La barba di ghiaccio che cresce sugli alberi moribondi

Siete mai andati nella foresta in una mattina di pieno inverno? È strano quante esperienze siano a nostra portata di mano, eppure per motivi di mera logica e tranquillità mentale, evitiamo di sperimentare, a discapito di lunghi viaggi avventurosi e complesse prove fisiche o mentali. Perché andare a correre una maratona in Thailandia, quando può bastare mettere piede fuori di casa e prendere una strada diversa lungo qualche chilometro trasversale, per un’ora o due, al fine di ritrovarsi oltre i confini di un mondo letteralmente inesplorato, le cui regole esulano dalla cognizione presunta dell’universo naturale. D’altra parte, forse, l’avrete già visto coi vostri occhi: come una matassa di zucchero filato, più longilinea ma altrettanto candida e voluminosa, gettata a terra da un’invisibile bambino del popolo degli gnomi. È un fatto: tutto ciò può verificarsi anche qui da noi in Italia, quando le condizioni sono giuste sia dal punto di vista biologico che ambientale. Ma occorre sussista una temperatura sugli 0 gradi, per ovvie ragioni, e serve anche la compartecipazione di due fattori: un particolare sostrato di legno marcio e una sufficiente quantità di spore.
Più volte discusso in sede scientifica e non, definito occasionalmente dai seguaci delle teorie di complotto come “ghiaccio chimico” una sostanza artificiale concepita da ignoti per controllare le menti/diffondere malattie/modificare l’ecologia terrestre, questo strano fenomeno ha affascinato il mondo accademico per generazioni. Descritta per la prima volte in maniera puntuale dal meteorologo e geologo tedesco Alfred Wegener nel 1918, lo scopritore della deriva dei continenti, che l’aveva incontrato in gran quantità durante le sue spedizioni in Groenlandia, questa insolita manifestazione del processo di cristallizzazione dell’acqua potrebbe ricordare molto da vicino il particolare dolce coreano della barba di drago, costituita da una quantità di fili di zucchero estrusi manualmente e mescolati col miele, durante un rituale che è al tempo stesso spettacolo e complessa procedura culinaria. Quando in effetti il suo processo di creazione è molto più semplice, automatico e soprattutto non coinvolge in alcun modo la mano dell’uomo. Sostituita, nel presente caso, da un ben più antico e basilare organismo, appartenente al quel cosiddetto quarto regno, al di fuori di quello vegetale, animale o minerale. Sto parlando dei funghi, la cui capacità d’influenzare le ragionevoli proporzioni di cose o persone è stata ampiamente teorizzata già da molti autori, tra cui Lewis Carrol e Shigeru Miyamoto. Possibile, dunque, che nelle loro elucubrazioni albergasse una debole scintilla di verità? “Sissignore!” potrebbe rispondere lo scoiattolo. Mentre si avvicina per dissetarsi, afferrando con le zampette anteriori una generosa manciata di peli biancastri. E infilandosi tutto in bocca, con espressione avida e soddisfatta. Senza interrompere, neppure per un secondo, il contatto visivo con i suoi osservatori umani perplessi.
I capelli di ghiaccio (in tedesco Haareis) hanno un diametro individuale di 0,02 mm e una lunghezza massima di 20 cm. Essi compaiono esclusivamente sul legno intaccato dalla decomposizione e ormai per questo privo di corteccia, preferibilmente appartenente al gruppo degli alberi a foglia larga. E pur essendo delle formazioni naturalmente delicatissime, che vanno in pezzi al benché minimo tocco, la loro capacità di persistere finché la temperatura non si alza di svariati gradi è sorprendente, con una permanenza documentata di oltre 48 ore. Ragione che fece sospettare per loro, già da parte di Wegener, un’origine di tipo fungino. Ma gli anni da attendere per un’effettiva dimostrazione di questa teoria sarebbero stati davvero molti, fino alla pubblicazione dello studio risalente al 2015 di Hofmann, Preuss e Mätzler intitolato Evidence for biological shaping of hair ice, durante il quale una quantità statisticamente rilevante di pezzi di legno affetti dalla misteriosa propagazione pilifera sono stati sottoposti a una serie di analisi approfondite. Bastanti a rilevare, tra tutti loro, una caratteristica comune: la presenza del micelio di Exidiopsis effusa, un fungo simile a muffa grigia capace di formare una sorta di crosta grigiastra, che terminato il periodo di propagazione scompare, disgregandosi e venendo trascinata via dal vento. Mentre un diverso destino tocca alle sue radici, un agglomerato in grado di alterare la composizione cellulare stessa del proprio legnoso condominio d’appartenenza….

L’orribile, irresistibile sospetto. Che trovandosi di fronte a un simile misterioso quanto attraente oggetto peloso, si possa finire per estendere la lingua e appoggiarvela sopra, per tentare di conoscere in prima persona il suo rinfrescante sapore.

