Passando in rassegna le mitologie dei diversi paesi, esistono molti tipi di drago. La creatura mitologica per eccellenza, talvolta una belva crudele affamata di carne umana, altre saggia e benevola in maniera mistica, in grado d’influenzare il corso della storia con la sua semplice presenza, anche nel caso in cui si tratti di una semplice metafora per qualcosa di più tangibile ed immanente. Una caratteristica trasversale di simili creature, indipendente dalla nazionalità d’appartenenza, resta il loro alito incantato, sulla cui natura, tuttavia, Oriente ed Occidente non possono fare a meno di trovarsi in disaccordo. Basta in effetti considerare per un attimo la progenie del Fáfnir norreno, incluse la reinterpretazione tolkeniana e tutte quelle a seguire, per sentir parlare di fuoco e fiamme, lingue incandescenti, scintille vulcaniche in grado di radere al suolo intere città. Mentre per la tradizione asiatica e in particolare cinese, esemplificata dal signore dei quattro mari Sìhǎi Lóngwáng, il grande verme è una creatura che vive sott’acqua lungo il corso dei fiumi e nelle profondità oceaniche, da dove emerge occasionalmente per scatenare su di noi la furia degli elementi: il vento, le nubi e la pioggia. Il che faceva di un lui una delle forze sovrannaturali alla base dei ritmi e dei processi dell’agricoltura, oltre ad un consigliere dei regnanti e talvolta, una punizione inviata per punire i malvagi e redimere i giusti. Potrà dunque sembrarvi più che mai sensato, l’appellativo scelto da Satoshi Tadokoro e i suoi colleghi del dipartimento tecnologico dell’Università del Tohoku per la loro invenzione presentata il mese scorso alla Conferenza Internazionale di Robotica: il DragonFireFighter, nel cui aspetto stesso si riflette la forma longilinea e sinuosa di questo animale fantastico, protagonista di primo piano nelle storie folkloristiche e in molte leggende del loro stesso Giappone. Un parallelismo che si riflette chiaramente nel funzionamento dell’apparato, funzionante in effetti grazie alla forza stessa dell’acqua espulsa a forte pressione dalla comune manichetta di una squadra di vigili del fuoco, ovvero fatto muovere verso ipotetici spazi difficili da raggiungere per il principio di azione-reazione tramite l’impiego di una serie di ugelli direzionabili, posizionati a intervalli regolari lungo la sua intera estensione i quali dovrebbero ricordare, nelle parole stesse del creatore: “I figuranti della danza del drago di capodanno” un’importante nonché celebre esibizione praticata in tutto l’Estremo Oriente. Per una creazione che risulta essere, nella versione dimostrativa costruita fin’ora, di appena 3 metri, ma potrebbe facilmente raggiungere o superare i 20 nell’effettiva applicazione finale. Il che da luogo ad un video di presentazione potenzialmente interessante, che tuttavia occorre interpretare sulla base di quello che potrebbe diventare nel giro di qualche mese, piuttosto che il funzionamento corrente di quello che comunque resta nient’altro che un mero prototipo, di quello che non costituisce affatto il risultato desiderato.
Eppure, potete realmente dire che vi lasci del tutto indifferente? Spinto innanzi dall’operatore verso un piccolo fuocherello, il carrello presso cui è stato agganciato il tubo dell’acqua si avvicina a un pannello metallico con un’apertura rettangolare. Ora, dovete presumere che un tale scenario sia rappresentativo, in effetti, di un incendio presso un impianto chimico o radioattivo, come una centrale nucleare, al quale i pompieri saranno disposti a fare il possibile per non avvicinarsi. Riecheggiano le critiche degli scettici del web: “Sarebbe bastato sparare l’acqua a parabola per ottenere lo stesso risultato” Ma un getto d’acqua, per quanto possa essere preciso e potente, non potrà mai ricadere per la semplice gravità con la stessa forza di quella creata dall’effetto Bernoulli, ovvero l’aumento della velocità al diminuire della pressione, una volta fuoriuscito dall’angusto condotto flessibile che l’ha portato fino a destinazione. E c’è una cosa che tale fluido, inoltre, non potrà mai fare: girare gli angoli, giungendo alle stanze chiuse, veri punti caldi del disastro incipiente. Ecco dunque provata l’efficacia di un simile serpente/drago meccanico: orientare direttamente la propria “testa” e il conseguente getto verso l’origine delle fiamme, alla stessa maniera in cui dovrebbe idealmente fare una persona armata di estintore, ottenendo degli effetti decisamente più risolutivi nella sua mansione d’utilizzo primaria, lo spegnimento. Il che non può prescindere, per ovvie ragioni, la grande quantità d’acqua che appare chiaramente “sprecata” nella dimostrazione, tramite l’espulsione continua degli ugelli a reazione, nello scenario simulato del singolo barile col fuoco dentro. Ciò che avrebbero dovuto chiedersi i commentatori al video prima di offrire la loro opinione, resta: “Chi ha mai visto un incendio tanto localizzato?” Ovvero una volta fatto il suo ingresso nell’edificio prossimo all’incenerimento, gli stessi getti di manovra del DragonFireFighter finiranno per colpire zone in qualche maniera combustibili, se non già lambite dal lingue di fiamme. Il che risulterà essere, inevitabilmente, tutt’altro che inutile. Anzi…
