo soltanto presumere con ampi finanziamenti governativi ed investitori provenienti dalle più alte sfere del privato. Il Kraftwerksgruppe della Carinzia rappresenta infatti un gruppo di 6 centrali idroelettriche, più l’impianto di accumulazione di Brennsee, capace di rispondere a un fabbisogno di 474 Megawatt complessivi, molti ma non abbastanza. Mai abbastanza. Ed è qui la geniale idea che ha portato ad un simile foro nel fianco della montagna: far risalire la stessa acqua, durante la notte (quando i costi dell’elettricità sono minori) e poi inviarla di nuovo verso il recipiente sottostante del Wurtenspeicher, traendone nuovamente l’apporto diurno ad un costo zero. Certo, escludendo i molti milioni di euro spesi all’inizio per costruire l’impianto. Ma il vero risparmio, nei fatti, non solamente in bolletta, ma nella costruzione di infrastrutture ancor più costose: sto parlando di ulteriori centrali idroelettriche (e non) che sarebbero state aggiunte soltanto per rispondere alle esigenze di picco (ora di pranzo, ora di cena, estati particolarmente calde…) restando spente per la maggior parte del tempo. Mentre così, basta fare ricorso alla riserva conservata da una batteria alta letteralmente quanto un palazzo di 80-90 piani.
Si tratta di un tipo d’installazioni, ad ogni modo, che suscita non poche perplessità in certi ambienti. Dopo tutto, nell’ottica industriale moderna, cosa dovrebbe risolvere un impianto che accumula, piuttosto che produrre? Perché spendere per mettere da parte un surplus energetico, quando è possibile con la stessa cifra aggiungere una centrale a carbone o petrolio convenzionale? La risposta ad un simile quesito non può che seguire due sentieri paralleli. Da una parte quello che mira a far comprendere come l’intero pianeta Terra sia un grande sistema, di cui anche noi facciamo parte, e nel quale la gravità che influenza tutte le cose è alla base di ogni mutamento dinamico e trasformazione. Quindi perché non sfruttarle anche noi, per il nostro implicito vantaggio…
Mentre la seconda risposta è molto più breve: molto presto, non avremo più scelta. E nel momento in cui cesserà il vento, di notte, le acque inizieranno a cadere lungo i pertugi aperti attraverso le cordigliere della nostra imprescindibile sussistenza. I pesci, a quel punto, non potranno che tacere dinnanzi a bisogno infinitamente più grande. E i Balrog della guerra finale, che i vichinghi chiamavano Ragnarok, inizieranno lentamente a socchiudere gli occhi, dopo un millennio trascorso nell’oscurità e nel silenzio dimenticati.