Occorre prestare attenzione alle questioni di religione, non importa quanto sia solida la base del proprio impero. E non intendo neanche le diverse regole etiche e comportamentali, dettate dalle culture dei diversi popoli, oggi così problematiche nel confronto tra L’Occidente ed il mondo Musulmano. Proprio così: c’è stata un’epoca in cui l’Europa stessa, in ogni suo più remoto recesso, si è ritrovata ad ardere per la fiamma di un simile conflitto. Da una parte il Cattolicesimo, tutelato da una delle figure più potenti che fossero mai vissute fino a quel momento. E dall’altra i dettami della dottrina Protestante, fondata sul presupposto che all’umanità non servisse un vicario, o un clero centralizzato a Roma, per potersi interfacciare con Dio. E tale figura era, come l’avremmo definita oggi, il Presidente di tutti, ovvero colui che sedeva sul seggio asburgico, alla testa del Sacro Romano Impero. Era il 1617, quando alla morte del sovrano illuminato Rodolfo II ormai da tempo malato, ebbe accesso alla carica il fratello minore Mattia, ardente sostenitore della controriforma. Il quale, come uno dei suoi primi atti di governante, tolse i privilegi e la libertà di culto che il suo predecessore aveva concesso ai nobili del regno di Boemia, vietando severamente la costruzione di alcune cappelle sui terreni appartenenti al re. Risultato: un serpeggiante scontento che avrebbe portato, nel giro di poco più di un anno, verso uno dei conflitti più lunghi e devastanti della storia, in un certo senso antefatto delle future guerre mondiali. Dopo la stranamente incruenta defenestrazione di Praga, evento in cui due governatori imperiali vennero gettati da nobili locali da un’altezza di 10 metri del castello cittadino, sopra un soffice cumulo di letame, la pace appariva semplicemente impossibile, e la via diplomatica abbandonata. Così tra i membri della coalizione anti-asburgica figurò anche, incidentalmente, il regno di Svezia, famoso per la sua propensione ad organizzare vasti corpi di spedizione, composti in parte da mercenari, verso svariati territori di quella che sarebbe stata chiamata dagli storici, a posteriori, la guerra dei trent’anni. Tali manipoli del resto, non importa quale fosse lo schieramento di appartenenza, raramente erano composti di brave persone, o in altri termini guerrieri che rispettassero le convenzioni del codice cavalleresco. Come nel caso di Oront, un famoso condottiero di quella nazionalità che era solito saccheggiare villaggi, rubare i pochi averi dei contadini, e lasciare che i propri uomini si sfogassero sulla parte femminile della popolazione.
Ora immaginate un vecchio castello, risalente al XII secolo, nel mezzo delle pianure dell’odierna Repubblica Ceca. Alto, solido e sicuro, arroccato sopra uno sperone di roccia con vista sul territorio. La sede perfetta, per un saccheggiatore inveterato e i suoi seguaci, da cui dominare i dintorni come l’aveva fatto anticamente Ottocaro II, re di Boemia dal 1230 al 1278. È importante notare come nessuno sapesse, esattamente, perché il sovrano avesse voluto disporre di una simile residenza, costruita per di più lontano da ogni possibile fonte d’acqua o di cibo, risorse niente meno che fondamentali nel corso di un eventuale assedio da parte del suo cugino e nemico, Bela IV d’Ungheria. Ma di questo poco importava, a un simile comandante svedese di quasi quattro secoli dopo. Ben presto, iniziarono a girare delle storie, che una simile figura sanguinaria fosse in comunicazione con forze sovrannaturali, e che Satana in persona gli avesse donato una gallina nera, capace di garantirgli l’immortalità. Fatto sta che un gruppo