Dal punto di vista del funzionamento meccanico, per quanto ci è dato di comprendere dalle poche nozioni pubblicate online (lo studio scientifico abbinato al robot è purtroppo disponibile soltanto a pagamento) il punto fondamentale della serpe antincendio è il suo cervello, un sistema integrato capace di regolare l’intensità del flusso d’acqua in base alla quantità e il direzionamento degli ugelli, mantenendo un getto appropriato nei confronti del bersaglio selezionato di volta in volta. Il che presuppone, per ovvie ragioni, ingenti quantità d’acqua, rendendo un simile approccio idoneo all’impiego solamente nel caso in cui si disponga di una fonte virtualmente inesauribile, come un idrante cittadino. Qualora la riserva idrica del gruppo d’intervento dovesse essere invece il contenuto della sola autopompa, la soluzione ideale resterebbe senz’altro quella del getto manovrato in maniera tradizionale. L’estremità frontale della manichetta volante contiene inoltre una telecamera termica, che permetterà agli utilizzatori di manovrarla adeguatamente all’interno degli edifici, individuando così con facilità le zone più calde nel quale dirigersi di volta in volta. Dal punto di vista difensivo, il DragonFireFighter è fornito di un sistema di nebulizzazione, capace di proteggere la sua intera estensione dalle propaggini più esuberanti del fuoco contro il quale è stato inviato, a mò di Pokémon o altra bestia sovrannaturale dell’immaginario antico e contemporaneo. Un ingegnoso sistema di cavi e pulegge, interconnessi a a ciascun gruppo di ugelli e in grado di misurare la deformazione del tubo, permette alla serpe di restare stabile, trasformandola in una vera e propria arma di precisione fluttuante al pari di un drone guidato dal giroscopio, indipendentemente dai fattori ambientali e le possibili variazioni di pressione improvvise. Questione che dovrebbe diventare fondamentale nella versione definitiva notevolmente allungata, dove i moduli di manovra saranno un multiplo imprecisato dei soli due presenti nel prototipo funzionante.
Il Giappone ha una lunga storia con i robot, e in modo particolare la loro forma dalle applicazioni più varie, quella ispirata alla deambulazione diretta del rettile per eccellenza, tentatore del giardino dell’Eden secondo la tradizione cristiana. Particolarmente famosa risulta essere a tal proposito la figura di Shigeo Hirose, professore emerito presso la l’Istituto Tecnologico di Tokyo, i cui studi pluri-decennali nel campo della robotica hanno portato alla costituzione della Hibot, compagnia attualmente impegnata nella progettazione di una serpe robotica che dovrebbe occuparsi in futuro della decontaminazione di alcuni dei punti più pericolosi della centrale di Fukushima. Personalità perennemente affascinata dal mondo naturale e in particolare dagli animali striscianti, le cui immagini a quanto racconta sono solite comparirgli nella mente “Alla stessa maniera delle sculture buddhiste di Unkei” cementando ulteriormente, dunque, quel ruolo quasi mistico di coloro che possono vivere una comunione interiore col drago, udendo e mettendo in pratica i consigli contenuti nei suoi sussurri. E chissà che lo stesso Satoshi Tadokoro col suo DragonFireFighter non abbia vissuto, al giorno d’oggi, un’esperienza simile ed altrettanto risolutiva. L’unico modo per scoprirlo, probabilmente, sarà aspettare di vedere se le manichette volanti inizieranno a fare la loro comparsa tra i vortici fiammeggianti degli incendi giapponesi, ed in seguito potenzialmente del mondo intero.
Non è sempre realmente facile, questo è senz’altro noto, comprendere le piene implicazioni di una nuova tecnologia. Specie quando i materiali dimostrativi, come il video pubblicato online dalla squadra del Dr. Tadokoro, sono diretti in modo specifico a degli esperti del settore, pur presentando evidenti agganci alla fantasia popolare e prestandosi quindi reinterpretazioni disinformate. La realtà è che il drago robot, nella sua forma corrente, non risulterebbe utile se non in scenari estremamente specifici che tra l’altro, nessuno è stato in grado di simulare in maniera adeguata. Ma i draghi, come i loro antenati preistorici, i dinosauri, hanno una caratteristica che li distingue dalla maggior parte delle forme di vita del Cielo e della Terra: nel corso della loro vita continuano a crescere, e crescere ancora. Il che li accomuna, ancora una volta e in maniera più prettamente internazionale, ai pesci e le altre creature abissali.
Avete presente il giochino Snake? La storia tende a ripetersi. E quando c’erano i Nokia, la gente ancora dava il beneficio del dubbio alle nuove proposte tecnologiche con una base accademica di sostegno. Naturalmente, all’epoca ancora non esistevano i fiammeggianti commenti di YouTube…