Quante cose hanno visto questi piccoli occhi neri per una vita non particolarmente lunga, ma intensa: le barche dei pescatori a largo della Tasmania, da dove la linea di monti erbosi sembrava contenere ed incorniciare il cielo. Il profilo svettante di vaste foreste, ai confini meridionali del Sudamerica e da un certo punto di vista, il mondo stesso. Sbuffi di balene sommerse lungo l’autostrada sommersa della corrente di Humboldt, da noi soprannominata “Il ristorante d’aringhe che viaggia nell’Infinito”… Noi albatros, s’intende. Gli uccelli migratori per eccellenza, più avvezzi al moto disordinato delle onde distanti che ad avere un terreno solido sotto i piedi arancioni palmati. Ed ora, che cosa parrebbe profilarsi sotto il nostro imperturbabile sguardo? Un approccio per così dire diverso alla prassi della conservazione naturale: tutelare il pulcino, non tanto costruendogli qualcosa attorno. Bensì mettendogli un oggetto di plastica sotto le zampe, che lui possa considerare un sinonimo di casa. Ciò di cui sto parlando, per essere chiari, è il tipico recipiente usato per la terra fertile, all’interno del quale viene piantato un fiore. Espressione d’eleganza naturale che talvolta rimane in silenzio, senza emettere il benché minimo verso starnazzante. Ma QUESTA, ecco, non è una di quelle volte. La colonia di piccoli di uccello mollymawk (Thalassarche eremita) costituita a partire da un anno circa presso l’isola principale dell’arcipelago delle Chatham, situate a circa 800 Km ad est dalla Nuova Zelanda, presenta molti approcci e spunti d’originalità. Non ultimo il fatto che, per ogni volatile, sia stato fornito un nido che andrebbe bene anche per un cactus, un piccolo cespuglio rampicante o un fiore raro. Affinché se ne possa comprenderne la ragione, se vogliamo, sarà opportuno compiere il tragitto di qualche chilometro appena fino alla Piramide, un faraglione alto circa 170 metri dalla forma letteralmente acuminata, inserito da tempo nell’eredità familiare di un singolo proprietario umano, con una sorta di apertura denominata la caverna posta a metà tra il bordo dell’acqua e la cima. All’interno della quale, convenzionalmente, prosperavano questi uccelli. Prosperavano una volta, ovvero prima che un lungo susseguirsi di stagioni sfortunate a partire dal 1985, con il loro carico di forti perturbazioni atmosferiche e vento, spazzasse via progressivamente la corta vegetazione che essi usavano per ancorare i propri nidi, riducendo sensibilmente la probabilità di sopravvivenza dei piccoli. Nidi che appaiono, nei fatti, come delle svettanti torrette di saliva e fango, sopra ciascuna delle quali trova posto un grosso pulcino grigiastro. Generazioni successive, puntualmente di ritorno presso lo stesso sito, hanno aggiunto ulteriori strati sopra i curiosi piedistalli. Fino a creare una bizzarra approssimazione del reparto vasi di un surreale ipermercato a cielo aperto.
Il prelievo, lo spostamento e la successiva certosina tutela da parte di naturalisti, per i circa 130-140 giorni successivi alla nascita affinché i 50 piccoli di mollymawk spicchino il volo, è stata integralmente a cura dell’ente di conservazione Taiko Trust, costituito e finanziato in massima parte da residenti delle Isole Chatham, secondo dei piani attentamente preconfigurati a partire da circa una decade, o poco più. Questi guardiani del patrimonio naturale così, operando con la massima cautela, hanno fatto e continueranno a fare il possibile per tutelare una specie che viene considerata un tesoro tangibile nel campo degli uccelli marini, proprio perché si era fin’ora riprodotta soltanto in quello specifico luogo, risultando in conseguenza di ciò straordinariamente vulnerabile ad eventuali catastrofi di tipo meteorologico o ambientale. Mentre stavolta, facendo crescere i loro figli altrove, non solo sarà possibile assicurarne la sopravvivenza. Ma essi, ricevendo l’imprinting di un luogo di “nascita” differente, dovrebbero fare ritorno qui al fine di riprodursi, costituendo effettivamente la base di una nuova colonia. O almeno, questo viene considerato probabile dall’analisi degli esperti. Perché nei fatti, l’età del ritorno per un giovane albatros si aggira sui 4 anni, più altri 3 prima che inizi ad interessarsi alla riproduzione. Un periodo non propriamente brevissimo, specie quando si sta parlando di un animale che corre un rischio inerente di estinzione. Benché i suoi numeri, per il momento, non siano ancora particolarmente allarmanti: un tour fotografico aereo della Piramide, compiuto nel 1996, aveva delineato la presenza di circa 4.200 nidi cilindrici, ciascuno dei quali corrispondente a una coppia in età riproduttiva. Il numero quindi, tra il 1999 e il 2003, era aumentato a 5.300. Ma pur senza ulteriori censimenti, l’osservazione empirica ci ha permesso d’individuare una potenziale quanto inarrestabile inversione del trend…