di contadini locali, guidati da due cacciatori veterani mariti o padri di donne violentate, si organizzarono per esercitare la giustizia del popolo sul crudele invasore. A tal fine, prepararono pallottole d’argento, e si rintanarono in una capanna vicino al castello. “Oront, Oront!” Chiamarono quindi all’unisono, affinché si affacciasse alla finestra e quando quello lo fece, lo crivellarono di colpi. Il servo del diavolo, a quel punto fatidico, letteralmente fatto a brandelli, tornò a rifugiarsi brancolando nel buio. Ma della sua chioccia non v’era traccia. Pare infatti che i colpi l’avessero spaventata! Da allora, il suo fantasma girerebbe per le antiche sale. Imitando il verso ed emettendo sinistri richiami, mentre brancola nella punizione eterna della non-morte su questa Terra. Ma pensate, forse, che questo sia il solo spettro del castello di Houska? Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà. Nel corso dei secoli, qui sono stati avvistati un uomo cane, un cavaliere acefalo (non si sa se del tipo con testa sottobraccio, o soltanto un globo di fiamme al posto della stessa) una chiassosa rana gigante e l’immancabile dama in abiti fuori moda, affacciata con espressione nostalgica dalle finestre dell’ultimo piano, in attesa non si sa di chi o cosa. Inoltre, strani suoni vengono uditi la notte, figure misteriose si aggirano nei boschi circostanti e cosa forse peggiore, molte delle foto scattate dai turisti hanno la tendenza a venire sfocate, in controluce o peggio, quasi che un forza occulta all’interno dell’edificio facesse il possibile per rimanere eternamente tale. La ragione di un simile corpus folkloristico, del resto, ha ben solida fondamenta, intese come quello che si trova sotto il castello stesso. Ormai è molto tempo che nessuno vede l’antico pozzo, situato dove oggi sorge la cappella del maniero ed attentamente sigillato. Poiché si diceva che questo non avesse alcun fondo, o per meglio dire, che tale luogo fosse il Cocito, l’eterno lago di ghiaccio nei più profondi recessi del mantello terrestre. Dove il Signore dei Traditori in eterno mastica tra i propri denti aguzzi, coloro che per loro massima sfortuna, tentarono d’imitarlo in vita.
Ci sono molte teorie sul castello di Houska, ed ancor più romanzati racconti mirati a renderlo in qualche maniera curioso, una meta per il gusto dell’orrido contemporaneo. È tuttavia innegabile che molte stranezze sussistano, in primo luogo relative alla stessa struttura architettonica e il contenuto dell’edificio. In primo luogo, perché c’è una cappella nel centro esatto del cortile interno? Un luogo dove, convenzionalmente, veniva mantenuto nel Medioevo un’orto, o venivano comunque accumulate le scorte alimentari all’interno di un granaio, nella speranza che potessero bastare a resistere a un eventuale nemico. Dovete anche considerare che il castello come si presenta oggi, privo di un muro perimetrale o un fossato, è soprattutto a causa della sistematica demolizione avvenuta nel 1658, dopo che gli Asburgo decretarono che ogni possibile roccaforte ribelle fosse rimossa dal territorio dell’impero, in questo caso ad opera di un tecnico-ingegnere italiano, Giovanni Battista Pieroni. Prima di tale ristrutturazione distruttiva, dunque, il castello sembrava letteralmente richiudersi su se stesso, con cinte murarie mirate a tenere qualcosa dentro, piuttosto che impedire l’accesso dall’esterno agli eventuali nemici del re. Su l’origine di un tale mistero, dunque, il popolo raggiunse ben presto un consenso: il problema era ciò che poteva risalire dal terribile pozzo, connesso direttamente alle viscere stesse della Terra.