Sicuramente, si tratta di un processo contro-intuitivo. Ed altrettanto ovvio è comprendere le ragioni che hanno portato i più suggestionabili a ritenere per lungo tempo che simili surreali capelli fossero il frutto di una manipolazione da parte di persone con una missione sconosciuta, e per questo malevola per definizione. Ma il comportamento del fungo all’interno del legno marcescente è persino più subdolo e pervasivo di così. Poiché esso, una volta scovato un legno sufficientemente poroso, s’insinua in forma di spore al suo interno, iniziando ad attaccare lo stesso parenchima, ovvero lo strato di cellule che si occupa, nelle piante, di trasportare le sostanze nutritive dal centro del fusto alle regioni periferiche del suo diametro, fin sopra i rami più alti e distanti. Il che comporta, nel caso di Gimnosperme e Dicotiledoni, la manomissione dei cosiddetti raggi midollari, una spropositata serie di condotte, terminanti in altrettanti pori, che svolgono nelle piante una funzione affine a quella delle vene ed arterie del corpo umano. Una volta propagatosi all’interno di esse, ed avendole ampliate, il fungo crea nel legno una sottile rete d’acqua mescolata a molecole organiche il cui punto di congelamento è stato spostato al di sotto degli 0 gradi. Ciò causa un accumulo di energia che, con l’abbassarsi della temperatura, inizia gradualmente ad espellere i liquidi dai pori midollari. Una volta lasciati i quali, progressivamente, il ghiaccio inizia a formarsi nella forma di sottilissimi filamenti. Ma perché questi ultimi, come succede normalmente, non si ricristallizzano in un’unica massa, che dovrebbe quindi corrispondere a uno strato di ghiaccio dall’aspetto assolutamente convenzionale? Generazioni di scienziati hanno discusso della cosa, ipotizzando il ruolo di qualche misterioso gas, creato durante il processo di decomposizione del legno marcio. Finché Hofmann, Preuss e Mätzler, con il loro studio del 2005, non hanno individuato una speciale caratteristica biologica del fungo Exidiopsis effusa, comune a molte forme di vita tra cui i pesci dell’Antartico, la segale d’inverno ed insetti dei generi Tenebrio e Dendroides. Tutte creature, queste, evolutesi per sopravvivere in luoghi particolarmente freddi, grazie all’apporto delle AFP (Anti-Freeze Proteins) ovvero in termini particolarmente diretti, secrezioni biologiche in grado di d’inibire la formazione dei cristalli di ghiaccio. Con la finalità di prevenire intasamenti nella circolazione delle fondamentali sostanze nutritive, così come fatto da questo specifico fungo per un’esigenza, ancora largamente sconosciuta, del suo stesso processo di propagazione e sopravvivenza.
Dimostrare la correlazione tra l’organismo parassita e i capelli di ghiaccio è stato in realtà piuttosto semplice, richiedendo agli studiosi contemporanei soltanto di trattare una parte i legni coinvolti nell’esperimento con un fungicida, riscontrando la maniera in cui essi non sviluppavano più la surreale barba bianca. Ma arrivare al nocciolo della questione, ovvero determinare la reale funzione a cui dovrebbe assolvere tutto questo da un punto di vista prettamente evolutivo dal punto di vista del fungo, potrebbe richiedere ulteriori approfondimenti, tutt’ora in grado di scoraggiare anche i biologi più ambiziosi. Si, ma per quanto?

Un fiore di ghiaccio è invece la risultanza delle crepe formate dall’espandersi dell’acqua negli steli delle piante, generando delle sottili estrusioni di acqua mista a linfa immediatamente soggette a congelamento, con la formazione di veri e propri petali intrecciati tra loro. Ma la loro permanenza, generalmente, è molto più breve rispetto a quella dei capelli di ghiaccio.

La formazione del ghiaccio per azione capillare è un fenomeno che trova numerose corrispondenze nel mondo naturale. Un’altra versione potrebbero essere ad esempio quelle formazioni che vengono definite needle-ice (aghi glaciali) frutto del gradiente di temperatura tra il più vicino sottosuolo e l’aria, in grado di generare vere piccole stalagmiti nei punti delle cosiddette lenti di ghiaccio, interfacce tra il permafrost e la superficie. Ma considerata l’estensione di pochi centimetri al massimo, assieme all’orientamento per lo più verticale, non esiste nulla che possa rivaleggiare con le vere e proprie pettinature, talvolta ricce, altre ondulate, dei soli ed unici Haareis. Con buona pace dello scoiattolo, che avrebbe certamente preferito disporre di una quantità maggiore d’ispirazioni sulla maniera migliore di acconciare la sua folta e vaporosa coda.
I misteri della foresta… Non andrebbero sempre svelati. Dopo tutto, dovrà pur esserci una ragione se lo stesso Super Mario, ingerendo il micelio indigeno del mondo fiabesco nascosto sotto le fogne di New York, inizia immediatamente a saltare sopra le tartarughe, mentre vede se stesso trasformarsi in maniere considerate un tempo impossibili dalla fisica e biologia applicate!

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