“Confrontarsi con i proprietari della Piramide” seguìto subito da “Trovare nuovi possibili rifugi nel territorio delle isole Chatham”. Questo raccomandava un piano d’azione presentato già nel 2001, a cura del Dipartimento di Conservazione Naturale della Nuova Zelanda. Ma non era stato compiuto ancora, neppure concettualmente, il passo successivo. L’idea di rapire e trasferire i pulcini viene infatti principalmente dall’associazione autogestita del Taiko Trust, il cui nome per inciso non è un riferimento al grande tamburo giapponese (太鼓) bensì lo stesso di un altro prezioso uccello esclusivo delle Chatham, il Magenta petrel (Pterodroma m.) per il quale il loro sforzo continuativo di effettuare censimenti e applicare targhette RFID, coadiuvato da effettivi interventi di assistenza, ha garantito un aumento sensibile della popolazione. Ciò detto, non manca effettivamente una connessione nipponica, ed in particolare quella con il lavoro ed il personale in visita dell’Istituto Ornitologico di Yamashina, situato nei dintorni dell’antica città di Kyoto. Dove lavora da anni, tra gli altri, l’etologo marino Deguchi Tomohiro, inventore effettivo del metodo di prelievo e trasferimento già usato con un uccello raro del suo paese, l’albatross dalla coda corta (Phoebastria albatrus) sfortunatamente ed inspiegabilmente scomparso dall’isola di Mukojima. Ed è comprovato che tale approccio, in atto almeno dal 2012, stia proprio ora iniziando a dare i propri frutti, benché il successo continuativo possa soltanto essere la risultanza di un impegno altrettanto duraturo nel tempo, continuando a spostare i pulcini da una terra emersa all’altra, non appena superano l’età di assoluta dipendenza dai propri genitori.
Dal punto di vista del funzionamento, nelle nuove colonie niente viene lasciato al caso: i pulcini, una volta collocati nei vasi ricolmi di fango per loro del tutto indistinguibili dal nido materno, vengono costantemente nutriti con un frullato di crostacei, molluschi e cobepodi, grossomodo corrispondente al cibo semi-masticato che sono abituati a ricevere fino all’età di giovani adulti. Importanti accorgimenti vengono compiuti, inoltre, per metterli a loro agio. I quali includono il posizionamento di un certo numero di pupazzi rappresentanti esemplari adulti della loro specie, e il continuo ripetersi dei loro richiami registrati mediante l’impiego di altoparlanti nascosti. Sono tre anni, ormai, che la colonia dell’isola principale viene rifornita di 50 pulcini l’anno, con i naturalisti che si aspettano un possibile ritorno dei fortunati entro l’inizio dell’estate prossima. Evento a seguito del quale potranno finalmente tirare un sospiro di sollievo, avendo dimostrato al mondo accademico e al grande pubblico come in ultima analisi, ciò che la mano dell’uomo ha messo in pericolo, ancora una volta da quella stessa mano può essere salvato. È soltanto una questione di trovare il metodo e la soluzione corretti. Che occasionalmente può prendere ispirazione, se vogliamo, dal mondo della botanica e le piante in vaso. Basta crederci ed alla fine, se la teoria è corretta, funzionerà!
Sentirsi responsabili, in ultima analisi, è l’unica strada possibile. Nonostante le apparenze, intendo: ecco un uccello che la natura ha creato in un possibile momento di distrazione, al cui intera genìa è in grado di riprodursi in un singolo specifico luogo. Dopo un periodo di ben 7 anni, durante i quali il rischio di predazione o deperimento causa mancanza di risorse alimentari restano assai gravose. A quel punto, quindi, depongono un singolo uovo, insostituibile fino alla successiva stagione degli amori. Il Thalassarche eremita, benché occasionalmente catturato da cacciatori abusivi e come gli altri suoi simili, qualche volta preso nelle reti dei pescatori, vive in un luogo semplicemente troppo isolato perché simili incidenti possano incidere in modo sensibile sulla loro popolazione. Eppure continua, imperturbabile, a deporre le proprie uova su pendii scoscesi ed ormai privi d’erba, da dove una semplice folata di vento basta per farle rotolare giù, uccidendo il pulcino all’interno. Possibile che tutto, in queste creature, cospiri per farle scomparire dal mondo?
L’unica risposta possibile è che “tutto” in questo caso è l’aria stessa che respiriamo, ovvero il clima che condiziona l’esistenza di un pianeta indiviso. Ecco dunque qualcosa da considerare, soprattutto per i negazionisti del progressivo mutamento climatico a cui stiamo andando incontro: se il mollymawk continuava ad esistere, imperterrito, da una quantità d’anni molte volte superiore a quella degli Stati Uniti, la ragione è che qui, un tempo, non c’erano tempeste come quelle che gravano dall’inizio dell’epoca contemporanea. Che cosa è cambiato da allora? Soltanto una cosa. Soltanto un milione di miliardi di fabbriche, ciminiere, automobili, impianti chimici, fornaci e centrali elettriche… Soltanto NOI. Tutto il resto, è soltanto un richiamo chiuso tra due eternità d’azzurro, trasportato avanti dall’energia rabbiosa del vento! Lo stercorario antartico socchiude gli occhi, dal suo trespolo pietroso molti metri più in alto, aspettando una distrazione momentanea degli inconsapevoli genitori…