Roccia del Diavolo, Porta dell’Inferno, Castello dell’Oltretomba. Molti nomi furono attribuiti a questo luogo, e diversi tentativi di esplorarlo vennero messi in opera. Il primo, datato in maniera incerta verso il tardo Rinascimento, quando ai condannati a morte della vicina città di Praga venne offerta l’alternativa di legarsi una corda alla vita, e venire calati giù nell’oscuro pertugio torcia alla mano, per poi raccontare quello che avevano visto coi propri increduli occhi. Se fossero sopravvissuti, tutti i loro peccati avrebbero ricevuto il perdono. Ebbene il timore sacrosanto di Houska era tanto insito nella popolazione boema, che soltanto uno di loro fu abbastanza coraggioso da accettare. In un’assolata mattina di primavera, dunque, si decise di dare il via all’esperimento. Ma una volta che la cima arrivò ad estendersi per circa una decina di metri, dal pozzo si sentì un grido disarticolato, così forte che non sembrava essere uscito da bocca umana. Sbrigandosi a tirare su il prigioniero, dunque, gli ufficiali si trovarono di fronte una persona radicalmente cambiata: ricoperto di rughe e con i capelli completamente bianchi, sembrava che fosse invecchiato improvvisamente di almeno una trentina d’anni. Egli aveva perso, inoltre, ogni presa residua sulla sua sanità mentale, nonché la capacità di fare rapporto su cosa, esattamente, avesse provato durante quei pochi tragici minuti. Un’altra storia sovrannaturale è legata a una vicenda vissuta in prima persona dal poeta e scrittore romantico Karel Hynek Mácha (1810-1836) importante esponente della sua epoca in territorio ceco. Il quale avrebbe qui soggiornato durante una singola notte estiva del 1832 con l’amico Edward Hindle, occasione in cui avrebbe avuto delle strane visioni, poi raccontate al compagno in una lettera giunta fino a noi. In cui si parlava di un’individuo misterioso, che gli mostrava “immagini catturate in un dispositivo luminoso” (forse una moderna macchina fotografica digitale) e turbe di persone che arrivavano al castello in “scatole di metallo” (autobus, automobili?) ma essi sembravano in qualche maniera “privi di occhi” (qui si è ipotizzato che portassero occhiali da sole). Insomma in altri termini, sembrava che lo scrittore avesse viaggiato in avanti nel tempo. E chi poteva essere l’autore di una simile esperienza, se non il diavolo in persona?
All’inizio del XX secolo, quindi, il castello iniziò a vivere in maniera più ragionevole e controllata. Passato per più volte tra le mani di diversi nobili minori di dinastie boeme, il quali lo lasciavano per lo più abbandonato nel silenzio eterno dei suoi misteri, esso venne acquistato nel 1927 come residenza estiva da parte di Josef Šimonek, presidente ed amministratore dell’azienda Skoda. Ma costui non poté usarlo molto a lungo, visto che già nel 1945, approfittando della collocazione nel territorio dei sudeti, i tedeschi requisirono il maniero per farne una base decentrata, nella quale sarebbero stati portati, secondo precisi resoconti, molti dei testi dell’occulto e del sovrannaturale sequestrati durante le conquiste del Terzo Reich. Di nuovo, dunque, dei mostri soggiornavano tra le antiche mura, non dispensandosi dal praticare terribili soprusi ed esperimenti sulla popolazione locale. O almeno, così si dice.
Houska è un luogo strano, occulto, talvolta inspiegabile. La stessa roccia sopra cui è stato costruito sembra aver attraversato un periodo ribelle, durante il quale è penetrata strisciando all’interno dei piani seminterrati insinuandosi tra i pertugi di mura macchiate d’umidità. In simili caverne, quindi, figurano pitture inspiegabili, di uomini per metà cavallo o metà lupo, armati con archi e frecce puntate verso obiettivi ignoti. Lo stile di un simile leit motiv è quello dei culti druidici appartenenti ai popoli celti, ma come potrete facilmente immaginare, i celti non sono mai vissuti in Boemia. Difficile immaginare dunque chi, e perché, abbia pensato di dare sfogo in questa maniera alla propria creatività. A meno di credere alla leggenda secondo cui la progenie stessa di Cernunnos, Dio cornuto della natura, fosse solita scaturire di notte dal pertugio ormai sigillato, per cercare vendetta sui propri nemici ancestrali. Come coloro, tanto per fare un esempio, che hanno riempito un’intera parete nella sala dei ricevimenti del castello con teste di capra, trofei impagliati di un esercizio non propriamente etico dei loro diritti nobiliari di caccia.
Ma è anche un sito perfetto per organizzare eventi, particolarmente a tema orrorifico, o a quanto pare tenere l’occasionale concerto, grazie all’acustica naturalmente eccelsa del suo cortile interno. E pensa quanto risuonavano bene le grida dei dannati! Il sito ufficiale, previo un rapido passaggio di Google Translate, permette di conoscere il ricco carnet e pianificare la propria visita di conseguenza. Dopo tutto, qualcuno dovrà pur incontrare un giorno il poeta Mácha con la propria fotocamera o cellulare, durante il suo fulmineo viaggio in avanti nel tempo…